Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana


Una serie di altre concrete applicazioni del dovere del segreto, accertate dalla commissione, dimostrerà, nei paragrafi che seguono, il pericoloso sconfinamento dai principi di salvaguardia della propria e della altrui riservatezza fino a dar luogo a entità occulte allo stato e in conflitto con il suo ordinamento.

Sin dalla prima audizione, la Commissione aveva domandato a Stefano Bisi, il quale si era presentato spontaneamente proprio per offrire la propria collaborazione all’inchiesta parlamentare, di trasmettere gli elenchi degli iscritti, ma, già da allora, si era colta la sua ritrosia.

La medesima istanza veniva estesa a tutte le quattro obbedienze e reiterata più volte, sia durante le audizioni a testimonianza dei gran maestri che attraverso formali missive.

Nessuno, però, finiva per adempiere, mentre, al contrario, tutti adducevano ragioni ostative, più o meno articolate, ma sostanzialmente riconducibili alla legge sulla privacy: la pretesa di conoscere i nominativi degli iscritti, addirittura, si sarebbe risolta secondo alcuni in una sorta di istigazione a delinquere da parte della stessa Commissione verso coloro che, invece, erano tenuti ex lege al rispetto della riservatezza dei loro sodali.

Non sorprendeva, di certo, il tentativo di difesa innanzi ad un organo istituzionale, delle proprie ragioni, reali o solo supposte, rientrando ciò nei meccanismi del sistema democratico. Però, sorprendeva la palese pretestuosità delle argomentazioni addotte, posto che i gran maestri e i loro consiglieri, soggetti sicuramente non sprovveduti, ben avrebbero dovuto conoscere la più volte invocata legge sulla privacy anche laddove questa espressamente prevede la sua non applicabilità alle inchieste delle commissioni parlamentari (cfr. art. 8, comma 2 lett. C, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196), così come ben avrebbero dovuto sapere che, in ogni caso, nel bilanciamento dei diritti di rango costituzionale, quello alla riservatezza, come ormai consolidato, è destinato a cedere di fronte all’interesse dell’accertamento giudiziario (artt. 13, 14, 15 Cost.), e delle inchieste parlamentari di pubblico interesse (art. 82 Cost.).

Il successivo sequestro probabilmente ha fatto luce su quei rifiuti sorretti da inverosimili argomentazioni giuridiche.

Si è accertato, infatti, che gli elenchi sequestrati, presso le sedi ufficiali delle quattro obbedienze, non possono definirsi tali: sebbene acquisiti attraverso lo strumento della perquisizione – strumento che avrebbe dovuto assicurarne sia il ritrovamento che una loro certa genuinità – essi hanno rivelato caratteristiche tali da indurre a ritenere o che gli elenchi completi siano stati custoditi altrove ovvero che quelli ritrovati siano stati tenuti in maniera da impedire la conoscenza, sia all’esterno che all’interno, di alcuni nominativi la cui identità rimane nota solo ad una cerchia ristretta.

Di seguito, pertanto, ci si soffermerà su tali risultanze.

Anzitutto, occorre un riepilogo del metodo di lavoro seguito dopo l’adozione del decreto di perquisizione e sequestro del 1° marzo 2017.

L’esame è stato circoscritto al materiale sequestrato presso quattro associazioni massoniche, con riguardo agli elenchi degli iscritti nelle regioni Calabria e Sicilia appartenenti al Grande Oriente d’Italia (GOI), alla Gran Loggia Regolare d’Italia (GLRI), alla Serenissima Gran Loggia d’Italia – Ordine Generale degli Antichi Liberi Accettati Muratori (SGLI), e alla Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori (GLI).

L’acquisizione del materiale, sia cartaceo sia soprattutto informatico, si è svolta nel più scrupoloso rispetto delle norme del codice di procedura penale, ampliando al massimo i profili di garanzia delle parti destinatarie dei provvedimenti, ben oltre le prassi in materia.

La fase di duplicazione dei dati – la cosiddetta copia forense - è stata svolta prevedendo il contraddittorio tra le parti e si è conclusa in data 31 marzo. Immediatamente dopo si è provveduto alla integrale restituzione alle quattro associazioni massoniche del materiale originale in sequestro.

Dati mancanti e parziali

Si è detto che i dati complessivi evidenziano come nelle due regioni prese in esame, nel periodo considerato, risultino complessivamente censiti 17.067 nominativi ripartiti in 389 logge attive.

Tuttavia, per uno su sei nominativi presenti negli elenchi estratti dalla Commissione (circa il 17,5%) non è stato possibile procedere alla completa identificazione in quanto si trattava di soggetti non univocamente identificabili ovvero carenti di alcuni dati anagrafici essenziali.

Si tratta complessivamente di 2.993 nominativi su un totale di 17.067 massoni, di cui 1.515 della sola GLRI pari al 77,3% del totale dei soggetti risultati iscritti a tale obbedienza. Inferiore, ma comunque significativa, l’incidenza dei non identificabili presenti nelle altre obbedienze oggetto d’inchiesta: 35 della Serenissima Gran Loggia d’Italia (11,9%), 1.185 del GOI (10,6%) e 258 del GLI (7,1%).

