- Gli scienziati autori dello “studio” dal titolo “SARS-CoV-2- il ruolo dell’immunità naturale: una revisione narrativa”, che avevamo criticato ci chiedono una rettifica. E allora, rettifichiamo.
- Nel loro “studio” questi “scienziati” hanno scritto che: “La protezione indotta dall’immunità naturale dopo un’infezione di COVID-19 sembra comparabile o superiore a quella indotta dalla vaccinazione contro il Sars-CoV-2. Di conseguenza la vaccinazione dei soggetti non vaccinati che siano guariti dal COVID-19 può essere non indicata.” E’ falso.
- Tutti gli articoli pubblicati sull’argomento dimostrano che l’immunità indotta dal vaccino è paragonabile o superiore per efficacia e durata, e soprattutto, è immensamente più sicura rispetto a quella indotta dall’infezione naturale. Perché il Covid uccide 2 persone ogni 100, mentre di vaccino muore fortunatamente solo una persona ogni 5-10 milioni.
Il 3 novembre, ho scritto un articolo intitolato Le nuove falsità somministrate dalla Verità su Covid e vaccini, in cui criticavo un editoriale che il direttore de La Verità Maurizio Belpietro aveva pubblicato sul suo quotidiano. Scriveva Belpietro che «chi si è sottoposto alle tre iniezioni si infetta più facilmente di chi non le ha fatte». Ovviamente, è falso.
Belpietro, poi, citava uno “studio” redatto da alcuni “scienziati” italiani, dal titolo SARS-CoV-2- il ruolo dell’immunità naturale: una revisione narrativa, che dimostrerebbe che “l’immunità naturale, cioè quella conseguita da chi si è ammalato di Covid ed è guarito, dura più a lungo di quella indotta dai vaccini.” Falso anche questo.
Adesso i tredici scienziati autori dello studio si sono sentititi offesi, e ci chiedono una rettifica. Allora, rettifichiamo, ma prima vi spiego come funziona la scienza.
Come funziona la scienza
Mettiamo che voglio studiare il Covid. Posso fare una ricerca di base: un gruppo di scienziati isola il virus da campioni umani, lo mette in cultura su speciali linee cellulari, studia il suo genoma e le sue proteine, lo inietta in animali di laboratorio per capire come agisce.
Oppure, posso fare una ricerca clinica: un gruppo di medici ed epidemiologi raduna un campione numeroso di individui infettati dal virus, studia come evolve la malattia e analizza la loro risposta immunitaria grazie a indagini di laboratorio accurate ed estese nel tempo; oppure, testa su di essi farmaci e terapie.
Sono ricerche complicate che richiedono tecnologie avanzate, e costano milioni di dollari: per questo se le possono permettere solo i centri di ricerca delle università più prestigiose, dove lavorano gli scienziati più competenti e autorevoli.
In ogni caso, alla fine gli scienziati devono prima compiere complesse analisi statistiche per accertare che i loro dati siano validi, dopodiché redigono un “paper”, cioè un articolo, che viene inviato ad una rivista scientifica. E più originale e rilevante è la tua ricerca e più prestigiosa sarà la rivista alla quale la puoi inviare.
Quando invii il tuo articolo a una di queste riviste, il comitato editoriale prima di accettarlo lo invia a un certo numero di referee (“arbitri”), cioè a scienziati prestigiosi esperti del settore che, restando anonimi per garantire una maggiore imparzialità, valutano se il tuo lavoro è fatto bene o no, se servono altri esperimenti in più, e se hai fatto errori.
Più prestigiosa è la rivista e più autorevoli saranno i referee, e più scrupoloso sarà il loro referaggio. In riviste di alto livello i referee spesso rifiutano il tuo articolo perché lo ritengono mediocre, e tu sei costretto a rivolgerti a riviste di lignaggio inferiore, oppure se sei fortunato ti richiedono così tanti esperimenti in più che quasi sempre dal primo invio del tuo paper alla sua pubblicazione possono passare mesi o addirittura anni.
