Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Da oggi – per circa un mese – pubblichiamo sul Blog mafie l’ordinanza di rinvio a giudizio “Torretta+120”, che ricostruisce dinamiche e omicidi della mafia di Palermo


Panzeca Giuseppe, Cancelliere Leopoldo, Artale Salvatore, Di Girolamo Mario, Di Maggio Rosario, Marsala Giuseppe, Cimò Antonino, Giunta Salvatore, Sorci Antonino

Nel rapporto del 31 luglio 1963 tutti i predetti imputati, insieme con Manzella Cesare ucciso il 26 aprile 1963 a Cinisi, Greco Salvatore, Badalamenti Gaetano inteso “Tanu Battaglia”, Panno Giuseppe, La Barbera Salvatore scomparso il 17 gennaio 1963, e Leggio Luciano, sono denunziati come capi della mafia palermitana riunitisi in una commissione che avrebbe avuto lo scopo di frenare le attività delittuose più eclatanti allo scopo di paralizzare l’opera della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia.

Le notizie confidenziali pervenute alla Polizia circa l’esistenza di tale alto consesso della mafia, non sono state suffragate da alcun elemento e pur avendo motivo di ritenere che tali notizie abbiano un contenuto logico ed accettabile, non se ne può tener conto come prova della responsabilità degli imputati.

È certo però che tutti i predetti imputati sono notoriamente indicati come mafiosi, anzi come influenti e temibili mafiosi. Naturalmente il solo elemento della notorietà non é sufficiente se non é adeguatamente avvalorato da altre risultanze.

Panzeca Giuseppe, secondo il rapporto suppletivo del 21 gennaio 1964, è il capo mafia di Caccamo e gode di un grande ascendente nell’ambiente del paese per la sua reputazione di uomo violento, deciso e privo di scrupoli. I suoi trascorsi giudiziari, tra cui un processo per omicidio, conclusosi con l’assoluzione, confermano le risultanze delle indagini condotte dalla Polizia in un ambiente profondamente inquinato dalla mafia, dominato dallo spirito dell’omertà e dalla paura di rappresaglie.

La cospicua posizione economica raggiunta dal Panzeca devesi certamente attribuire agli illeciti guadagni realizzati mediante la sua delittuosa attività.

La lunga latitanza, nella quale l’imputato ancora si mantiene, nonostante le accanite, instancabili ricerche disposte nei suoi confronti, costituisce una conferma della sua pericolosità e del prestigio di cui gode negli ambienti mafiosi.

Per la sua posizione di preminenza, Panzeca può essere considerato come uno dei più autorevoli capi mafia della provincia di Palermo, legato, in conseguenza, con gli altri capi o esponenti, compresi quelli della città.

Cancelliere Leopoldo risulta strettamente legato a Fiore Giuseppe, insieme col quale venne processato per l’omicidio di Michele Sorbi. È indicato come il capo mafia del rione “Borgo” e come uno dei collaboratori di Greco Salvatore. È accertata pure, contro le sue asserzioni, la conoscenza con Artale Salvatore.

La sinistra influenza esercitata da Cancelliere Leopoldo in qualche settore economico della città e precisamente nel campo degli imprenditori é dimostrata dalla deposizione di Aiello Epifanio.

Costui, individuo dai pessimi precedenti, condannato, tra l’altro, verso il 1954/1955 all’ergastolo per il sequestro e l’omicidio dell’avv. Giglio e assolto, in appello, per insufficienza di prove, interrogato sul lavoro svolto, quale autotrasportatore, per conto delle imprese appaltatrici dei lavori di costruzione della circonvallazione ferroviaria di via Notarbartolo, dichiarò che l’offerta di lavoro da lui fatta alla impresa appaltatrice del secondo tronco dei lavori era stata respinta dalla direzione perché si era già impegnata con altri, tra i quali certo “faccia macchiata”.

Da questa comunicazione e dalla informazione avuta ché il prezzo pattuito dall’impresa con “faccia macchiata” ed altri era superiore a quello da lui proposto, l’Aiello ricavò la netta sensazione che la sua estromissione fosse dovuta ad influenza mafiosa (“...mi resi conto che la nostra presenze non era gradita, nonostante il prezzo inferiore proposto all’appaltatore, agli ambienti mafiosi locali...”).

