Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del libro “C'era una volta il pool antimafia” edito da Zolfo Editore


Un’altra storia particolare è quella di Marino Mannoia.

Anche lui faceva parte delle cosche perdenti, visto che era un affiliato della “famiglia” di Santa Maria di Gesù di Stefano Bontate. Soprannominato “Mozzarella”, faceva il chimico per l’organizzazione e si occupava della raffinazione di eroina quando ancora in Sicilia prosperavano raffinerie clandestine. Come si usava all’epoca tra appartenenti a diverse “famiglie” o alla stessa per rinsaldare i reciproci rapporti, gli fu combinato il matrimonio con Rosa Vernengo, figlia del boss Pietro Vernengo della stessa “famiglia” di Santa Maria Di Gesù, ma poi si innamorò di Rita Simoncini, la quale ebbe un ruolo importante nel suo processo di pentimento.

Nonostante fosse “uomo d’onore” di Bontate, era una sorta di freelance. Grazie alle sue competenze come “chimico”, lavorava anche per altre “famiglie” e questo gli consentì di sopravvivere alla seconda guerra di mafia e di trovare subito occupazione, questa volta alle dipendenze di Totò Riina. Quando decise di collaborare con lo Stato e la notizia iniziò a circolare, gli uccisero, oltre al fratello

Agostino, anche la madre, la sorella e la zia.

Ricordo di avere interrogato Marino Mannoia in una chiesa sconsacrata di Roma pochi giorni dopo il triplice omicidio. Gli chiesi se se la sentisse di sostenere l’interrogatorio, lui rispose affermativamente, “perché sappiamo che queste cose possono succedere”. Aggiunse che era dispiaciuto perché non gli era stato consentito di dare l’ultimo saluto alle sue parenti.

Una notazione di colore. Appreso che uno dei killer era stato identificato per tale Nicolò Eucaliptus, “uomo d’onore” il cui cognome non era certo comune in quel di Bagheria, dove era stata commessa la strage, Marino Mannoia osservò che non avrebbe mai pensato che anche uno straniero, forse un egiziano, fosse stato reclutato da Cosa nostra!

Marino Mannoia è stato l’autore delle rivelazioni su incontri che il politico Giulio Andreotti avrebbe avuto con capimafia palermitani, tra i quali lo stesso Stefano Bontate. Dichiarazioni ritenute veritiere nella sentenza di appello nel processo a carico di Giulio Andreotti.

Questo lungo “excursus” storico sulle collaborazioni di alcuni tra i più attendibili “pentiti” è servito a dimostrare come senza il loro aiuto non sarebbe stato possibile sferrare un attacco senza precedenti alla mafia, grazie anche a un metodo investigativo incisivo e innovativo.

Né avrebbe avuto fine la serie di sentenze di assoluzione per insufficienza di prove nei confronti di appartenenti a Cosa nostra che avevano contraddistinto, per esempio, i processi di Catanzaro e Bari celebrati alla fine degli anni Sessanta.

I pentiti si sono quindi confermati una risorsa indispensabile. D’altra parte va detto che confrontarsi con loro non era facile. Non è facile avere davanti un uomo che ha ucciso tanti altri uomini ‒ strangolati, sciolti nell’acido, fatti sparire per sempre ‒ e mantenere la calma e la lucidità che

ti permettano di fare il tuo mestiere di giudice. Siamo magistrati navigati, esperti, rotti a tutte le intemperie, ma alcune volte i sentimenti, le passioni possono prendere il sopravvento. È umano. Ecco, questo è un altro “dictat” a cui abbiamo sempre voluto e dovuto attenerci: mantenere la lucidità e non lasciarci condizionare da fattori diversi da quelli che ci dovevano guidare: il rispetto e l’osservanza della legge. Con un obiettivo sempre ben chiaro in testa: combattere l’insidiosa Bestia che devastava ‒ e devasta ‒ la Sicilia e l’Italia.

Lavoravamo con ogni energia per sconfiggere Cosa nostra.

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