Giuseppe Calò risulta inoltre legato ai fratelli Buscetta Tommaso e Vincenzo, a Lipari Giovanni e Vitrano Arturo, nonché ad Alberti Gerlando. Per i rapporti del Calò con Alberti occorre ricordare che il padre del Calò venne ucciso dal mafioso Scaletta, il cui successivo omicidio, ad opera sospetta di Alberti Gerlando e Filippone Salvatore, assolti per insufficienza di prove, induce a dare una particolare importanza al vincolo creatosi tra i predetti ed il Calò
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Da oggi – per circa un mese – pubblichiamo sul Blog mafie l’ordinanza di rinvio a giudizio “Torretta+120”, che ricostruisce dinamiche e omicidi della mafia di Palermo
Trattasi di noti e pericolosi mafiosi, la cui delittuosa attività è messa in evidenza oltre che dal rapporto del 31 luglio 1963, dai rapporti suppletivi del 27 luglio e 3 agosto 1964 del Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri e della Squadra Mobile.
Dolce Filippo è un vecchio mafioso del rione Danesinni, legato alla famigerata cosca mafiosa capeggiata da Gaetano Filippone, inteso “u zu Tanu Filippone” nonché da Alberti Gerlando, a Calò Giuseppe, a Lipari Giovanni, a Buscetta Tommaso, a Fiorenza Vincenzo inteso “acidduzzu”. Si è accertato che il Dolce, pur non svolgendo alcuna attività lavorativa, conduceva un tenore di vita dispendioso, per cui è da ritenere che ricavasse i mezzi necessari da fonti illegali.
Il teste Spata Calogero ha smentito l’affermazione dell’imputato di essersi occupato, per conto dell’impresa Spata & Giammarresi dietro compenso di poche migliaia di lire della riscossione di cambiali. La smentita dello Spata di fronte alla precisa affermazione dell’imputato, sta ad indicare che o il Dolce ha mentito, nella speranza di ottenere da Spata Calogero una deposizione cupiscente o che il Dolce si è intromesso, con i noti metodi di imposizione mafiosa in affari della ditta Spata, di cui il titolare non ha voluto parlare per un comprensibile ritegno e anche per la preoccupazione di deporre nei confronti di un mafioso. In ogni caso resta confermato quanto si è detto sulla personalità mafiosa di Dolce Filippo.
Lipari Giovanni risulta legato a Calò Giuseppe, Fiorenza Vincenzo, a Messina Calogero, a Dolce Filippo ed Alberti Gerlando. Con gli ultimi due soleva avere delle riunioni nel suo magazzino di via Danesinni, il cui scopo non doveva essere certo lecito, se l’Alberti e il Dolce si sono ostinati a negarle.
Dalle indagini svolte dal Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri in occasione dell’omicidio di Diana Bernardo, consumato il 22 giugno 1963, risultò che Calò Giuseppe era molto legato al Diana, di cui frequentava il magazzino di piazza S. Oliva. Tale circostanza, confermata dai testi Cassarà Francesco e Cusimano Salvatore, è molto rilevante in rapporto alla equivoca personalità del Diana, ai suoi loschi traffici in relazione ai quali maturarono probabilmente i contrasti che portarono al suo assassinio.
Calò Giuseppe risulta inoltre legato ai fratelli Buscetta Tommaso e Vincenzo, a Lipari Giovanni e Vitrano Arturo, nonché ad Alberti Gerlando. Per i rapporti del Calò con Alberti occorre ricordare che il padre del Calò, come si è già detto, venne ucciso dal mafioso Scaletta, il cui successivo omicidio, ad opera sospetta di Alberti Gerlando & Filippone Salvatore, assolti per insufficienza di prove, induce a dare una particolare importanza al vincolo creatosi tra i predetti ed il Calò, giacché quelli, in definitiva, erano stati quanto meno indiziati di essersi assunto il suolo di vendicatori della uccisione del padre di Giuseppe Calò. Costui, inoltre, tramite lo zio Filippone Salvatore, é imparentato col già citato Gaetano Filippone.
Di Calò occorre infine mettere in evidenza la sua rapida ascesa economica essendo in pochi anni passato dalle modeste mansioni di commesso di un negozio di stoffe in via Maqueda all’esercizio di lucrose attività commerciali, prima come rappresentante per conto della ditta Teresi e poi come gestore di un bar in via La Marmora e di un bar in via S. Agostino.
Sul conto di Geraci Giuseppe è da dire che le accuse formulate nei suoi confronti dagli organi di Polizia, quale intermediario tra la mafia locale e Alberti Gerlando e altri mafiosi che agivano a Milano, responsabili, tra l’altro del tentato omicidio di Angelo La Barbera, commesso il 24 maggio 1963 nel viale Regina Giovanna, sono avvalorate dalla lunga latitanza in cui ancora si mantiene l’imputato, nonostante le attive e continue ricerche disposte nei suoi confronti.