E poi ci sono le cosiddette review, o revisioni. Spesso si pubblicano così tanti studi sullo stesso argomento che talvolta uno o più scienziati che siano autorità riconosciute in quel campo scrivono una revisione che fa il punto sullo stato delle ricerche.
Come si valuta il prestigio di una rivista scientifica? Con il cosiddetto "impact factor”. L’impact factor è un numero che indica quante volte in media un articolo pubblicato su quella rivista viene citato in letteratura nell’arco di due anni.
Ovviamente, le riviste più prestigiose hanno impact factor più alti, e solo gli scienziati migliori ci pubblicano i loro lavori.
La replica degli scienziati
La scienza è una foresta in cui è chi non è esperto può perdersi facilmente, e potrebbe scambiare un fungo per una sequoia. E adesso, iniziamo a rispondere alle richieste di rettifica dei nostri tredici “scienziati”: saranno funghi o sequoie? Il giudizio lo lascio a voi.
Punto uno. Scrivono: «Il nostro non è uno studio antiscientifico ma uno studio scientifico a tutti gli effetti». Difatti nel mio articolo non ho mai scritto che il loro articolo sia antiscientifico, ma a dire la verità lo penso.
Punto due. «La revisione o rassegna narrativa è prevista nella letteratura biomedica». Vero, ma di solito viene affidata a scienziati che siano autorità riconosciute del campo. Questi medici lo sono? Lo vedremo.
E aggiungono: «Se una revisione narrativa include senza esclusioni pregiudiziali la grande maggioranza degli studi rilevanti come la nostra fotografa bene lo stato dell’arte».
Sul fatto che gli autori fotografino senza pregiudizi lo stato dell’arte avrei dei dubbi, visto che sono tutti stranamente anti-vaccinisti.
Punto tre. «La rivista Journal of Clinical Medicine non è una rivista predatoria». Invece sì, eccome. Tutti gli scienziati seri lo dicono, come il professor Angeles Oviedo-Garcia che lo ha scritto nero su bianco in un articolo intitolato La definizione di rivista predatoria: il caso del Multidisciplinary Digital Publishing Institute, che sarebbe la casa editrice che pubblica la rivista in questione.
Riviste predatorie
Cos’è una rivista predatoria? Le riviste predatorie - dette anche pseudo-riviste o riviste truffa- sono riviste in cui chiunque può pubblicare un articolo insignificante sborsando un po’ di dollari. Come riconoscerle? Spesso, hanno comitati editoriali composti da scienziati sconosciuti, medici di periferia, pensionati. I referee a cui si rivolgono sono scienziati dai titoli inesistenti, inesperti e molto benevoli, che in pochi giorni leggono il tuo articolo, dicono sempre che va tutto bene, e te lo fanno pubblicare subito.
Per fare un esempio, la rivista di clinica medica più importante al mondo è Lancet, che possiede un comitato editoriale formato da venti autorevoli scienziati al cui capo siede Richard Horton, professore onorario della Scuola di Igiene e Medicina Tropicale dell’Università di Londra, curriculum stellare, centinaia di pubblicazioni mirabili, consulente dell’Oms e dell’Onu.
Invece, il comitato editoriale del Journal of Clinical Medicine è composto da ben 152 membri (abbondiamo!) tra cui figurano: il dottor Roberto Cuomo, chirurgo plastico dell’Università di Siena, autore di pubblicazioni tra cui spiccano Le protesi al silicone del seno, pubblicato sulla Rivista Indiana di Chirurgia Estetica, e l’imperdibile Il caso di una verruca gigante sul pene, pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle Scienze Senese; e il professor Luis Del Carpio Orantes, medico internista dell’Ospedale di Veracruz, Mexico, autore di studi quali La sindrome di Guillian Barrè, pubblicato sul Giornale di Neuroscienze della Pratica Rurale, rivista che basta la parola. Insomma, le riviste predatorie sono costruite per dare prestigio a chi prestigio non ne ha.
Questione di CV
Punto quattro. Scrivono gli autori: «Spiace che finora gli unici commenti siano stati attacchi diretti ad autori del nostro articolo». Ma valutare gli autori di un articolo è fondamentale per capire se sono credibili o no. E chi sono questi autori?
