La risoluzione che dice a Israele di ritirarsi dai Territori sarà ignorata, con la scusa di non intralciare la diplomazia. Di fronte a una larga maggioranza, però, Netanyahu deve giocare allo scoperto. L’Italia allineata con gli astenuti
La risoluzione delle Nazioni unite che mercoledì ha intimato a Israele di ritirarsi dai Territori occupati entro 12 mesi non sarà ricordata neppure con una nota a piè di pagina nei libri di storia, essendo chiaro che quella richiesta non ha alcuna possibilità di essere esaudita.
Però il dibattito in seno all’Assemblea generale almeno ha un merito: ha testimoniato con assoluta chiarezza che la situazione internazionale ormai deborda il caos. Un occidente diviso e in stato confusionale. La leadership americana in crisi. Un mondo rovesciato, nel quale regimi autoritari brandiscono i verdetti della giustizia internazionale e molte democrazie liberali, che di quel diritto dovrebbero essere i propulsori, non sanno come rispondere. Pessimo auspicio per un Medio Oriente ormai sull’orlo di una guerra generalizzata.
L’Assemblea doveva decidere se fare proprio il parere della Corte di giustizia internazionale (Icj) sulla situazione nel West Bank, così come proposto dall’Autorità palestinese. In sostanza i giudici dell’Icj avevano convenuto che Israele si sta annettendo il West Bank e assoggetta i palestinesi con metodi brutali, incluse misure che violano l’articolo 3 della Convenzione contro il razzismo, relativo ai crimini di «segregazione e Apartheid». Tutto questo è ampiamente noto ormai da anni a chiunque voglia capire, nonché ampiamente documentato dai saggi di ong autorevoli.
Ma due anni fa, quando l’Assemblea incaricò la Corte di giustizia internazionale di fornirle un parere, insomma di mettere nero su bianco quel che tutti sapevano, alcuni occidentali obiettarono che la verità era inopportuna. Pregiudicava eventuali negoziati. Intralciava la diplomazia. Era un ostacolo alla politica. Insomma, dava fastidio. Per cui la Corte avrebbe fatto bene a starsene zitta e non svelare nero su bianco quel che da decadi tutti sanno: ovvero che Israele si sta annettendo i Territori occupati.
Il governo italiano fu tra gli apripista di questa tesi, in parte riproposta nell’ultima Assemblea generale dal rappresentante degli Stati Uniti. Con due dichiarazioni inviate all’Icj nel luglio 2023 e nel gennaio 2024, Roma invitò la Corte a negare il suo parere all’Assemblea Onu, perché avrebbe «ampliato la distanza tra Israele e i palestinesi», «senza avanzare di un centimetro la situazione verso una soluzione concordata dalle parti». «La questione è e rimane essenzialmente politica», non è la giustizia internazionale che può venirne a capo.
A questo invito al silenzio – da lustri la linea prediletta dai governi occidentali per inconsistenza, per omertà, per diffidenza nella giustizia internazionale – la Corte ha avuto buon gioco a replicare con un inoppugnabile dato di fatto: in tutti questi anni tacere l’evidenza non ha prodotto alcun risultato (e anzi, si potrebbe aggiungere, ha convinto Israele che tutto le fosse permesso, col risultato di allontanare la pace).
Ignavia
Almeno adesso c’è un po’ di chiarezza, e il governo Netanyahu dovrà giocare allo scoperto: all’incirca con questo calcolo il Giappone e 13 governi Ue (inclusi Francia, Spagna, Irlanda Grecia, Belgio) hanno votato a favore della risoluzione, passata a larga maggioranza. L’Italia si è astenuta, così come la Germania e una metà dei paesi Ue, per una scelta di neutralità che non è facile difendere dall’accusa di ignavia. A opporsi, come chiedeva Israele, sono rimasti gli Stati Uniti, la Repubblica Ceca e due dubbie democrazie: Ungheria e Argentina.
Così il voto ha riconfermato tanto l’inconsistenza dell’occidente quanto l’isolamento del governo Netanyahu e l’incapacità dei suoi apparati di propaganda di riconquistare quel “moral high ground” dal quale un tempo dominavano in Europa i nemici palestinesi.
Alle contestazioni che gli muove la giustizia internazionale il governo israeliano in genere risponde con una contro accusa – “Siete antisemiti!” – parecchio bizzarra. I 15 giudici dell’Icj sono in maggioranza espressi da democrazie come Usa, Germania, Francia.
Senza contare che in questi anni sono stati soprattutto ebrei (gli israeliani di B’tselem, gli americani di Human Rights Watch) a mostrare alle opinioni pubbliche occidentali la vera faccia dell’occupazione dei Territori. Per negare che da decenni fosse in corso l’annessione, Netanyahu racconta che Israele non può annettersi quanto le appartiene da sempre per diritto storico.
«Nessuna assurda decisione presa all’Aja (dall’Icj)», dice il premier, «può smentire questa verità storica o il diritto degli israeliani di vivere nelle loro comunità nella loro casa ancestrale». Ma vivere in un territorio e sopraffare gli altri non pare esattamente la stessa cosa ai giudici dell’Icj.
I quali, prefigurando il futuro, ammoniscono che «il trasferimento forzato di popolazione», punito come crimine contro l’umanità dall’articolo 49 della Convenzione di Ginevra, «si realizza non soltanto attraverso l’uso della forza fisica, ma anche quando alla popolazione non viene lasciata altra scelta che partire».
Operazioni nei Territori
La Corte in sostanza dice: siamo convinti che le violenze dei coloni e le vessazioni inflitte ai palestinesi rivelino l’intenzione israeliana di condurre una “pulizia etnica” non appariscente, alla spicciolata, quasi invisibile agli occhi distratti degli occidentali: e perciò, nei calcoli del governo israeliano, destinata a restare impunita.
Di conseguenza l’Icj richiede a Israele di astenersi da azioni che «mirano a modificare la composizione demografica di qualsiasi parte del territorio» (cioè evitare anche parziali “pulizie etniche”). All’inizio di questo mese una ben strana “operazione antiterrorismo” in tre cittadine del West Bank ha confermato il sospetto della Corte. I soldati israeliani hanno sfondato con i bulldozer case, rete idrica, rete del gas, razziato e devastato appartamenti e negozi, assassinato civili, oltre a guerriglieri nemici, lasciandosi alle spalle una popolazione stravolta che si chiede che senso abbia ricostruire quel che domani i soldati tornerebbero a distruggere.
Stando alle cronache, molti confidano l’intenzione di emigrare. È significativo che il parere dell’Icj sia stato approvato quasi all’unanimità dai suoi giudici (14 contro 1, l’ugandese) eccetto che su un punto.
Pur concordando sull’obbligo per Israele di smantellare ogni forma di discriminazione, i giudici francese, romeno e messicano avrebbero preferito lasciare irrisolta la questione della sovranità. Secondo loro non sarebbe contrario alla legalità internazionale che Israele annetta il West Bank, purché intanto attribuisca pieni diritti ai palestinesi e in accordo con essi.
Così da creare un unico stato binazionale (o una confederazione tra due) in cui nessun cittadino sia discriminato secondo discendenza o religione. Oggi pare una soluzione folle.
Ma non è più razionale la speranza che Israele accetti di ritirarsi entro i confini del 1967, come chiede l’Onu, o che i palestinesi accettino di chiudersi in un arcipelago di emiratini privi di continuità territoriale, lo stato-non stato offerto da Trump.
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