L’unità che Israele ha mostrato all’indomani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre è un lontano ricordo. Sono sempre più frequenti ed evidenti gli scontri tra diverse cariche dello stato, le critiche incrociate, i litigi a mezzo stampa e social media, lo sprezzo per le decisioni di importanti istituzioni.

Le tensioni che attraversano il paese ormai vanno oltre le divergenze di visione politica, a giudicare gli ultimi episodi, sebbene spesso alla base di questi scontri ci siano due diverse e inconciliabili visioni dello stato: quella messianica e quella laica e liberale. L’impressione è di un tutti contro tutti, dove a farne le spese sono il popolo palestinese, gli ostaggi ancora in mano ad Hamas, le loro famiglie e la società israeliana nel suo complesso.

Uno degli scontri più aspri riguarda Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale del partito di estrema religiosa Otzma Yehudit e Ronen Bar, il capo dello Shin Bet, i servizi segreti interni.

La settimana scorsa Bar ha inviato una lettera, resa pubblica dai media israeliani, al premier Benjamin Netanyahu, al ministro della Difesa Yoav Gallant e a una serie di altri ministri, ma non a Ben-Gvir, in cui il capo dello Shin Bet si riferisce alla violenza perpetrata da molti coloni in Cisgiordania ai danni dei palestinesi chiamandola «terrorismo».

Scrive Bar: «Il danno allo stato di Israele è indescrivibile», aggiungendo che tali crimini causano la delegittimazione globale del paese, l’impiego inutile degli uomini dell’esercito israeliano (Idf) che dovrebbero essere assegnati ad altre missioni, un ostacolo importante alle alleanze in Medio Oriente utili a fronteggiare il fronte sciita contro Israele e più di tutto una macchia enorme sul giudaismo e tutti gli israeliani.

Nella stessa lettera, Bar critica pesantemente Ben-Gvir, per aver precedentemente visitato il Monte del Tempio, o Spianata delle moschee per i musulmani, in occasione della festività di Tischa B’Av, che ricorda la distruzione del tempio di Gerusalemme, dove varie persone di fede ebraica sono state filmate pregando e prostrandosi.

Così facendo, hanno violato non solo lo status quo che governa il sito religioso, il più sacro per gli ebrei e il terzo più sacro per i musulmani, dal 1967, anno in cui Israele ha occupato la parte est della città, che prevede che il luogo sia riservato solo ai musulmani per la preghiera e dove agli ebrei è permesso entrare solo come visitatori, ma anche le disposizioni della polizia israeliana, che tuttavia non è intervenuta.

In risposta, Ben-Gvir ha chiesto le dimissioni di Bar, difeso però dal premier e da altri ministri. I partiti ultraortodossi, che sono cruciali per la tenuta del governo Netanyahu, hanno persino ventilato la possibilità di far cadere l’esecutivo a causa della preghiera ebraica sul Monte del Tempio.

Pochi giorni dopo la pubblicazione della lettera, il partito del ministro ha comprato degli annunci su alcuni giornali nazionali in cui si accusa Bar, che è uno dei principali emissari israeliani al tavolo dei negoziatori sul cessate il fuoco a Gaza, di mettere in pericolo la sicurezza del paese.

«Ronen Bar ha fallito il 7 ottobre e sta portando Israele a un altro disastro. Dite no a un accordo sconsiderato», recita l’annuncio riferendosi al fragile schema di intesa ora oggetto di trattativa.

Contro Gallant

Non contento, il ministro è tornato negli ultimi giorni sulla questione del Monte del Tempio, dicendo in un’intervista a una radio israeliana che sarebbe d’accordo sulla costruzione di una sinagoga sul sito sacro di Gerusalemme.

Stavolta, è stato il ministro della Difesa Gallant a criticarlo apertamente. «Sfidare lo status quo sul Monte del Tempio è un atto pericoloso, inutile e irresponsabile. Le azioni di Ben Gvir mettono in pericolo la sicurezza nazionale dello Stato di Israele e il suo status internazionale», ha scritto Gallant in un post su X.

Uno degli ultimi casi di scontro istituzionale riguarda la questione degli ostaggi. Durante un briefing con la stampa domenica scorsa, il portavoce dell’Idf Daniel Hagari ha detto che il paese è impegnato a ottenere «un obiettivo centrale della guerra: recuperare 109 ostaggi».

Tale commento ha suscitato un’immediata reazione da un membro anonimo del governo, che vari giornali israeliani in ebraico hanno poi detto essere Netanyahu, che ha accusato Hagari di andare contro le direttive dell’amministrazione del paese, visto che la guerra ha anche altri obiettivi, in particolare quello di eliminare Hamas dalla Striscia.

Hagari, che mesi fa aveva definito impossibile sradicare Hamas da Gaza e per questo era stato violentemente criticato dal premier, ha ribattuto che all’interno della stessa conferenza stampa si era parlato della vittoria su Hamas.

Le tensioni recenti non hanno risparmiato la Corte suprema del paese, oggetto di una riforma del sistema giudiziario che aveva infiammato gli animi degli israeliani, portando migliaia di persone in piazza prima del 7 ottobre a protestare contro la limitazione dei poteri dell’Alta corte.

Un gruppo di famiglie palestinesi del villaggio di Zehuta in Cisgiordania erano state cacciate dalle loro terre in ottobre da coloni della zona. Il mese scorso hanno vinto un ricorso alla Corte suprema, che con un’ordinanza gli ha permesso di tornare alle loro terre e case, danneggiate però nel frattempo dai coloni, secondo quanto denunciato dall’ong israeliana Breaking the Silence.

Nove famiglie hanno deciso di tornare nei giorni scorsi a Zanuta, portando con sé il loro gregge.

Sono stati di nuovo aggrediti da coloni, che, a viso coperto, li hanno minacciati, incluso di violenze sessuali, e hanno provato a disperdere il bestiame. Tra loro, dice Yehuda Shaul, fondatore dell’ong, c’era anche il capo del Consiglio regionale dei coloni. La polizia non li ha protetti, continua Shaul, malgrado l’ordine della Corte di farlo, mentre l’esercito ha confiscato dei teli posti dalle famiglie sui tetti scoperchiati delle loro case per fare un po’ d’ombra.

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