Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d'assise di Bologna che ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


Nei processi del passato erano già stati acquisiti gran parte degli elementi che sono all'esame di questa Corte. […]. Gelli agì nelle settimane successive alla strage per deviare le indagini verso piste vaghe, indeterminate, senza elementi riscontrabili (da qui la necessità di un'operazione materialmente depistante come quella del ritrovamento di esplosivo ed altro materiale sul treno Taranto-Bologna).

Disse a Elio Cioppa che le indagini nella direzione dell'eversione neofascista romano-veneta era sbagliata e ordinò pertanto al Sisde di abbandonarla e di perseguire la pista internazionale, allo scopo non solo di spostare l'attenzione investigativa dai maggiori indiziati, ma soprattutto di evitare un eccessivo avvicinamento dell'investigazione ai rapporti che egli stesso aveva per anni intrattenuto proprio con quell'area, sia nella prima che nella seconda fase di vita della sua organizzazione, come si è più volte rilevato.

Alla Direttiva al Sisde seguì quella assegnata al Sismi con la messa a disposizione del giornalista Barbieri di documenti asseritamente riservati, costruiti appositamente per lo scopo del depistaggio, e quindi per la produzione di articoli ancora una volta diretti a indirizzare l'opinione pubblica e gli investigatori nella direzione più distante dalla verità. Il 15.9.1980 fu pubblicato l'articolo "La Grande Ragnatela" contenente notizie che, a prescindere dalla loro sostanziale falsità, rispecchiano un modo di lavorare del Servizio tutto teso a condizionare l'opinione pubblica e a influenzare gli investigatori, senza offrire alcuna reale collaborazione, addirittura mettendo a libro paga i giornalisti, offrendo denaro, disponibile in misura illimitata secondo le dichiarazioni di Pazienza al Barbieri.

Tale affermazione che al tempo poteva considerarsi una boutade appare ora ben più realistica, se consideriamo i milioni di dollari che risultano investiti da Gelli, verosimilmente d'intesa col socio Ortolani, secondo le risultanze del Documento Bologna.

L'impegno del Sismi per la pubblicazione di notizie depistanti e costruite per l'occasione continua, come risulta dalla sentenza, con l'intervento a fianco di Santovito e Pazienza del colonnello Giovannone che, in base alla deposizione del generale Grillandini, era assai versato nella costruzione di false notizie e nel millantare successi.

Pazienza insisteva col giornalista nell'affermare la matrice di sinistra dell'attentato, con relativi legami internazionali, rivelando ancora una volta l'attitudine alla guerra psicologica affatto scomparsa negli ambienti dei servizi cui faceva riferimento il Pazienza, verosimilmente diversa da quella di Gelli per il quale la pista internazionale doveva portare semplicemente al rafforzamento di apparati, servizi di sicurezza, intelligence segrete nella logica tecnocratica del Piano di Rinascita.

Nel nuovo contesto assumono più intenso rilievo le dichiarazioni di Nara Lazzerini sui rapporti e le telefonate con Delle Chiaie. La presenza tra gli autori della strage di Paolo Bellini finisce col dare un senso precipuo ai contatti persistenti di Gelli col Delle Chiaie, tanto più se, come vedremo più avanti, Delle Chiaie era a sua volta in rapporti con Federico Umberto D'Amato e tutti costoro sono in qualche misura interessati da quell'illimitata quantità di denaro disponibile di cui parlava Pazienza e che risulta ora definitivamente uscita dai conti di Gelli per arrivare a quelli di D'Amato che trattava con Delle Chiaie, che a sua volta trattava con Gelli, secondo il racconto della Lazzerini.

I passaggi della sentenza sulle lunghe e importanti dichiarazioni di Lazzerini concernenti i rapporti tra Gelli e Delle Chiaie sono molteplici. In generale tutte le dichiarazioni della Lazzerini vanno qui richiamate per gli elementi che offrono sull'attività di Gelli, elementi tutti da rileggere alla luce delle nuove acquisizioni probatorie.

