Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d'assise di Bologna che ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti.


In una nota del 28 gennaio 1974 Maurizio Tramonte, esponente di On e al contempo informatore del Centro controspionaggio di Padova con nome in codice "Tritone", segnala una rinnovata attività di ON dopo il decreto di scioglimento del novembre precedente. A tale annunciata ripresa di attività, seguono una serie di attentati dinamitardi, generalmente non rivendicati, alcuni dei quali colpiscono Brescia.

Il 19 maggio un giovane bresciano di estrema destra, inserito nel gruppo La Fenice, articolazione milanese di On, salta in aria mentre trasporta dell'esplosivo su un motoveicolo.

Sulla morte di Silvio Ferrari non si è giunti a conclusioni sicure. Tuttavia, diverse fonti nel processo, compreso il Tramonte [Dalla memoria del pubblico ministero p. 402: "Sollecitato a riferire quali fossero gli argomenti che avrebbe inteso affrontare solo in via confidenziale, Tramante ha parlato di una importante riunione (alla quale non aveva preso parte) della quale gli aveva parlato Carlo Maria Maggi. La riunione, per quanto gli era stato riferito, si era svolta in un appartamento di Verona.

Vi avevano partecipato Maggi, il responsabile di Ordine nuovo di Milano, due membri francesi dell'Aginter Press (diversi da quelli di cui aveva parlato con riguardo ai fatti di Abano) di nome Roberto e Susina o Susini, due ufficiali dell'esercito italiano, con delicati incarichi istituzionali ( dei quali si riservava di indicare i nomi), due ufficiali dell'esercito americano, Marcello Soffiati e qualche altra persona che non era in grado di indicare.

"La riunione, svoltasi dopo l'infausto esito referendario del 1974, aveva avuto ad oggetto la verifica del complessivo programma stragista affidato a Maggi. Si era deciso di realizzare una strage a Bologna, in quanto città simbolo della sinistra, alla stazione ferroviaria, nel periodo fra la fine di luglio e l'inizio di agosto di quell'anno.

Tale strage avrebbe dovuto aprire la strada ad un colpo di stato, programmato per la metà di agosto del 1974. Dopo la riunione, casualmente, Silvio Ferrari aveva incontrato a Verona Maggi, Rognoni, Soffiati ed uno dei due ufficiali italiani. Ferrari aveva riferito la circostanza ad un appartenente alle forze di Polizia di cui era informatore che, a sua volta, ne aveva parlato con l'ufficiale notato dal Ferrari. A quel punto, l'ufficiale aveva rappresentato il problema costituito dal fatto che Ferrari avesse dato importanza a quanto aveva visto a Verona ed aveva segnalato che era necessario trovare una soluzione. I due tecnici dell'Aginter Press, che si erano successivamente recati ad Abano, avevano suggerito di incaricare Ferrari di un falso attentato e di fare esplodere anzitempo l'ordigno, così da eliminarlo], suggeriscono che si sia trattato di omicidio perpetrato da uomini del suo gruppo, anche se colui che aveva consegnato la bomba al Ferrari sarà condannato solo per omicidio colposo.

Tramonte ricorderà che tra la fine del 1973 e i primi mesi del 1974 si erano svolte diverse riunioni con la partecipazione dei dirigenti di on Seppe da Carlo Maria Maggi i contenuti di queste riunioni. Si trattava di compiere un attentato alla stazione di Bologna per la successiva estate; lo stesso Maggi lo avrebbe organizzato con gli uomini del gruppo di Padova.

Come di regola nella strategia della guerra non ortodossa, l'attentato sarebbe stato camuffato per essere attribuito alla sinistra. Maggi specificava che si sarebbe trattato del primo di una serie. Seguono altre riunioni alle quali Tramonte partecipa direttamente, con contestuali prove pratiche nelle cave dei Monti Euganei e la consulenza di due agenti dell'Aginter press.

L'attentato alla stazione di Bologna doveva essere l'innesco di un colpo di Stato programmato per la metà di agosto del 1974 [In effetti, sia tra gli uomini di Borghese che nel gruppo di Sogno si parlava di colpo di Stato da realizzare nell'agosto 1974]

Il 25 maggio, appena tre giorni prima della strage, vi è una fondamentale definitiva riunione ad Abano Terme nella quale il Maggi comunica che è in corso di costituzione una nuova organizzazione extra parlamentare di destra che comprenderà gli ex militanti di Ordine Nuovo.