La possibilità di restare a lungo latitante è proprie del delinquente in genere, del mafioso in particolare, che dispone di larghi mezzi finanziari e di una sicura rete di protettori e favoreggiatori.
Quanto a Badalamenti Pietro costui risulta legato, secondo gli accertamenti della Squadra Mobile e del Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri, a Sorce Vincenzo, inteso “Cecé”, col quale fu notato più volte insieme, e a Buscetta Tommaso Vincenzo, per il rapporto di affinità esistente tra le propria sorella e la mogli dei predetti.
L’imputato, negando ostinatamente di conoscere Sorce e Buscetta, avvalora praticamente le risultanze delle indagini della Polizia, giacché non é credibile che non conosca un individuo visto più volte in sua compagnia né i cognati del proprio cognato, tale essendo Cavallaro Mariano, sposato con Badalamenti Maria Assunta, rispetto a Buscetta Tommaso, sposato con Cavallaro Melchiorra ed a Buscetta Vincenzo, sposato con Cavallaro Rosa.
Camporeale, secondo il costume classico dei mafiosi, ha negato tutto, ha negato persino di conoscere chiunque dei coimputati, nonostante l’evidenza delle risultanze al riguardo emerse.
La sua personalità di pericoloso mafioso è ancora maggiormente posta in rilievo dal rapporto in data 16 settembre 1964 della Squadra Mobile e del Nucleo di Polizia Giudiziaria, relativo alle indagini svolte in merito all’incendio di una autovettura appartenente a tal Fomeno Alfredo.
Secondo tale rapporto il Camporeale, trovandosi già in carcere, avrebbe dato mandato di incendiare l’auto del Romano per vendicarsi dell’affronto da costui fattogli di intrecciare una relazione con la sua amante, Garofalo Maria, moglie di Zangara Antonino.
Attraverso le posizioni di Romano, Garofalo Maria, Zangara Anna Maria, Zangara Antonina si è avuta una ulteriore conferma del vincolo mafioso di Camporeale Antonino con Fiorenza Vincenzo e altri mafiosi, dell’influenza ancora esercitata sul suo ambiente dall’interno del cerosis..
Quanto a Fiorenza Vincenzo, inteso “acidduzzu” trattasi di un mafioso noto per i suoi precedenti violenti e per i gravi sospetti emersi in passato sul suo conto quale esecutore di omicidi.
Oltre quanto si è detto, parlando del Camporeale, è da ricordare che il Fiorenza e lo stesso Camporeale la notte del 7 Luglio 1963 furono ospitati, insieme con Alberti Gerlando Catalano Salvatore, in casa del pregiudicato Bo Emilio & Milano in via Washington, 83.
Dei fratelli Zangara si occupa il citato rapporto del 16/9/1964, da cui risulta che i predetti imputati sono figli di un malfamato mafioso Zangara Giovanni ucciso il 6 aprile 1961 nei pressi del Cimitero di S. Orsola, legati ai Filippone di Piazza Danesinni e a Camporeale Antonino, indicato come l’amante della moglie di Zangara Antonino, a nome Garofalo Maria, figlia anch’ella di un temuto mafioso a nome Garofalo Salvatore, ucciso il 7 agosto 1955 in via Matteo Bonello ad opera di certo Sutera Giovanni.
Particolarmente ripugnante la figura di Zangara Antonino, responsabile di atti di libidine violenti in persona delle figlie Anna Maria e Antonina e di un’altra ragazza minorenne, già condannato in primo grado per tale reato.
Zangara Antonino e Giovanni sono accusati da Romano Alfredo e da Garofalo Maria con particolare veemenza di essere pericolosi mafiosi, capaci di qualsiasi delitto. La Garofalo inoltre ha formulato nei confronti di Garofalo Giovanni una precisa accusa di tentato omicidio in suo pregiudizio, commesso nel gennaio 1958, accusa confermata dalla deposizione di Zangara Anna Maria, per cui è in istruzione separato procedimento penale.
Le citate deposizioni mettono in luce una fosca vicenda intessuta di violenze, intimidazioni e sopraffazioni, ad opere di Camporeale Antonino, Zangara Antonino e Zangara Giovanni.
Quanto a Zangara Francesco non sono emersi sul suo conto sufficienti elementi di responsabilità giacché nei suoi confronti sia il Romano che la Garofalo e le figlia non hanno riferite nulla di concreto. Risulta inoltre che Zangara Francesco svolge un’attività lavorativa - impiegato presso una ditta privata – diversa da quella dei fratelli, i quali gestiscono una panetteria e vive lontano dall’ambiente da quelli frequentato. Si ritiene pertanto giusto prosciogliere Zangara Francesco dal reato ascrittogli per insufficienza di prove.
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