- Negli ultimi dieci-vent’anni la nostra lingua si è arricchita di una gran quantità di neologismi e anglicismi che descrivono l’esperienza dei social media.
- Da “bannare” a “triggerare”, da “boomer” a “shitstorm”, ecco un ripasso generale di questo nuovo lessico.
- Se avete meno di trent’anni forse le conoscete tutte, ma messe in fila fanno comunque impressione. E non sono nemmeno tutte.
Sei un boomer? In questo caso, è probabile che tu non conosca il significato di molte parole che si sono diffuse negli ultimi dieci/vent’anni. È anche possibile che tu non conosca la parola “boomer” e che ti chieda perché ti sto dando del tu, come se ci conoscessimo. Beh caro mio benvenuto a Internet, e in entrambi i casi il seguente lessico essenziale potrà tornarti utile per non sfigurare quest’estate.
Hai meno di trent’anni? Probabilmente le conosci tutte, e persino di più. Ma lette in fila fanno comunque impressione. In molti casi queste parole - alcune derivanti dall’epoca delle bacheche elettroniche - potrebbero finire nell'elenco di "parole orrende" che da un decennio il poeta Vincenzo Ostuni raccoglie; e tuttavia sono la lingua della nostra epoca. Quindi attenzione, il cringe è sempre dietro l’angolo.
Bannare. Un tempo le persone che si erano macchiate di qualche disonore venivano bandite dalle città, oggi sui social si può ricevere un ban - e quindi, traducendo male in italiano, essere “bannati” - se si infrangono le policy della piattaforma o le regole della comunità.
Nel primo caso si viene bannati (provvisoriamente oppure definitivamente) da Facebook o da Twitter, magari per effetto di una procedura automatizzata; nel secondo semplicemente dal gruppo al quale si era iscritti, per decisione di una persona o di un gruppo di persone.
Basato. Il termine indica ironicamente qualcuno che la sa lunga - lunghissima se oltre a essere basato è pure “redpillato”. Gli strati d’ironia (v. layer) sono in realtà molteplici, a partire dalla traduzione maccheronica di un termine inglese, “based”, a sua volta privo di senso.
Inoltre si tratta di espressioni originariamente tipiche dell’alt-right americana. Redpillato fa riferimento alla famosa “pillola rossa” del film Matrix, che apre gli occhi del protagonista Neo sulla verità.
Bloccare. Sui social network ogni utente può decidere di bloccare un altro utente per non mostrargli i propri contenuti e per non vedere i suoi. Esempio: “Se non la smetti di infastidirmi ti blocco”.
Boomer. Contrazione di “baby boomer”, termine che i demografi già usavano per indicare i nati durante il periodo particolarmente fecondo successivo alla seconda guerra mondiale (Baby Boom), ha iniziato a essere utilizzato massicciamente dagli under-40 a partire dal 2019 nell’espressione strafottente “Ok boomer”. Potremmo tradurla con: “hai ragione tu, vecchio”.
La parola boomer è restata e indica genericamente qualcuno che è rimasto indietro, cosicché per diabolico contrappasso i trenta-quarantenni che l’avevano diffusa se la sentono oggi rivolgere dagli adolescenti.
Bot. Contrazione di “robot”, indica tutti gli interlocutori non-umani con i quali possiamo avere a che fare, anche inconsapevolmente, in rete. Non solo i “bot di assistenza” di qualche sito, che rispondono alle nostre domande secondo moduli prestabiliti dandoci l’illusione di una conversazione o di una intelligenza artificiale, ma anche taluni profili fake sui social dietro ai quali sembra esserci un generatore automatico di contenuti.
Esempio: “I suoi follower su Instagram? Sono tutti dei bot.” Accusare qualcuno di essere un bot può anche essere un modo di ironizzare sulla sua mancanza di originalità.
Cancellare. Da parte di una piattaforma, che si tratti di un social network o di un distributore di contenuti, la cosiddetta cancellazione di una persona si ottiene rimuovendone il profilo o le singole opere per ragioni politiche o morali.
La cancellazione è un effetto del “deplatforming”. In senso più esteso si parla di cancellazione per indicare l’ostracizzazione di una persona. Esempio: “Mi stupisco di non essere ancora stato cancellato dopo la pubblicazione del mio primo libro”.