Al riguardo si accertò che nell’ottobre 1962 la impresa Scuto di Catania aveva preso in appalto i lavori per la costruzione del 2° tronco 6° lotto, della circonvallazione ferroviarie e affidato il trasporto e la rimozione dei rifiuti e i lavori di sbancamento a Belvedere Giuseppe, inteso “faccia macchiata” e a Cancelliere Leopoldo: la fornitura del materiale agli stessi e a Vitale Fr. Paolo.

In un secondo tempo subentrarono certi D’Agostino Rosario e Giordano Vincenzo, mentre Cancelliere Leopoldo, o meglio il figlio di costui continuava ad occuparsi della fornitura del materiale da costruzione.

Secondo l’imprenditore Michele Scuto e il direttore dei cantiere Santi Castorina, Cancelliere e Belvedere contrattarono insieme, come se fossero legati da accordi precedenti mentre invece assume il Belvedere che Cancelliere si era messo d’accordo già con l’impresa, per cui non gli restò che accettare di lavorare insieme con lui. Sempre secondo il Belvedere i nominati D’Agostino e Giordano sarebbero cointeressati col Cancelliere.

La situazione quale è rappresentata dai diversi testi é abbastanza confusa, però una cosa appare chiara e cioè che Cancelliere Leopoldo, facendo evidentemente sentire il peso della sua personalità di mafioso, si inserì in quel ciclo di lavori, imponendo la sua presenza prima a Belvedere e poi a Giordano e D’Agostino.
L’atteggiamento remissivo di Aiello Epifanio, che non appare certo individuo propenso a subire tranquillamente un torto sta ad indicare che egli si trovò di fronte a qualcuno che preferiva non affrontare, e precisamente a Cancelliere Leopoldo, del quale l’Aiello non volle fare il nome, limitandosi a fornire la traccia per arrivare sino a lui, attraverso la indicazione di “faccia macchiata”.

Il comportamento dell’ing. Castorina e dell’imprenditore Scuto, che hanno negato di avere ricevuto imposizioni o "suggerimenti" per la scelta delle ditte di autotrasporti, appare comprensibile se si pensa che essi si sono trasferiti da Catania per affrontare un lavoro di notevole importanza, in un ambiente di cui conoscono, quanto meno per sentito dire, le insidie e i pericoli. È evidente, però, che si sforzino di adattarsi alla situazione locale e di destreggiarsi, in quell’ambiente, senza urtare la suscettibilità di nessuno ad evitare spiacevoli conseguenze.

È significativo che l’impresa Scuto abbia riversato sul Giuseppe Belvedere, dopo la sparizione di Cancelliere Leopoldo, la responsabilità anche del lavoro affidato a costui, mentre invece avrebbe potuto rivolgersi al figlio del Cancelliere, che, peraltro, continuò ad eseguire la fornitura del materiale,

Artale Salvatore è un vecchio esponente della mafia dell’Acquasanta, la cui figura è lumeggiata nel rapporto suppletivo del Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri e della Squadra Mobile in data 2/1/1964.

Dal suo interrogatorio risulta che sin dal 1940 effettuò degli acquisti di terreni e fabbricati, dando prova di possibilità finanziaria non giustificare dalla sua modesta attività di lavoro. Risulta altresì la sua conoscenza con Cancelliere Leopoldo.

Da moltissimi anni Artale Salvatore ha l’appalto nello stabilimento Arenella della 3.p.A. Distilleria di Cavarzere, del trasporto del materiale di rifiuto a delle fornitura del materiale da costruzione eventualmente occorrente. Quando l’attuale direttore dello stabilimento, Luigi Marconato, giunse a Palermo nel 1956 l’Artale aveva già da tempo quegli incarichi. Praticamente egli ha esercitato per anni un monopolio indisturbato cercando di non mettersi mai in urto con la direzione dello stabilimento, in modo da lasciarla soddisfatta, come risalta dalla deposizione del Marconato.

Comunque la presenza dell’Artale nello stabilimento costituiva una comoda garanzia per certi inconvenienti quali l’incendio doloso, il danneggiamento degli impianti, i furti del materiale, che altre ditte o imprese non riescono ad evitare.

Le generiche attestazioni di stima e benevolenza da parte di alcuni vicini di casa ed amici dell’Artale non hanno alcuna importanza, di fronte alla certa appartenenza dell’impasto all’alta mafia palermitana.