La sentenza riporta le dichiarazioni delle Lazzerini: anzitutto le frequentazioni tra Pazienza e Gelli. Le lunghe attese di Pazienza nel salottino antistante l'appartamento di Gelli, in attesa di essere ricevuto. Tali incontri si connettono ai depistaggi del Sismi di cui Pazienza fu protagonista, evidentemente agli ordini di Gelli.

La donna si diffondeva quindi sui favori e sul denaro che Gelli elargiva, assoggettando così un enorme numero di persone. L'elenco dei 953 era solo una parte degli affiliati alla Loggia, quelli meno influenti o vicini alla pensione, lasciando intendere che ve ne erano di più importanti.

La sentenza riporta le telefonate ricevute da Sindona alle quali la Lazzerini fu presente fra il '76 e il '77. Gelli rassicurava Sindona, garantendogli che non lo avrebbero mai estradato dall'America a che a ciò avrebbe pensato lui. Anche perché, a suo dire, nelle carceri italiane Sindona sarebbe stato sicuramente ammazzato. I passi su Delle Chiaie sono però i seguenti: «Ricordo anche di essere stata presente a due telefonate ricevute nei primi tempi, precisamente nel 1977, dal Gelli fattegli dal noto neofascista, così viene definito sui giornali, Stefano Delle Chiaie. Fu Gelli a confermarmi quel nome ed a confermarmi che era in contatto con Delle Chiaie ... Gelli vive di ricatti e di vendette e tiene sotto ricatto tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui in vicende di un certo rilievo. Ecco perché non lo vogliono agli arresti domiciliari».

E ancora: «Ricordo in questo momento che le telefonate provenienti da Delle Chiaie pervenivano a Gelli sul telefono diretto con numero riservato. Peraltro, ciò avveniva per tutte le persone di un certo rilievo che si mettevano in contatto telefonico con Gelli e non intendevano fare il loro nome al centralino dell'albergo. Ricordo con precisione che si trattasse del Delle Chiaie ... annotai questo nome sul taccuino, anche perché avevo conosciuto il Delle Chiaie nel 1967 .. .in occasione di una cena avvenuta in una villa di Tirrenia ... «... Posso dire che mi risultano rapporti telefonici con il Delle Chiaie almeno fino alla fine del '79 inizio '80 ... Fu Gelli a dirmi che Delle Chiaie lo chiamava sul suo numero riservato dalla Spagna. Ciò almeno all'epoca in cui redassi la lettera 2. I 2.1977. Se la trovo, le farò avere la parte strappata della missiva che dovrei custodire in casa mia ... ».

In un altro luogo del verbale afferma che le telefonate di Delle Chiaie a Gelli pervenivano sul telefono diretto con numero riservato. Ricorda con precisione che si trattava proprio del Delle Chiaie, poiché commentò questo rapporto con Gelli stesso. Lazzerini annota questo nome sul taccuino, poiché aveva conosciuto Delle Chiaie nel 1967 in occasione di una cena a Tirrenia.

Vi era stato portato da un amico del padrone di casa, tale Giulio Conforti. La persona che portò Delle Chiaie disse di essere proprietario di una villa nella campagna senese. Queste dichiarazioni assumono ora un significato mirato e concludente.

Non tanto e non solo un contatto «politico con un eversore di destra», ma un canale diretto con un uomo che lavorava con una molteplicità di servizi segreti stranieri, soprattutto sudamericani, perfettamente in grado di rivolgersi a un finto brasiliano, appartenente alla sua organizzazione, dalla stessa protetta, fatto espatriare, fatto rientrare e sistemato in un'area d'Italia dove molto influenti erano gli uomini di Delle Chiaie, tra cui il suo avvocato Menicacci. La connessione è quindi strettissima. Il contatto tra Gelli e Bellini può ritenersi non vago, ma ravvicinato, se non proprio diretto.

