Sicuramente documentato un coinvolgimento significativo di Licio Gelli e di uomini della loggia è il cosiddetto golpe Borghese, attuato nella notte tra il 7 e 1 '8 dicembre 1970, sotto la spinta degli esponenti oltranzisti del Fronte Nazionale, i quali avevano da ultimo prevalso all'interno dell'organizzazione
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d'assise di Bologna che ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti.
Nella relazione Anselmi, cui la consulente rinvia, leggiamo: "Al fine di procedere ad una lettura politica di queste relazioni e di questi collegamenti è d'uopo individuare entro la vasta mole di materiale documentale - peraltro ampiamente incompleto: né altrimenti poteva essere, in considerazione della vastità dell'argomento- che alla Commissione è pervenuto, alcuni episodi che si ritengono più significativi ai fini della nostra indagine, secondo il metodo di analisi espresso nell'introduzione al presente lavoro. Prima tra tali situazioni nelle quali appare sicuramente documentato un coinvolgimento significativo di Licio Gelli e di uomini della loggia, è il cosiddetto golpe Borghese, attuato nella notte tra il 7 e 1 '8 dicembre 1970, sotto la spinta degli esponenti oltranzisti del Fronte Nazionale, i quali avevano da ultimo prevalso all'interno dell'organizzazione.
"La vicenda ha registrato un lungo e non facile iter processuale, concluso con sentenza passata in giudicato, sul cui esito non è qui il caso di entrare, perché ai fini che a noi interessano quel che più preme è porre l'accento su alcuni aspetti sicuramente documentati che suffragano l'ipotesi prospettata della collusione esistente tra esponenti della loggia con questa situazione eversiva, tale da consentire una valutazione attendibile del rilievo concreto che tali contatti ebbero a rivestire. È così dato rilevai 'e prima di tutto come molti dei personaggi che nel golpe ebbero un ruolo non secondario appartengano alla Loggia P2 o alla massoneria: così infatti troviamo tra gli attori di quella vicenda Vito Miceli, Duilio Fanali, Sandro Saccucci ( da più fonti indicato come appartenente alla massoneria) assieme ad altri imputati del golpe quali Lo Vecchio, Casera, De Jorio, che tutti figurano nelle liste di Castiglion Fibocchi. Altre fonti poi riconducono alla massoneria sia Salvatore Drago, accusato di aver disegnato la pianta del Ministero dell'interno, sia il costruttore Remo Orlandini, che l'ispettore Santillo, nella sua terza nota informativa, indica più specificamente come appartenente alla Loggia P2. Questo primo dato di palese riscontro è suffragato da ulteriori testimonianze, anche documentali, dalle quali si evince come ambienti massonici si fossero posti in posizione di collateralità o fiancheggiamento con i gruppi che al Borghese facevano capo.
Esplicita in questo senso la lettera di Gavino Matta al principe Borghese: «Caro Comandante, debbo comunicarle che la Loggia non intende assecondare la sua iniziativa, essendo per principio fondamentalmente contraria ai metodi violenti. Con la presente, pertanto, vengo autorizzato ad annullare ogni precedente intesa ... ».
"Questi elementi di indubbio riscontro fanno da cornice a situazioni di più puntuale incisività in ordine al ruolo che due personaggi quali Licio Gelli ed il Direttore del SID, Vito Miceli, ebbero a ricoprire durante e dopo il golpe. Come noto, punto cruciale di quella vicenda fa l'inopinato, per gli esecutori, arresto delle operazioni già avviate: Orlandini, stretto collaboratore del Borghese, dirà che non poca fatica gli costò correre ai ripari per fermare quei gruppi che già erano entrati in azione. Lo sconcerto provocato tra i congiurati da quella improvvisa inversione di marcia è del resto ben testimoniato dalla reazione di Sandro Saccucci, che poche settimane dopo ebbe ad esprimere l'auspicio che il responsabile venisse «preso», distinguendo nella vicenda la posizione dei golpisti da quella di «altre piccole manichette, più o meno in divisa». Numerose comunque sono le testimonianze dalle quali si evince la convinzione diffusa tra quanti avevano a vario titolo preso parte all'operazione «che qualcosa non aveva fanzionato», o, come affermò Mario Rosa, stretto collaboratore di Borghese « ... è la valvola di testa che non ha concorso a quello che doveva concorrere ... ».
"Recentemente alcune deposizioni di appartenenti agli ambienti dell'eversione nera consentono di indirizzare l'attenzione direttamente su Licio Gelli in relazione al contrordine operativo che paralizzò l'azione insurrezionale. Si hanno infatti testimonianze secondo le quali il Venerabile era ritenuto elemento determinante nel contrordine: tale il convincimento di Fabio De Felice, il quale ne fece parte ad un giovane adepto, Paolo Aleandri, che poi provvide a mettere in contatto con Licio Gelli. L'incarico era quello di tenere i contatti tra questi e l'avvocato De Jorio, allora latitante a Montecarlo; e in tale veste l'Aleandri ebbe numerosi incontri con Licio Gelli, che si sarebbe prodigato per «alleggerire» la posizione processuale degli imputati.
Le deposizioni dell'Aleandri - che trovano conferma in quelle di altri elementi quali Calore, Sordi, Primicino - hanno il pregio di fornire la prova del contatto diretto tra Licio Gelli e quegli ambienti, aggiungendo un riscontro preciso alle considerazioni generali già espresse. E' stato altresì testimoniato che Licio Gelli teneva il contatto con ufficiali dei carabinieri, e certo è che tra i congiurati era diffusa l'opinione che ambienti militari sostenevano o quanto meno tolleravano l'operazione. Certo, il Borghese si esprimeva nel suo proclama con decisione: «Le Forze Armate sono con noi».
"A loro volta questi elementi ben si inquadrano nel contesto di una serie di deposizioni dalle quali emerge come la generazione immediatamente successiva a quella direttamente coinvolta nel golpe Borghese vedeva nel Gelli l'espressione di ambienti «che in forma più o meno palese venivano contattati, però non con l'esplicita richiesta di aderire ad un golpe, quanto per avvicinarli a posizioni che implicassero un loro consenso per una svolta autoritaria o comunque per una democrazia forte». Tale almeno l'interpretazione di Fabio De Felice. Sta di fatto che nell'analisi che questa generazione forniva di quegli eventi si assumeva che un'opera di strumentalizzazione fosse poi stata messa in atto proprio dal Gelli e da coloro che gli erano vicino. Per tali considerazioni venne prospettata persino l'eventualità di eliminare fisicamente il Venerabile della Loggia P2, segno questo che la presenza di Gelli in quegli ambienti aveva assunto un rilievo non secondario, incidendo sulla loro operatività con conseguenze che venivano valutate come deleterie per l'organizzazione."
Tutto questo comporta per la Corte il ricorso alla documentazione acquisita e l'analisi puntuale delle fonti più analitiche e affidabili. Tra queste informazioni ve ne erano di provenienza non meramente confidenziale, come le registrazioni dei colloqui avvenuti tra il capitano del SID, Antonio Labruna e uno dei congiurati, Remo Orlandini, nonché le registrazioni di conversazioni telefoniche raccolte sin dal giorno successivo al fallimento dell'iniziativa. Le conclusioni della Commissione sulla Loggia P2 anticipano il percorso argomentativo di questa Corte.
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