Copypasta. Blocco di testo che viene copiato-incollato (copy-paste) diffondendosi in modo virale (caso particolare sono le leggende metropolitane horror, i cosiddetti creepypasta).
Chad/Virgin. Questa coppia di termini, teorizzata nella cultura memetica dell’alt-right americana, contrappone ironicamente un polo attrattivo - il termine inglese Chad indica il maschio alfa - e un polo poco attrattivo - con le fattezze di un verginello magrolino. Il Chad è ovviamente basato e redpillato.
Challenge. Periodicamente sui social network vengono lanciate delle sfide, che sia per puro divertimento oppure in nome di qualche causa umanitaria. Queste consistono spesso nel ballare al suono di una canzone o nel fare una cosa particolarmente stupida ed eventualmente pericolosa.
Tra le più celebri challenge virali del passato si ricordano la Harlem Shake del 2013 e l’Ice Bucket Challenge dell’anno successivo, che consisteva nel filmarsi mentre ci si rovesciava un secchio di acqua ghiacciata in testa per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sclerosi laterale amiotrofica e alla quale parteciparono (incredibile ma vero) nomi come Bill Gates e l’allora premier Matteo Renzi. Talvolta la stampa si allarma per qualche “challenge mortale” - in principio fu la famigerata Blue Whale - che si rivela poi essere esagerata.
Clickbaiting. Strategia editoriale che consiste nel concepire i titoli e le anteprime dei contenuti digitali (ad esempio gli articoli) sotto forma di esche (bait) per ottenere dei click, senza sincerarsi che il titolo corrispondano realmente al contenuto.
Community. Ogni gruppo di persone caratterizzate da una lingua, una storia o degli interessi in comune può essere definito una comunità, sulla base della condivisione di un tratto culturale trasversale.
Le piattaforme digitali permettono di moltiplicare le opportunità di condivisione e di appartenere a un grande numero di community sulla base di ognuno dei nostri interessi: “Fan della musica balcanica”, “Sei di Gubbio solo se…”, “Noi che discendiamo dagli etruschi”, “No agli schiamazzi dopo mezzanotte”, eccetera.
Conversazione. Tutto quello che accade in rete appartiene, da una certo punto di vista, a una grande conversazione collettiva. Questa conversazione fa evolvere, nel bene o nel male, la reputazione di ogni persona o brand.
Cringe. Imbarazzante. Esempio: “Ma che è sta boomerata? Cringe”.
Cuore. L’emoji del cuoricino - o l’emoticon equivalente <3 - indica generico affetto, senza implicazioni romantiche o sottotesti erotici e omoerotici (comunque sempre latenti).
Debunking. Confutazione di bufale e fake news da parte di una fonte autorevole. Poiché il giudizio su cosa sia una fonte autorevole è diventato sempre più soggettivo, talvolta il “debunker” viene considerato come qualcuno che opera la censura di un contenuto scomodo. Esempio: “Questa notizia è già stata ampiamente debunkata da Paolo Attivissimo”.
DM. Direct message, messaggio diretto, opzione prevista nella maggior parte dei social network, dove i messaggi sono più spesso pubblici. Esempio: “Scrivimi in DM”.
Edgelord. Polemista semi-professionale che capitalizza su posizionamenti provocatori e taglienti (“edgy”).
Edit war. Conflitto legato alle modifiche di un contenuto aperto, come ad es. una pagina di Wikipedia. Tutti possono intervenire ma possono esserci divergenze anche radicali sul modo corretto di “editare” quel contenuto.
Emoji. Icone che esprimono sentimenti e possono eventualmente sostituire il linguaggio alfabetico. Hanno preso il posto delle vecchie emoticon realizzate con i caratteri tipografici, che oggi appaiono irrimediabilmente boomer.
Possono avere usi ironici, come l’icona della faccina che ride per schernire un contenuto postato seriamente. In origine di colore giallo, sono oggi disponibili in varie pigmentazioni della pelle per venire incontro alle diverse minoranze.