Sono: la dottoressa Sara Diani, una omeopata della Scuola di Musicoterapia dell’Università Jean Monnet di Padova; la dottoressa Erika Leonardi, del reparto di ortopedia dell’Ospedale Guzzardi di Vittoria, provincia di Ragusa; il dottor Attilio Cavezzi, direttore dell’Eurocenter Venalinfa, un poliambulatorio che ha il motto “Dove la salute incontra la bellezza,” specializzato nella cura delle vene varicose e con sede a San Benedetto del Tronto; la dottoressa Simona Ferrari, odontoiatra di Ferrara; la dottoressa Oriana Iacono, fisiatra dell’ospedale di Mirandola, provincia di Modena; Alice Limoli, tecnico ambientale dell’Arpav (Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto) di Treviso; la dottoressa Zoe Bouslenko, cardiologa e omeopata.
E ancora: il Dottor Daniele Natalini, direttore di uno studio odontoiatrico di Ancona che promette “soluzioni estetiche per ogni tipo di problema odontoiatrico, sbiancamento, implantologia, protesi dentarie”; la dottoressa Stefania Conti, titolare di uno “studio odontoiatrico con sede a Cadelbosco di Sopra, provincia di Reggio Emilia, che si occupa di pulizia dei denti, otturazione, eliminazione carie, protesi fissa, faccette dentali, corone e ponti”.
Il dottor Mario Mantovani si definisce “Chimico Sperimentale, Bio-tecnologo Alimentare”, quindi non è un medico ma un nutrizionista, e lavora alI’Istituto di Medicina Biologica di Milano, un centro dove praticano la idrocolonterapia, cioè ti irrorano l’ano con acqua per depurarti – guarda tu che progressi fa la scienza.
Il dottor Silvano Tramonte è presidente della fantomatica Commissione Ambiente e Salute dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura di Milano, e titolare dei Centri implantologici Tramonte di Milano, un dentista che però ha un’idea bizzarra: sostiene che il «Covid in forma grave potrebbe essere favorita dalle cattive condizioni di salute orale».
Infine, il dottor Alberto Donzelli, della fondazione Allineare Sanità e Salute, e il Dottor Eugenio Serravalle, direttore dell’Associazione di Studi e Informazione sulla Salute, entrambi con chiare simpatie anti-vacciniste. E’ un’Armata Brancaleone di omeopati, dentisti e nutrizionisti, nessuno dei quali è esperto di Covid e ha pubblicato alcunché di rilevante sul tema. Forse coltivano il virus sulle protesi dentarie e lo studiano con i trapani da dentista e la idrocolonterapia.
Contro la realtà
Nel loro “studio” questi “scienziati” hanno scritto che: «La protezione indotta dall’immunità naturale dopo un’infezione di COVID-19 sembra comparabile o superiore a quella indotta dalla vaccinazione contro il Sars-CoV-2. Di conseguenza la vaccinazione dei soggetti non vaccinati che siano guariti dal COVID-19 può essere non indicata»
Centinaia di articoli scientifici seri che dimostrano che la vaccinazione con due dosi e i successivi booster garantisce una protezione superiore, più duratura e soprattutto più sicura di quella indotta dall’infezione naturale da Covid-19. Come fanno a dimostrare cose opposte alla realtà?
Gli autori sono maestri di cherry picking, ovvero sistematicamente scelgono le ciliegie – cioè gli studi - che parrebbero sostenere le loro bislacche tesi, e omettono tutte le ciliegie che sostengono l’opposto, cioè il giusto.
Per esempio, gli autori prendono un articolo famoso, pubblicato nell’agosto del 2021 da un gruppo di scienziati dell’Università di Tel Aviv guidati dal professor Tal Patalon, che si intitola: “Confronto tra l’immunità acquisita naturalmente e l’immunità indotta dal vaccino contro il Sars-Cov-2”.
