- Nel corso del 2021 i SerD hanno assistito 123.871 persone con Disturbo da Uso di Sostanze, se nel tempo l’uso di oppiacei è costantemente diminuito, è gradualmente aumentata la percentuale di trattamenti per uso di cocaina e crack. Oltre la metà dell’utenza in carcere è assistita per uso primario di cocaina o crack.
- Dal 2011 i ricoveri direttamente correlati al consumo di cocaina risultano in costante e progressivo aumento in entrambi i generi. La dipendenza da cocaina viene oggi definita come una «patologia cronica recidivante ad eziologia multifattoriale».
- Vuol dire che la dipendenza non è scontata ma che una volta sviluppata è molto difficile da curare.
«Produce una sensazione di euforia, infaticabilità e lucidità mentale, e favorisce la loquacità». Ma può causare anche «dipendenza e diversi danni alla salute, che variano a seconda della modalità d’assunzione e della frequenza d’uso, tra cui problemi circolatori e cardiaci, fino all’infarto».
Così il volume Le droghe in sostanza (Iperborea, 2022) descrive gli effetti della cocaina, fra le sostanze stupefacenti la regina, perché associata a un’immagine positiva e vincente che poco ha a che vedere con la sostanza in sé e moltissimo con la società in cui viviamo.
Come scrive Raimondo Pavarin, sociologo sanitario esperto in epidemiologia delle dipendenze: «Le motivazioni per l’uso possono essere distinte in tre categorie di effetti: fisici (ridurre la stanchezza, avere maggiori energie, per ballare), intellettivi (piacere, intimità, chiarezza mentale) e sociali (essere più loquaci, divertirsi assieme agli amici).
Tutti i consumatori ammettono questi effetti, anche se alcuni affermano in modo esplicito che consumano per andare a divertirsi quando si sentono troppo stanchi per uscire».
Secondo la Relazione annuale sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia la cocaina è la sostanza illegale più consumata dopo la cannabis.
Delle 30.083 persone segnalate nel 2021 all’Autorità Giudiziaria per reati penali commessi in violazione della legge n.309 del 1990 il 45 per cento delle denunce ha riguardato la detenzione di cocaina/crack. Anche nelle carceri la cocaina è, dopo cannabis e tabacco, la sostanza più usata.
I dati tuttavia non consentono di scorporare i numeri dei grandi spacciatori dai piccoli consumatori. Vediamo soltanto come il 90 per cento delle denunce si riferisca al reato di produzione, traffico e detenzione illecita e il 10 per cento a quello di associazione finalizzata al traffico.
Considerando che la produzione di coca in Italia è impossibile per ragioni climatiche, dobbiamo considerare che traffico e detenzione occupano larga parte delle segnalazioni.
Chi sono i consumatori
Chi consuma cocaina? Il profilo della persona che usa saltuariamente o anche abitualmente il principio attivo della coca è estremamente fluido, dall’operaio che la usa per reggere ritmi di lavoro pesanti al professionista, ai ragazzi che fumano crack e sviluppano una dipendenza, entrando in contatto con i servizi, a chi alterna coca, alcol, e altre sostanze, senza sviluppare un consumo patologico.
L’uso fra gli studenti sembra essere contenuto, tra quelli che rispondono ai questionari nel 2021, il 37,8 per cento lo ha fatto al massimo 2 volte, un quarto dalle 3 alle 9 volte e il 37,1 per cento ne ha fatto invece un uso più frequente (10 o più volte negli ultimi 12 mesi) (ma le percentuali si riferiscono a una cifra piuttosto bassa, 60.000 studenti circa).
Secondo un rapporto del 2019 stilato dalla Cooperativa Parsec che a Roma si occupa di riduzione del danno però: «si è colto un aumento delle persone che utilizzano solo la cocaina per via endovenosa come sostanza di abuso primaria. Questa popolazione di tossicodipendenti ha una evidente difficoltà nel riconoscere l’uso problematico che fa della sostanza e quindi il contatto e la relazione con loro, diventa spesso più difficile e critica. La richiesta di aiuto si manifesta con fatica e spesso avviene perché spinti e sollecitati da un familiare e non perché realmente consapevoli e motivati. Inoltre lo stato di iper-eccitazione in cui la sostanza li induce, rende difficile anche il semplice scambio. Queste persone utilizzano il servizio principalmente per lo scambio siringhe e con difficoltà accedono agli altri servizi offerti».
Nel corso del 2021 i SerD hanno assistito 123.871 persone con Disturbo da Uso di Sostanze, se nel tempo l’uso di oppiacei è costantemente diminuito, è gradualmente aumentata la percentuale di trattamenti per uso di cocaina e crack. Oltre la metà dell’utenza in carcere è assistita per uso primario di cocaina o crack.
Dal 2011 i ricoveri direttamente correlati al consumo di cocaina risultano in costante e progressivo aumento in entrambi i generi. La dipendenza da cocaina viene oggi definita come una «patologia cronica recidivante ad eziologia multifattoriale».