Engagement. Tra le tante misure della performance di un contenuto digitale, uno dei più rilevanti per gli specialisti di marketing è l’engagement ovvero la quantità e la qualità delle interazioni generate: like, commenti, condivisioni. In un contesto in cui siamo bombardati dai contenuti, non basta più soltanto essere visti: bisogna anche assicurarsi che il contenuto faccia discutere, perché le piattaforme premiano in visibilità chi ha un maggiore engagement. Questo ha incentivato negli ultimi anni la circolazione di contenuti divisivi, capaci di generare maggiore traffico.
Fake. Con gli strumenti informatici tutti possono facilmente produrre contenuti falsificati come fotomontaggi o finti screenshot di conversazioni. Si parla in questo caso di fake, falso, o semplicemente di bufala. In caso di video fake particolarmente realistico, ottenuto con l’intelligenza artificiale, si parla di deepfake.
Flame. Discussione molto accesa, solitamente all’interno dei commenti di un contenuto digitale.
Follower. Letteralmente seguace, conserva la medesima connotazione religiosa per indicare chi segue un influencer.
Freebooting. Plagio o furto di un contenuto da una pagina per essere pubblicato su un'altra. Esempio: "Mi hanno freeboottato il meme".
Ghosting. Ignorare qualcuno, non rispondendo ai suoi messaggi, spesso nel contesto di una relazione romantica. Esempio: “Sono uscito con lei e ora mi sta ghostando”.
Godwin (legge di). Secondo l’avvocato americano da cui la legge prende il nome, "A mano a mano che una discussione online si allunga, la probabilità di un paragone riguardante i nazisti o Hitler tende ad 1”.
Si definisce punto Godwin il momento in cui effettivamente nella conversazione si evoca il nazismo - si parla anche di “Reductio ad Hitlerum” - e quindi molto probabilmente diventa poco proficuo proseguire.
Hacker. Sebbene esista una distinzione tra “hacker” e “cracker”, cioè tra smanettoni e pirati informatici, si tende a parlare di hacker proprio per definire questi ultimi o ancor più spesso per indicare il fantomatico capro espiatorio per qualche disservizio digitale. Esempio: “Si è bloccato tutto, sono stati gli hacker russi”.
Hashtag. Parola chiave, introdotta da un cancelletto, con cui viene indicato il tema di un post o di un tweet. Esempio: “Appena arrivato a Ibiza #vacanze #mare”
Humblebrag. Il termine indica l’abitudine, spesso inconsapevole, di scrivere sui social per lamentarsi di qualcosa che invece attira l’attenzione su quanto siamo fortunati o speciali. Ad esempio sarebbe sicuramente un humblebrag, cioè una “vanteria umile”, se io scrivessi: che noia scrivere dei libri uno più bello dell’altro! In italiano esiste la parola “cleuasmo” per indicare la figura retorica che consiste nello sminuirsi in modo autoironico per attrarre il favore di chi ascolta.
Influencer. Persona molto seguita sui social. Oltre una certa soglia di visibilità è possibile monetizzare in modo diretto (pubblicità) o indiretto (collaborazioni) il proprio status.
IRL. In Real Life, nel mondo fuori da Internet. Anche se non esiste più nulla fuori da Internet.
Like. I like di Facebook, il cuore di Twitter, ma anche le stelline sui siti di e-commerce hanno tutti la medesima funzione: attribuire a ogni singolo contenuto o prodotto un certo peso in termini di apprezzamento da parte della community.
Spesso questi like sono pubblici e permettono agli altri utenti di valutare quell’elemento in base alla quantità di apprezzamenti che ha ottenuto.
Layer. Nel linguaggio della memetica, il numero di layer indica (spesso ironicamente) gli strati d’ironia di un certo contenuto. Esempio: “Non ho capito il meme, forse mi sono perso un layer”. Ad esempio questo stesso lessico ha esattamente otto layer e mezzo, ma è difficile per chi lo legge andare oltre al settimo.
Meme. Si tratta delle immagini virali (disegni, fotografie o fotomontaggi spesso accompagnati da un testo ironico) che circolano in rete. Una vera e propria cultura dei meme è sorta nell’ultimo decennio, facendo di questa pratica apparentemente leggera una forma d’espressione a pieno titolo. Esempio: “Hai visto l’ultimo meme di Trash Bin?” Chi realizza i meme è detto memer.