Nel corso della riunione, nella quale Maggi terrà sostanzialmente un monologo, viene decisa sia la riorganizzazione di Ordine Nuovo che la strage Brescia e la successiva attività terroristica del gruppo. La sentenza della Corte di appello di Milano del 22 luglio 2015 riporta integralmente l'appunto consegnato dal Tramonte al maresciallo Felli, l'ufficiale del Sidche teneva i rapporti.

La sentenza appurerà che Tramonte era personalmente presente a quella riunione, al termine della quale gli fu conferito l'incarico di partecipare all'azione di Piazza della Loggia. Il documento redatto da Tram onte e consegnato agli uomini del Sid è di assoluta importanza perché fornisce la prova che il Sid sapeva, ma non ha né prevenuto, né per lunghi anni contribuito ad identificare e debellare il gruppo terrorista la cui strategia ragionevolmente produrrà anche la successiva strage di san Benedetto Val di Sambro, come risulterà anche da una successiva informazione di Tramonte, secondo cui il Maggi avrebbe dichiarato che la strage di Brescia non avrebbe dovuto rimanere isolata.

Proseguendo nella cronistoria, conviene ricordare che dopo gli attentati e la morte di Silvio Ferrari che si suppose stesse per collocare in un luogo pubblico l'ordigno che l'uccise, fu indetta dai sindacati una manifestazione di protesta per il 28 maggio in piazza della Loggia.

Quando Maggi seppe della manifestazione organizzata per rispondere agli attentati fascisti e quindi del carattere politicamente esplicito di essa, cambiò programma e decise di spostare il luogo dell'attentato da Bologna a Brescia. Il progetto-secondo quanto riferito dal Tramonte - era di fare esplodere la bomba vicino ai carabinieri in modo da causarne la morte di un certo numero e così scaricare la responsabilità sulle sinistre, in modo da convincere l'opinione pubblica che dietro le stragi ci fosse sempre la sinistra.

L'attentato è preceduto da una serie di comunicati minacciosi con i quali l'estrema destra annuncia la sua discesa in campo, avverte la popolazione di stare lontana dalle sedi dei partiti di sinistra, evitando anche i viaggi in treno sulla linea Milano-Brescia.

La bomba scoppia il 28 maggio durante la manifestazione di protesta sindacale, nascosta in un cestino dei rifiuti sotto i portici della Piazza. Muoiono otto persone con decine di feriti e viene rivendicata dal gruppo di Ordine Nero.

Il significato della strage è quindi radicalmente diverso dalle altre. Giannuli come abbiamo visto la qualifica come "reazione". Non una è provocazione contro la sinistra, ma un esplicito attacco della destra con un attacco mirato al popolo di sinistra.

Non si tratta tuttavia di una novità: abbiamo ricordato gli esplosivi posti sui binari dei treni diretti alla manifestazione sindacale di Reggio Calabria nel 1972 contro gli operai del Nord che si recavano alla manifestazione, per non dire delle decine di aggressioni dirette, con esplosivo contro gli avversari.

L'interpretazione del consulente Giannuli sembrerebbe confermata dalla rivendicazione. Ma si tratta al contempo di un tentativo di intimidazione nei confronti di ambienti istituzionali che, con la messa fuori legge di Ordine Nuovo, avrebbero tradito il patto che negli anni aveva legato i servizi alle organizzazioni dell'estrema destra.

Nel rivendicare l'obiettivo di sovvertire l'ordinamento dello Stato con lo strumento stragista sembra che il messaggio sia rivolto proprio ai settori dello Stato con i quali gli ordinovisti avevano in passato condiviso l'obiettivo. Secondo altra interpretazione, che fa leva sulle dichiarazioni di Tramonte, questo scopo si concretizzerà nella seconda parte dell'anno. Fino a maggio l'obiettivo resta quello di creare le premesse per l'intervento militare.