La deposizione Lazzerini ai pubblici ministeri di Bologna, utilizzata in vari momenti della sentenza madre, è, come sappiamo di enorme importanza. Ne tratteggiamo alcuni sparsi passaggi che servono a inquadrare la figura di Gelli nella prospettiva nuova dell'attuale capo d'imputazione.

II potere di Gelli derivava dal fatto che le persone che passavano dalla stanza del suo appartamento al primo piano dell'Excelsior venivano tutte filmate e le conversazioni registrate. Gelli riferiva alla Lazzerini che considerava questa la sua forza. Non sappiamo se la cosa sia vera, ma appare assai verosimile. Sta di fatto che la Lazzerini dal suo acquartieramento era in grado di vedere chi passava a trattare con Gelli e probabilmente questo faceva parte delle cautele di Gelli.

Lazzerini parla dell'avvicendarsi di centinaia di persone, al ritmo di una ogni 15 minuti, tutte portatrici di richieste. Era presente in molti casi alle telefonate che Gelli riceveva da due linee, l'esterna alla quale rispondeva sempre, e della quale non ha mai dato il numero alla donna; l'altra, passante dal centralino, disattivata nei momenti di relax.

Questa situazione è riscontrata dalla fonte più attendibile, lo stesso D'Amato che riferì alla Commissione parlamentare di essersi recato a trovare Gelli all'Excelsior e di avere trovato una situazione quale quella descritta da Nara Lazzerini.

Gelli pranzava sempre nel suo appartamento ed era servito sempre dal medesimo maitre di sala. Lo stesso maitre che lo serviva quando riceveva nel suo appartamento il presidente Peron e la sua seconda moglie Isabelita.

Gelli raccontò alla Lazzerini in quel periodo che proteggeva e nascondeva Lopes Rega, in un paese diverso dall'Italia di cui non fece il nome. Gelli le aveva detto spesso di avere contatti con l'onorevole Andreotti; la teste ha parlato di «continui contatti».

Nel corso di alcune conversazioni telefoniche intercorse con Andreotti coglieva espressioni di ringraziamento per favori ricevuti o addirittura scambi concernenti inserimenti di somme di denaro in atti che possiamo pensare essere atti di governo.

La donna ha cura di precisare che, quando parlava con Andreotti in sua presenza, avvertiva l'interlocutore della presenza di una persona, ricorrendo al termine massonico «piove».

Andreotti non frequentava l'Excelsior. A trattare con Andreotti per conto di Gelli fino al Marzo 1981 era stato il noto Ezio Giunchiglia. La Lazzerini ha pure riferito di essere stata minacciata da Giunchiglia e Rosati se avesse rivelato i nomi delle persone che aveva visto all'Excelsior.

I rapporti di Andreotti con Gelli erano molto stretti. La donna afferma di essersi sentita ribollire quando udì in televisione Andreotti dire di avere conosciuto Gelli in una sola circostanza in Argentina in un ricevimento all'ambasciata d'Italia.

Ottenne l'assunzione del figlio alla Rizzoli, grazie ad una telefonata di Gelli a Tassan Din. Dopo la caduta in disgrazia di Gelli, mantenne in un primo momento quel posto di lavoro per il figlio, minacciando che avrebbe raccontato tutto. In una occasione Gelli la condusse a Montecarlo ove all'ultimo piano di un grattacielo era la sede della relativa loggia di cui facevano parte, a suo dire, Vittorio Emanuele di Savoia e il principe Ranieri

Gelli frequentava il Quirinale ed era spesso a cena con l'allora presidente della Repubblica Giovanni Leone.

Vi è poi la conferma dei frequentissimi viaggi in Sicilia, addirittura almeno una volta a settimana, quando non era in Argentina, dove risiedeva a volte anche per un mese. Non le disse mai cosa andasse a fare a Palermo, né l'avvertiva quando andava. Fu così che l'incontrò una volta a Palermo, quando la donna vi si trovava per ragioni personali. Gelli le riferì di frequentare assiduamente la casa dell'onorevole Fanfani e che spesso era a cena a casa sua. Una sera stette male dopo essere stato a cena a Roma in casa Fanfani. Si tratta di una circostanza riscontrata nel libro di D'Amato, a conferma dell'attendibilità di questa testimonianza.