Vuol dire che la dipendenza non è scontata ma che una volta sviluppata è molto difficile da curare. La percentuale è del 6 per cento entro i primi due anni dal primo uso, del 15 per cento entro dieci anni.
Il rischio è maggiore per chi fuma crack o la inietta. Conseguenza di «una complessa interazione fra variabili biologiche, psicologiche e ambientali» impone un intervento integrato: psicoterapia, farmaci, ambientale-familiare, collaborazione con diverse figure professionali. Ma non esiste un omologo del naloxone per risolvere un’overdose da cocaina, né un farmaco sostitutivo come il metadone, e questo è un problema molto serio nel trattamento delle dipendenze.
L’importante è farcela
La cocaina risponde a una esigenza precisa: farcela. Non importa come. Farcela. «La cocaina agisce dove esiste un contesto sociale, relazionale, fa percepire il soddisfacimento della propria posizione rispetto agli altri», dice Ernesto De Bernardis, farmacologo, responsabile del Sert di Lentini.
Secondo il 13° Libro bianco sulle droghe «siamo immersi in una crisi strutturale che necessita in molti campi un cambio di paradigma nell’approccio a fenomeni in rapido cambiamento come quello dei consumi, degli abusi e delle varie forme di dipendenza da sostanze e non, che ci accompagna da decenni ma con cui la nostra società sembra non voler e saper fare i conti. Ancor di più con le domande che questa epoca ci consegna».
Se fino agli anni Ottanta i profili di chi faceva uso di cocaina e di eroina erano ben distinguibili, a partire dagli anni Novanta, anche grazie al fatto che si è diffusa l’abitudine di fumarle entrambe, il consumo delle due sostanze è sempre più indistinto.
Sempre secondo il rapporto Parsec: «Non è inusuale vedere eroinomani che improvvisamente utilizzano cocaina e la eleggono a sostanza primaria per un certo periodo o che la alternano all’eroina o/e agli psicofarmaci durante la stessa giornata. Inoltre l’alcool sembra la costante che accompagna qualsiasi tipo di sballo.» Oltre la pratica dello speed ball, che vuole eroina e cocaina consumate simultaneamente, con lo scopo di assommare gli effetti “euforizzanti” (qualsiasi cosa significhi) elidendo i rispettivi effetti sedativi ed eccitanti, si fuma eroina dopo una “nottata” per mettere a riposo gli effetti eccitanti della coca e dormire.
Insieme all’eroina
Se sia stata una spinta del mercato o viceversa non è chiaro, certo è, come scrive Salvatore Giancane nel suo studio Eroina. La malattia da oppioidi nell’era digitale, che «da circa 10-15 anni il mercato della cocaina e quello dell’eroina, in passato rigidamente separati, hanno iniziato a coincidere. Secondo alcuni, ciò sarebbe dovuto soprattutto ai canali di spaccio già attivi sul territorio e gestiti dalle organizzazioni criminali, come la ‘ndrangheta calabrese. Quest’ultima, conquistato il monopolio del traffico di cocaina nel nostro Paese, l’avrebbe poi distribuita secondo gli stessi canali già utilizzati per l’eroina».
L’Italia si conferma essere, con un aumento 36,9 per cento rispetto al 2011, dei quantitativi sequestrati, come punto di snodo e di transito strategico.
La portaerei della droga, come si diceva negli anni del secondo dopo guerra. Il porto di Gioia Tauro, che incide per il 97,5 per cento (kg 13.364,94) è stato quello in cui è stata sequestrata la maggiore quantità di cocaina, seguito da quello di Vado Ligure (SV) (kg 138,29) e di Livorno (kg 118,53). La cocaina costa intorno ai 39.000 euro il chilogrammo. Fatevi due conti.
La coca arriva dunque nei porti italiani ma il suo viaggio è lungo, con navi container viene dal Perù, dal Brasile, dall’Ecuador, dalla Colombia, dal Costa Rica, e le sue storie sono al centro di un’epica ormai più che consolidata.
Tutti i frequentatori di siti streaming conoscono a menadito i nomi di tutti i cartelli colombiani (i più celebri grazie a Pablo Escobar), la loro attività economica, i legami con il sistema finanziario internazionale.
Esiste una narco musica con le sue hit, e una new wave rock che parla dei narcos, come Miss Panela della rock band Los Aterciopelados. La storia del passato della cocaina, è meno nota, invece.
Ascesa di una dipendenza
Presente nelle foglie di coca, da cui il nome, scoperta dal chimico tedesco, Friedrich Gaedcke, nel 1855 la cocaina è stata a lungo usata come anestetico locale, come composto di celebri liquori e di bevande come la Coca cola, anche se in una percentuale bassissima. Uno dei primi paesi a legiferare contro il consumo della sostanza sono stati gli Stati Uniti dove, fra il 1890 e il 1902 le vendite di cocaina farmaceutica aumentano del 700 percento.