Più in dettaglio, 1.030 soggetti, dei circa 3 mila, sono risultati anagraficamente inesistenti (cioè nominativi con dati anagrafici cui non corrisponde all’anagrafe tributaria l’attribuzione di un codice fiscale); altri 1.883 nominativi risultano privi di generalità complete; infine, vi sono 80 soggetti indicati con le sole iniziali del nome e del cognome (spesso con l’annotazione che si tratta di soggetti cancellati).

Significative si rivelano al riguardo, per meglio comprendere la portata di quanto accertato dalla Commissione, le citate dichiarazioni del collaboratore di giustizia Campanella, circa l’assonnamento di due noti politici siciliani, entrambi poi coinvolti in fatti di mafia, i cui nominativi, effettivamente, non sono stati ritrovati all’interno dei file gestionali.

Deve anche segnalarsi che taluni soggetti risultanti aliunde (ad esempio nella carte processuali o nelle dichiarazioni di alcuni gran maestri o di collaboratori di giustizia) come appartenenti alla massoneria, non risultano indicati negli elenchi.

Ad esempio, nelle parti segretate dell’audizione del gran maestro Venzi emergevano, in seguito alle domande della Commissione, due nominativi di appartenenti alla sua obbedienza con precedenti penali per fatti di mafia. Entrambi, però, risultavano anagraficamente inesistenti (anche se un soggetto con generalità, cioè soltanto con nome e cognome, corrispondenti ad uno dei due predetti fratelli, attraverso l’esame del materiale informatico sembrerebbe essere stato nominato da Venzi, il 25 febbraio 2006, quale “assistente gran direttore delle cerimonie onorario”).

Si tratta, comunque, in via generale, di casi che non hanno un significato complessivo univoco posto che non sempre si è avuta la certezza che i nominativi emersi da altri atti abbiano fatto parte delle quattro obbedienze di cui si dispone degli elenchi o di altre delle quali non si hanno i relativi dati.

Si è anche proceduto, nei limiti del possibile trattandosi di bacini in parte diversi, a un raffronto tra gli elenchi del 2017 con quelli degli anni 1993-1994 allora trasmessi alla Commissione dalla Procura della Repubblica presso il tribunale di Palmi (Rc).

In particolare, pur nella consapevolezza di non poter ottenere un risultato statistico in termini di valore assoluto, determinato in primo luogo dall’eterogeneità delle fonti di acquisizione dei dati, sono state elaborate comparazioni tra i nominativi degli elenchi di iscritti a sodalizi massonici – per le regioni Calabria e Sicilia – acquisite nel 1993-1994 e quelli degli elenchi sequestrati dalla Commissione nell’inchiesta del 2017.

A tal proposito appare necessario rammentare che le liste del 1993-1994, riguardavano gli elenchi degli iscritti al Grande Oriente d’Italia (Goi), Grande Oriente Italiano (Muscolo), Gran Loggia d’Italia (Centro Sociologico Italiano) e altre obbedienze minori, in possesso di quell’A.G.; mentre i nominativi degli iscritti alla massoneria acquisiti nella recente inchiesta della Commissione hanno riguardato le citate quattro obbedienze.

È necessario inoltre osservare che i nominativi sui quali è stato possibile effettuare una comparazione riguarda unicamente quelli identificati compiutamente (con almeno nome, cognome e data di nascita).

Pertanto, con riferimento alle liste del 1993-1994 sono stati utilizzati per il confronto 4.256 nominativi (2.043 per la Calabria, 2.213 per la Sicilia) a fronte dei 5.743 nominativi riportati negli elenchi della Procura della Repubblica di Palmi (2.752 per la Calabria, 2.982 per la Sicilia), ossia il 74,22 per cento.

In altri termini, anche allora, una quota significativa dei nominativi riportati negli elenchi non era precisamente identificabile.

Premesso che gli elenchi agli atti della Procura di Palmi nel 1993-1994 riguardavano un novero di obbedienze in parte diverso e più ampio rispetto a quelli oggetto di esame da parte di questa commissione, va rilevato che vi è una parziale discordanza tra di essi nella misura in cui non sono stati rinvenuti negli elenchi acquisiti nel 2017, come noto riferiti ad un arco di tempo che va dal 1990 ad oggi, taluni nominativi di soggetti all’epoca censiti e poi coinvolti in fatti di mafia.

Vedi, ad esempio, le situazioni riferite nella parte II, §. 6.3) con riguardo all’Asl di Locri. Non possono certamente trarsi, dai dati sopra riportati, significati univoci, non potendosi escludere in maniera aprioristica fenomeni di mera superficialità nella tenuta degli elenchi.

Il numero dei non identificati e dei non identificabili è tuttavia consistente; del pari è rilevante il numero di 193 soggetti iscritti in procedimenti penali di cui all’art. 51 comma 3-bis del c.p.p.; ancora, è cospicuo il numero di soggetti che pur non essendo indagati, imputati o condannati per delitti di natura mafiosa, hanno diretti collegamenti, parentali o di altro genere, con esponenti mafiosi, sì da potere costituire, almeno in astratto, un anello di collegamento tra mafia e massoneria (così come, del resto, verificato da questa Commissione in altre inchieste, circa la formazione delle liste elettorali o degli enti pubblici infiltrati dalla mafia).

In ogni caso, rimane il dato oggettivo del rifiuto a consegnare gli elenchi, in parte inattendibili, in parte celanti l’identità di taluni iscritti, in parte contenenti affiliati con precedenti penali per mafia; dato che, nella sua scarna obiettività, non può non destare allarme.

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