Di Girolamo Mario è un commerciante di agrumi, molto noto nell’ambito del mercato ortofrutticolo, come si ricava dal rapporto suppletivo delle Squadra Mobile e del Nucleo di Polizia Giudiziaria in data 23 gennaio 1964. Più volte condannato, l’imputato il 15 Novembre 1958 fu ferito seriamente al viso ad opera di persone rimaste ignote. La reticenza del Di Girolamo sulla causale dell’attentato e sulla identità degli aggressori, impedì che venisse fatta luce su quel delitto rimasto avvolto nel mistero. Sia tale episodio che il prolungato stato di latitanza confermano che Mario Di Girolamo è un personaggio di rilievo nel mondo della mafia.

Marsala Giuseppe, secondo il rapporto suppletivo della Squadra Mobile e del Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri in data 21 gennaio 1964, è il capomafía di Vicari, dove aveva una spiccata posizione di prestigio, legato da saldi vincoli alla mafia dei paesi vicini come Lercara Friddi e Godrano e a quella di Palermo. Processato due volte per omicidio e assolto con formula dubitativa, Marsala Giuseppe si presenta come un mafioso violento e temibile. Dall’umile condizione di capraio ha raggiunto una discreta posizione economica, tale da consentirgli di mantenere la famiglia a Palermo, mentre egli continua a svolgere la sua attività di agricoltore a Vicari, dove possiede una casa e un mandorleto di oltre 15 ettari.

Dall’interrogatorio dell’imputato è risultato che egli a Palermo abitava in un appartamento – via Villagrazia 102/b – dell’Istituto Autonomo Case Popolari assegnato al figlio Salvatore, dipendente comunale e per qualche tempo autista dell’Assessore ai Lavori Pubblici Vito Ciancimino, mentre egli era assegnatario di altra casa popolare in piazzetta Fratelli S. Anna occupata dalla figlia Teresa, sposata con Farina Carlo, impiegato dell’Acquedotto, a sua volta assegnatario di altra casa popolare.

Dalle indagini svolte al riguardo e dall’esame dell’incartamento intestato a Marsala Salvatore, sequestrato presso l’Istituto Autonomo Case Fopolari, sono emersi dei particolari sorprendenti circa l’assegnazione delle case popolari. Marsala Salvatore, figlio dell’imputato ottiene l’alloggio di via Villagrazia presentando uno stato di famiglia intestato a tal Cilluffo Salvatore, padre di Cilluffo Nicolò, vigile urbano, il quale alias, nello aprile 1964, occupava un appartamento dell’istituto Autonomo Case Popolari in contrada Falsomiele, assegnato a certo Vito Di Nicola, dimorante altrove. Marsala Salvatore che, all’epoca dell’assegnazione dell’alloggio, aveva l’età di 18 o 19 anni, era stato “vivamente segnalato alla Commissione Comunale Assegnazione Alloggi Popolari presieduta dal sindaco Salvatore Lima, dall’Assessore Ernesto Di Fresco”.

Quanto all’altro alloggio esso fu assegnato a Marsala Giuseppe dall’assessore comunale al patrimonio Giuseppe Brandaleone, in seguito a segnalazione dell’assessore Vito Cianciamino e previe indagini di natura patrimoniale compiuto dai vigili urbani, i quali evidentemente, trascurarono di notare che Marsala Giuseppe era residente e Vicari e proprietario di case e terreni.

Dall’incartamento in questione risulta inoltre che un alloggio popolare resosi disponibile in seguito alla rinunzia dell’assegnatario Masucci Giacinto (n.197 dell’elenco in data 30/6/1959) venne assegnato il 7 ottobre 1959, dall’Assessore Regionale per Lavori Pubblici Corrao Ludovico o dall’Assessore aggiunto Pivetti Ernesto a Filippone Gaetano, vale a dire al capo-mafia di piazza Danesinni, il quale le cedette a Bronzo Concetta, che confermò di averlo ottenuto dal Filippone, indicato come “quel vecchietto in atto detenuto col figlio e col nipote”.

Filippone Gaetano, fedele ai suoi principi di incallito mafioso, mantenne sull’argomento, nonostante la evidenza delle risultanze processuali, un atteggiamento quanto mai evasivo.

Infine dati i buoni rapporti di amicizia esistenti tra il Filippone e il Masucci, da quest’ultimo ammessi, è da pensare che la rinunzia dello stesso Masucci non sia stata spontanea ma bensì frutto di una “preghiera” del vecchio capo-mafia.

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