Questo studio dimostra che «i vaccinati con due dosi contro il SARS-CoV-2 hanno un rischio essere re-infettati dalla variante Delta 13 volte superiore rispetto a chi è stato infettato in precedenza».
La loro ricerca è stata fondamentale perché ci ha permesso di capire che l’immunità indotta da due dosi di vaccino dopo circa sei mesi comincia a declinare, forse più in fretta rispetto all’immunità naturale, e che quindi è assolutamente necessario fare la terza dose.
E nessuno, men che meno agli scienziati autori dello studio, si è mai sognato di dire che visto che l’immunità naturale sembrava garantire una protezione migliore rispetto a quelle indotta dal vaccino allora era meglio non vaccinare le persone e lasciarle infettare dal virus.
Difatti, la rivista Science aveva pubblicato un editoriale dal titolo “Avere il Sars-CoV-2 conferisce un’immunità molto maggiore rispetto al vaccino- ma la vaccinazione rimane vitale.” Michel Nussenzweig, illustre virologo della Rockfeller University, spiegava: «Non vogliamo che la gente dica: Bene, allora adesso esco e mi prendo l’infezione, oppure organizzo un bel party di infetti, perché qualcuno potrebbe morire».
Invece, il dottor Serravalle e i suoi colleghi scrivono che «la vaccinazione dei soggetti non vaccinati guariti dal Covid può essere non indicata», una pericolosa fandonia, e stranamente dimenticano di citare questo editoriale di Science e mille altri studi che sostengono l’opposto.
Come lo studio effettuato dallo stesso gruppo di scienziati israeliani guidati dal professor Patalon, uscito a maggio 2022 e intitolato «L’incidenza della reinfezione da Sars-CoV-2 in persone con immunità naturalmente acquisita con e senza una successiva dose di vaccino», che dimostra che chi ha preso il Covid e poi si è vaccinato ha una immunità molto maggiore e più sicura rispetto a chi ha avuto il Covid ma poi non si è vaccinato.
Adesso, poi, con i richiami e l’arrivo di Omicron, le cose si sono addirittura capovolte: centinaia di studi dimostrano che chi è vaccinato e ha fatto il booster possiede una protezione molto maggiore, più duratura e soprattutto più sicura rispetto a chi ha avuto un’infezione naturale o peggio ancora non è vaccinato.
Impact factor
Punto cinque. Scrivono Serravalle e colleghi: «La rivista Journal of Clinical Medicine è di prima fascia e una delle riviste mediche a più alto impatto al mondo». E’ falso. Lasciamo parlare i numeri: Lancet ha un Impact factor di 202,721, il Journal of Clinical Medicine ha un impact factor risibile, pari a 5.
Punto sei. Scrivono gli autori: «il processo di revisione è stato rigoroso». E’ falso. Il loro articolo è stato ricevuto dalla rivista il 25 settembre 2022 ed è stato accettato il 20 ottobre, in solo tre settimane, un tempo ridicolmente breve.
I tre referee, due dei quali sono anonimi e il terzo è quel Luis Del Carpio Orantes, medico internista dell’Ospedale di Veracruz esperto di Neuroscienze rurali, scrivono che il lavoro è perfetto così com’è, anche se è pieno di incongruenze ed errori.
Consigliano solo di migliorarne l’inglese, al che gli autori rispondono: «We ameliorated the English language in our paper. We let an English native speaker checking and correcting the document».
Che paradossalmente è una frase piena di errori di inglese poiché "let” ha un altro significato e regge l’infinito e non il gerundio.
Punto sette. Gli autori scrivono: «Non conosciamo le decine e decine di articoli scientifici che provano che l’immunità indotto dal vaccino è più efficace e duratura di quella indotta dall’infezione del virus».
Purtroppo per loro, tutti ma proprio tutti gli articoli pubblicati sull’argomento dimostrano che l’immunità indotta dal vaccino è paragonabile o superiore per efficacia e durata, e soprattutto, è immensamente più sicura rispetto a quella indotta dall’infezione naturale.
Perché il Covid uccide 2 persone ogni 100, mentre di vaccino muore fortunatamente solo una persona ogni 10 milioni.
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