Affermò ancora che Gelli «Vive di ricatti e di vendette e tiene sotto ricatto tutti coloro che hanno avuto a che fare con lui in vicende di un certo rilievo. Ecco perché non lo vogliono agli arresti domiciliari. Tutti andavano a chiedergli favori e denaro. E con una telefonata Gelli riusciva ad accontentarli. Era chiamato signor Licio e alla Gioie andava solo per firmare assegni».

Affermava che gli elenchi erano tutti autentici e corredati da tessere e che era stato lui stesso a farli trovare. A suo dire non era credibile che il generale Floriani, che comandava la Guardia di finanza (fino a febbraio 1980, seguito peraltro dal generale Giannini, altro iscritto alla P2 al momento della perquisizione, n.d.e.) ed era creatura di Gelli, avesse potuto consentire una operazione del genere senza avvertirlo in precedenza.

Già nel febbraio del 1981 Gelli le disse che voleva lasciare Roma e rifugiarsi all'estero. Le disse testualmente: «Sono salito a cavallo di una tigre, non pensavo che corresse così forte»:

Sentendo di essere stato scaricato da qualcuno che ricattava, aveva voluto lanciare un avvertimento intimidatorio, facendo ritrovare il materiale a Castiglion Fibocchi. È una tesi accreditata da molte, ma sostanzialmente congetturale.

È un fatto, invece, che nessuno chiese conto a Gelli del Documento Bologna, come abbiamo visto più volte. Anche quel Documento aveva una formidabile valenza ricattatoria, come si è detto. Si potrebbe dire che avendo Gelli dimostrato la sua potenza di fuoco facendo trovare le liste, ottenne che nessuno andasse a vedere il suo gioco col Documento Bologna.

A chi gli stava vicino era chiaro che Gelli mirava ad appropriarsi delle istituzioni dello Stato. Tra coloro che erano nella sala d'attesa, la Lazzerini vide almeno due volte l'onorevole Pietro Longo. Longo menti spudoratamente sulla sua conoscenza con Gelli.

Il Gran Maestro Corona era tutt'uno con Gelli; durante la latitanza sapeva dove si nascondesse. Gelli, anche fuori d'Italia e fino al suo arresto in Svizzera, continuava a svolgere la sua attività ed era in stretto contatto con Corona.

La Lazzerini ha riferito pure su come Gelli tenesse asservito l'ex Gran Maestro Salvini, suo debitore e quindi ricattato. A sua volta Salvini avrebbe voluto usare contro Gelli i documenti riservati sulla Loggia di Montecarlo, ma non fece in tempo perché morì nel luglio 1981.

Gelli era terrorizzato all'idea di finire in un carcere italiano. Quando sulla stampa fu associato come mandante dell'omicidio Occorsio, ne fu preoccupatissimo. Un dato informativo molto interessante. Gelli non s'indignò, né la prese a ridere: si preoccupò.

Parlando dell'avvocato Ambrosoli col G.M. Salvini, gli udì pronunciare queste parole: «Se quello continua ad indagare su certe cose, avrà vita breve». Avendo ascoltato quelle parole aveva preannunciato al colonnello Alecci, suo compagno, l'omicidio Ambrosoli.

Gelli affermava di avere rapporti sia con la Cia che con i servizi segreti italiani. Affermava di essere in costante contatto con generali: Mino, Ferrara, Santovito.

Riferiva ancora che Gelli si muoveva con una borsa carica di documenti e di avere visto molti nomi annotati su fogli che poneva accanto al telefono con l'elenco delle persone da ricevere giorno per giorno. Gli venivano recapitate valigie grandi, piene di denaro in pacchi da 100.000 lire ma non sapeva dire chi gli recapitasse tali valigie.

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