Millennial (generazione Y). Secondo la classificazione dei demografi anglosassoni, indica approssimativamente i nati tra il 1981 e il 1996, diventati maggiorenni all’inizio del nuovo millennio.
MILF. Questa è solo una delle numerose parole che dal gergo del porno sono entrate nell’uso comune, prima in rete, poi nel lessico giovanile. In principio la MILF è la Mother I'd Like to Fuck, ovvero una madre di famiglia giudicata sessualmente appetibile da persone più giovani.
Usata nel suo senso più esteso di donna attraente tra i 30 e i 50 anni - questo dipende dal POV, cioè dal punto di vista - quest’espressione non perde la sua connotazione inevitabilmente volgare e potenzialmente offensiva.
Normie o normalone. Utente poco aggiornato sulle più recenti tendenze e terminologie, estraneo alla comunità dei memer.
Post. Forma in cui vengono pubblicati i contenuti sulle piattaforme digitali e sui social media. Uno status particolarmente lungo, assimilabile a un articolo, può essere definito post.
Phishing. Truffa online attraverso la quale un malintenzionato sottrae informazioni sensibili fingendo di appartenere a un'organizzazione.
Revenge porn. Condivisione di contenuti pornografici a carattere privato senza il consenso delle parti coinvolte, reato perseguito dalla legge in Italia.
Sealioning. Forma di trolling caratterizzata dal manifestarsi in modo ricorrente nei commenti di una pagina come un leone marino.
Stalking. In riferimento al reato di stalking ma anche in forma più lieve, attenzione eccessiva, fastidiosa o inquietante rivolta a un altro utente. Esempio: “La smetti di stalkerarmi?”
Selfie. Tutti dovrebbero ormai sapere cos’è un selfie, parola dell’anno del 2013 secondo l’Oxford Dictionary, eppure essa viene ancora impropriamente usata per definire, invece che un autoscatto, un più comune ritratto fotografico.
Sexting. Scambio privato di messaggi a sfondo sessuale.
Sharing. I contenuti pubblicati sui social network possono essere condivisi o “sharati”, raggiungendo così un contesto di ricezione diverso da quello per il quale erano stati pensati.
Shadowban. Forme di ban algoritmico di cui l'utente non è a conoscenza, ma che penalizzano la diffusione dei suoi contenuti.
Shitstorm. Polemica digitale. Esempio: "Ho fatto una semplice battuta ed è venuto giù uno shitstorm".
Spam. Oltre alle più note mail di pubblicità non richiesta, oggi più rare che un decennio fa grazie a filtri più efficaci, possono essere considerate come forme di spam anche certi commenti autopromozionali o richieste di iscrizione a pagine Facebook. Esempio: “Mi chiedi l’amicizia e già mi spammi?”
Status. Post breve che serve a indicare il proprio stato d’animo.
Stories. Contenuti effimeri postati sui social.
Streisand (effetto). La prima regola dell’Internet è che se non si vuole dare ulteriore visibilità a un contenuto spesso è meglio ignorarlo invece di farsi in quattro per stigmatizzarlo e farlo rimuovere, col rischio di amplificarlo.
Questa regola è associata al caso della cantante Barbra Streisand che nel fare causa nel 2003 a un fotografo per avere reso pubblica la foto della sua villa a Malibu ebbe invece l’effetto imprevisto di moltiplicare l’attenzione della rete su quella foto.
Tag. Sui principali social network è possibile taggare una o più persone, ma anche marche o luoghi, per farli apparire nel nostro contenuto e coinvolgerli. Esempio: “Ti ho taggato nella mia foto”.
Triggerare. Il trigger (grilletto) è l’evento, il contenuto o il comportamento che scatena una reazione di malessere o di rabbia. Esempio: “Ma cos’è che ti ha triggerato così tanto?”
Troll. Tutti sanno cos’è un troll in teoria, ovvero un provocatore seriale, ma nessuno sarebbe disposto ad ammettere di esserlo. Esempio: “Lascialo stare, quello è solo un troll”.
Zoomer (generazione Z). Sempre secondo i demografi, si tratta dei nati tra il 1997 e il 2012, insomma la prima generazione di nativi digitali, che non hanno conosciuto il mondo prima di Internet e degli smartphone.
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