Da un lato quindi l'attacco sembra mirare a scatenare caos, a colpire gli avversari che avevano osato indire la manifestazione contro la violenza fascista. E tuttavia l'ipotesi dell'attacco diretto deve fare i conti con l'alternativa secondo cui in realtà vittime predestinate fossero i carabinieri che si sarebbero trovati vicino l'esplosione, se non ci fosse stata la pioggia: era prassi nelle manifestazioni in piazza della Loggia che nel punto in cui fu collocata la bomba sostassero di regola i reparti delle forze dell'ordine.

In questo modo sarebbe stato facile attribuire la strage all'estrema sinistra in opposizione con la sinistra ufficiale, col risultato che una strage di quel tipo avrebbe comunque screditato l'intero movimento operaio. Del resto, come sappiamo dalle sentenze, Maggi e il suo gruppo, furono già protagonisti in piazza Fontana e in via Fatebenefratelli oltre che in molti altri episodi minori e quindi di strategie di provocazione tipiche della guerra non ortodossa.

La strage di piazza della Loggia è uno snodo fondamentale della strategia della tensione anche perché essa si riconnette alle altre del 1974 e in particolare a quella del treno Italicus.

Si tratta di una medesima strategia che origina dalla reazione finale delle forze dell'estrema destra in una vicenda che volge in direzione contraria alle attese e ha quindi, come l' Italicus, il segno della continuità, ma anche della risposta disperata ed estrema per riequilibrare una situazione che sta volgendo nella direzione contraria al progetto di golpista.

Come vedremo, e come spiegherà bene Vinciguerra, queste forze sono state in realtà manovrate da chi, agitando il pericolo dell'estremismo nero e poi quello dell'aggressione reattiva "rossa", ha sempre perseguito lo status quo e la conservazione degli equilibri realizzati nel dopoguerra.

La sentenza della Corte d'appello di Milano entra in pieno all'interno della strategia della estrema destra negli anni che culminano nelle stragi del 1974.

La Corte, decidendo in sede di rinvio dalla Cassazione, si pone con chiarezza i temi di prova: la posizione dell'ordinovista informatore del SidMaurizio Tramonte, militante e partecipe delle azioni del gruppo padovano, ma al contempo fonte delle informazioni trasfuse negli appunti comunicati al maresciallo Felli, suo manipolatore, inoltrate dal Centro C.S. di Padova all'Ufficio "D" del Sid documenti di sicura provenienza ed autenticità. Abbiamo riportato integralmente il testo di uno di tali documenti per comprendere la ricchezza di dettagli e di informazioni "riscontrate" che essi contengono. La Corte milanese li riproduce tutti per intero nel corpo della motivazione. Essi «letti alla luce delle altre acquisizioni processuali, offrono una pluralità di elementi, fattuali e logici, assai rilevanti ai fini della ricostruzione dei fatti e dell'accertamento della responsabilità di entrambi gli imputati».

Nel processo, Tramonte condusse un gioco difficile, avendo assunto in precedenza un ruolo assai pericoloso, di informatore e al contempo compartecipe delle azioni criminose del gruppo cui apparteneva e sul quale riferiva.

Nel momento in cui fu chiamato a rispondere della strage dovette dissociarsi dalla sua posizione di informatore o meglio, non potendo negare di essere stato la fonte degli appunti del Sidfu costretto, senza risultato, a contestare quelle circostanze che portavano a ritenerlo protagonista diretto dei fatti sui quali aveva inoltrato i suoi appunti che svelavano le trame del gruppo.

La Corte deve quindi spiegare perché Tramonte non sia un "informatore infiltrato non punibile", ma un "estremista di destra traditore".

Tramonte era stato reclutato, il 3 ottobre 1973, dal Centro C.S. di Padova (su autorizzazione del gen. Maletti) ed iscritto a libro paga in qualità di "fiduciario a rendimento". Come fonte Tritone veniva retribuito in base alla qualità e quantità delle informazioni rese al servizio.

Di fatto la "fonte Tritone" era un informatore sulla destra extraparlamentare, del lutto libero e privo di specifici incarichi da parte degli uomini del servizio. Riferiva ciò che voleva e quando voleva senza prendere ordini. Essendo già interno all'ambiente su cui doveva riferire, non c'era neppure necessità di "infiltrarlo". Era conosciuto da tempo come personaggio vicino al leader ordinovista di Padova, Massimiliano Fachini e questo rendeva allettante il suo aggancio.