Quello della produzione di cocaina diventa un caso nazionale che contrappone i medici (e le leghe di temperanza), alle industrie farmaceutiche che ancora non hanno alcun controllo da parte dello Stato. La cocaina, dunque, molto prima dell’Harrison Narcotic Act del 1914, pietra angolare su cui si costruisce il paradigma proibizionista, è la sostanza che porta a regolamentare il mercato farmaceutico.
Nel 1921 viene pubblicato il romanzo di Pitigrilli (Dino Segre), Cocaina che, come ha scritto il farmacologo Paolo Nencini, ha permesso a un pubblico vasto di guardare dal buco della serratura comportamenti considerati depravati.
«Il romanzo di Pitigrilli certificava la sperimentazione di un piacere, quello degli stupefacenti» e fra gli stupefacenti, della cocaina. Negli anni Trenta fanno uso di cocaina ristrette élite abbastanza eterogenee: dalle star di Hollywood ai gerarchi del Terzo Reich É una sostanza associata al vizio, e soprattutto alla ricchezza, costa infatti moltissimo. Il farmacologo Giovanni Allevi nel primo trattato sulle droghe pubblicato in Italia nel 1931 scrive: «Il pericolo delle sostanze tossiche usate a scopo voluttuario è nella facilità della loro propagazione. In Italia, prima della guerra, esistevano pochi morfinisti, non v’erano cocainisti, alla distanza di alcuni anni lo Stato, soprattutto per la cocaina, ha sentito la necessità di votare la legge contro gli stupefacenti che ha dovuto anche inasprire, perché ritenuta insufficiente alla bisogna. Del resto anche per i veleni esiste una moda. L’oriente non si accontenta più dell’oppio e della canapa, ma già reclama, al pari dell’Occidente, la morfina, l’eroina e la cocaina».
La cocaina torna in auge in Italia negli anni Cinquanta come droga della malavita, diversi capibanda come Sandro Brezzi o il Conte Mino, al centro della cronaca nera nei primi anni dopo la seconda guerra mondiale, sono descritti dai quotidiani come cocainomani.
La cocaina la si può trovare nei cosiddetti «beri beri», luoghi del piacere, nascosti agli occhi dei più, così descritti da Franco Di Bella nel suo celebre reportage Italia nera del 1960: «Ci sono fontane, e luci soffuse, in un parco meraviglioso, e marmi all’ingresso, divani, poltrone, tappeti, cuscini sui pavimenti di alabastro, e tutto vi si svolge come in una fiaba da mille a una notte»
Negli anni Settanta la cocaina torna di moda come droga ricreativa. A differenza dell’oppio e dei suoi derivati come la morfina non vi è una diffusione iatrogena (cioè medica prima che voluttuaria): la “coca” non ha pretesa di curare niente ed è subito chiaro che serve per “stare a palla”.
Fino agli anni Ottanta l’allarme sociale intorno alla cocaina è, però, relativo, per il suo costo infatti è meno diffusa dell’eroina, i numeri di morti per overdose sono assai contenuti, insomma non fa paura. La paura arriva con il crack, un precipitato di cocaina che produce cristalli che scaldati producono il caratteristico suono onomatopeico.
Il crack è il primo motore immobile della guerra alla droga del presidente George H. Bush che il 5 settembre 1989 parla in tv proprio di questo. Secondo Bush, le droghe sono responsabili del crollo delle istituzioni governative degli Stati Uniti, del sistema di giustizia penale, e danneggiano le future generazioni.
Non dice, insomma, Bush che il crack si è diffuso in contesti impoveriti da crisi economica e scelte neo-liberiste, no: è vero il contrario. La droga produce povertà.
Eppure, la grande diffusione di cocaina negli ambienti della finanza dimostra esattamente il contrario: la droga, in quel caso, produce ricchezza.
Oggi, l’abbiamo visto, questa distinzione non esiste più, se non nella testa di qualche politico, o giornalista: del resto fa sentire più sicuri pensare che il mondo si divide in due. Chi fa uso di cocaina, e sta con il lato oscuro della forza, e chi no.
Ma, come ha scritto Roberto Saviano in Zero zero zero (Feltrinelli, 2013): «La coca la sta usando chi è seduto accanto a te ora in treno e l’ha presa per svegliarsi stamattina o l’autista al volante dell’autobus che ti porta a casa, perché vuole fare gli straordinari senza sentire i crampi alla cervicale. Fa uso di coca chi ti è più vicino. Se non è tuo padre o tua madre, se non è tuo fratello, allora è tuo figlio. Se non è tuo figlio, è il tuo capoufficio (…) il veterinario che cura il tuo gatto. Il sindaco da cui sei andato a cena. Il costruttore della casa in cui vivi, lo scrittore che leggi prima di dormire, la giornalista che ascolterai al telegiornale». Parlarne in modo serio, una buona volta, sarebbe opportuno.
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