In un anno che vede giungere al suo apice quella che fu definita la strategia della tensione, con gli episodi dell’Italicus e di Piazza della Loggia, Lino Salvini confida al confratello Sambuco di ritenere opportuno non allontanarsi per l’estate da Firenze perché è stato informato da Gelli sull’eventualità di possibili soluzioni politiche di tipo autoritario
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del lavoro svolto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 presieduta da Tina Anselmi
La loggia si muove comunque ancora nell'ambito della tradii zione massonica e conserva sostanziali legami strutturali ed operativi con l'istituzione che ad essa ha dato origine.
Ne sono testimonianza la presenza di un forte numero di militari — a due di essi, De Santis e Rosseti, sono tra l'altro assegnate le funzioni di segretario amministrativo e di tesoriere — che s'inquadra nella tradizionale propensione della massoneria verso tali ambienti, nonché il ruolo ancora centrale del Gran Maestro nella gestione della loggia, pur se esercitato in condominio con il personaggio emergente che all'organismo ha dato nuovo impulso: il segretario organizzativo Licio Gelli.
Quello che appare invece affatto nuova è l'accentuata connotazione politica dell'organizzazione, che, sotto il profilo operativo, si rivela come in tutto dedita alla gestione e all'intervento nelle attività «profane» inquadrate nell'ambito di una ben definita connotazione politica e gestite ad un livello di impegnativo rilievo.
A tal proposito è di primario interesse rilevare che la Loggia P2, formalmente e sostanzialmente strutturata come loggia massonica, non conduce peraltro nessuna attività di tipo rituale, quale correntemente esplicata dalle logge massoniche; la vita della loggia infatti, «messa al bando la filosofia», si palesa del tutto incentrata nella gestione della solidarietà tra affiliati e, in un più ampio contesto, nell'attenzione rivolta alle vicende politiche del Paese.
Il progetto politico sottostante a tale contesto organizzativo potrebbe apparire informato ad una generica visione di stampo conservatore, di per sé non particolarmente allarmante e perfettamente lecita, se non fosse accompagnata da due elementi meritevoli di particolare attenzione.
Il primo è rilevabile nella posizione di rilievo assunta nella vita della loggia da elementi di spicco della gerarchia militare, che divengono così destinatari dei discorsi politicamente contraddistinti in modo univoco tenuti nelle riunioni di loggia, secondo quanto ci documenta la riunione tenuta ad Arezzo nel 1973: un dato questo che impone di prestare la dovuta attenzione a quelle che altrimenti potrebbero essere considerate banalità prive di concreto valore politico.
La seconda osservazione è relativa alla connotazione marcatamente antisistematica della loggia, i cui affiliati svolgono un discorso politico che denuncia una posizione di critica generalizzata nei confronti di tutto il sistema politico, sbrigativamente identificato nella formula clerico-comunista, e delle soluzioni legislative che da esso promanano nei più vari campi: dalla magistratura alla politica sindacale, dalla riforma dei codici alla riforma scolastica, che, si legge sempre nel documento citato, avrebbe dovuto essere preceduta da un piano di riforme elaborato «non da politici, ma da tecnici».
Lo sviluppo della Loggia Propaganda nell'ambito della comunione di Palazzo Giustiniani secondo le linee tracciate, non mancò peraltro di provocare ripercussioni all'interno della famiglia, poiché le iniziative di Salvini determinarono, sin dal primo momento, la reazione di un gruppo di dissidenti interni che sotto le insegne della denominazione: «massoni democratici», raccolse la parte politicamente meno retriva della comunione giustinianea, conducendo una serrata battaglia contro la coppia Gelli-Salvini.
Questo gruppo esercitò una notevole influenza nel portare a conoscenza dell'opinione pubblica fatti e trame destinati altrimenti a restare ignoti, grazie alla copertura fornita dai vertici di Palazzo Giustiniani, anche se non è del tutto chiaro il senso dell'operazione, poiché alcuni almeno degli oppositori di Gelli ne conoscevano i trascorsi fascisti sin dal momento del suo ingresso in massoneria, che peraltro non vollero o non poterono contrastare in modo risolutivo.
I cosiddetti «massoni democratici» si fecero promotori di due iniziative di portata ufficiale nell'ambito massonico, decisamente avverse alla gestione Gelli: la prima era incentrata in una tavola di accusa firmata da Ferdinando Accornero, membro della Giunta esecutiva del Grande Oriente. Il documento era relativo alle affermazioni del Gelli sul suo potere di ricatto nei confronti del Gran Maestro Salvini, nonché alle attività di Gelli a danno dei partigiani, durante la guerra di liberazione.
Il Salvini decise per un sostanziale non luogo a procedere, non ritenendo colpa massonica i fatti addebitati e disponendo che gli atti del procedimento restassero nell'archivio personale del Gran Maestro. La seconda iniziativa si sostanziò nella denuncia del «caso Gelli», effettuata dal Grande Oratore, Ermenegildo Benedetti, nel corso di uno dei momenti più significativi della vita dell'istituzione: la Gran Loggia Ordinaria (1973).
Anche questa seconda operazione non condusse peraltro a nessuna conseguenza immediata, rimanendo priva di eco nella comunione la denuncia effettuata in una occasione particolarmente solenne da colui che ne era pur sempre uno dei massimi dignitari. II punto che a tale proposito è da valorizzare è che mentre la requisitoria di Benedetti non sortì effetto alcuno, ci è dato constatare che, nell'anno seguente (1974), il Grande Oriente delibera di prendere le distanze dalla Loggia P2 e dal suo capo, Licio Gelli.
Sul rilievo politico che quell'anno assume nella nostra storia ci si soffermerà più diffusamente in seguito, ma rileviamo per il momento che in un anno che vede giungere al suo apice quella che fu definita la strategia della tensione, con gli episodi dell'Italicus e di Piazza della Loggia, Lino Salvini confida al confratello Sambuco di ritenere opportuno non allontanarsi per l'estate da Firenze perché è stato informato da Gelli sull'eventualità di possibili soluzioni politiche di tipo autoritario.
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