Le informazioni di cui disponeva sulle pregresse vicende del gruppo padovano convinsero gli uomini del Sidche si trattava di informatore in grado di offrire preziose notizie.

Osserva la Corte di Milano come Tramonte, mentre collaborava con i Servizi Segreti, continuava a muoversi nel suo habitat naturale in totale autonomia, decidendo cosa fare, dove andare, chi incontrare e quando, senza alcun obbligo di richiedere autorizzazioni preventive, di adeguarsi a direttive, di rendere conto delle sue scelte e della loro concreta rispondenza agli obiettivi perseguiti dal suo dante causa.

Non era quindi un infiltrato, ma un militante della destra radicale eversiva, che forniva informazioni ai Servizi, con buon livello di attendibilità sia pure da riscontrare.

In tal modo alla Corte si pone il problema di stabilire quanto dell'attività del Tramonte nell' ambiente dell'estrema destra fosse attività di procacciamento informazioni e quanto anche di attuazione dei progetti di natura eversiva sui quali pure andava riferendo al SID, rappresentandosi come osservatore esterno.

La valutazione delle informazioni fornite al SID, oggettivata negli appunti, come tali utilizzabili perché frutto di spontanea volontà di formazione e di consegna al Servizio, costituì il punto centrale del giudizio della Corte milanese la quale ritenne che Tramonte non fosse un mero osservatore delle vicende che raccontò, ma un diretto protagonista, agevolatore della strategia eversiva perseguita dalle frange estreme della destra, nella cui ideologia si riconosceva.

La Corte spiega le ragioni di tale convincimento e in particolare l'avere provato la partecipazione diretta del Tramonte ad alcuni degli episodi più significativi riferiti al Pelli, la cui conoscenza lo stesso aveva attribuito ad informazioni de relato.

Il dato saliente che verrà valorizzato per giungere alla condanna fu la provata presenza di Tramonte sul luogo della strage, una presenza che per le sue caratteristiche e per le ragioni per le quali la Corte giunge ad affermarne la responsabilità, presenta formidabili analogie con la posizione dell'imputato Bellini. Tramonte mantenne un comportamento omissivo e reticente, durante e dopo il suo rapporto collaborativo, modulando i suoi resoconti in modo tale da "dire senza danno".

Affermazione che la Corte motiva con specifico riferimento a dati di prova. Tra cui fondamentale l'avere taciuto la sua diretta partecipazione alle riunioni del gruppo, specie a quella di Abano del 25 maggio 1974 in cui fu decisa la strage, i cui contenuti Tramonte riferì con estrema puntualità, asserendo di avere appreso dal Romani le notizie riferite, asserzione che si dimostra menzognera.

Per la Corte Tramonte è dunque un informatore infedele perché nega la partecipazione alla riunione di Abano Terme e soprattutto nega la sua presenza in piazza della Loggia il 28 maggio 1974, ragione per cui "coerentemente con la sua successiva linea difensiva, ha di fatto sfruttato l'occasione offertagli dai Servizi per garantirsi - con un' accorta calibratura delle informazioni fornite, ancorate a dati di realtà, ma mai tanto complete, precise e/o tempestive da potere seriamente nuocere alla causa ed ai suoi sostenitori o comunque da imporre un serio attivarsi di apparati dello Stato non particolarmente motivati (come si dirà in seguito) a contrastare l'azione eversiva di matrice fascista - una copertura alla sua perdurante, fattiva adesione al progetto eversivo che accomunava le frange estremiste della destra extraparlamentare, traendone benefici personali, anche economici" (pag. 239).

La Corte, dunque, da un lato considera attendibili e utilizzabili le veline del Tramonte, ma svolge poi un'accurata analisi delle sue dichiarazioni come collaboratore, mettendo in evidenza le parti valorizzabili per la prova, da quelle prive di credibilità o riscontro, senza per questo cestinare l'intero contributo, come accaduto in molte altre occasioni processuali.

Detto dell'accuratezza con cui la Corte d'appello ha valutato il contributo probatorio di Tramonte, giudizio che ha trovato l'apprezzamento della Suprema Corte conviene esporre le circostanze che su tale base si possono considerare provate.

© Riproduzione riservata