Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Da oggi – per circa un mese – pubblichiamo sul Blog mafie l’ordinanza di rinvio a giudizio “Torretta+120”, che ricostruisce dinamiche e omicidi della mafia di Palermo


Si fa carico a Pietro Torretta e a Francesco Di Martino dell'uccisione di Salvatore Gambino, barbaramente trucidato il 23 maggio 1963.

Occorre premettere che la mattina del 23 maggio 1963, verso le ore 6,30, Gambino Salvatore, in seguito ad un banale litigio avvenuto il giorno prima tra la propria moglie Milazzo Maria e certo Bonura Filippo, affrontava il predetto Bonura ed il di lui figlio Michele e li uccideva a colpi di pistola in località "fondo Anello" della borgata Uditore.

Alle ore 6 del 24 maggio veniva rinvenuto in località "fondo Celone" il cadavere di Gambino Salvatore ucciso a colpi di lupara. Dalla perizia medico-legale risultò che il Gambino prima di essere ucciso, era stato selvaggiamente percosso alla testa e al torace, tanto da riportare la frattura dello sterno, di alcune costole e della scatola cranica e legato con una cinghia stretta fortemente intorno al collo.

Le indagini svolte dai Carabinieri diedero esito negativo, pur essendo certo che l'uccisione del Gambino era un atto di feroce vendetta per l'uccisione dei Bonura.

Sanonché nel corso della formale istruzione, la vedova del Gambino incoraggiata dall'arresto di Pietro Torretta, accusò costui di essere stato, in concorso con altri, l'autore del bestiale delitto, precisando così i sospetti già prima formulati sul conto dello stesso Torretta e dei parenti dei Bonura. Anche i genitori di Salvatore Gambino formularono analoghe accuse nei confronti di Torretta e Francesco Di Martino, aggiungendo di avere appreso che il Di Martino portava sul braccio i segni di un morso datogli dal Gambino mentre si dibatteva nella stretta degli assassini. ·

Per rendersi conto di certe primitive mentalità, appare interessante la dichiarazione di Gambino Calogero, padre della vittima, il quale si mostra disposto a perdonare a Torretta e a Di Martino l'uccisione del figlio, perché giustificata dal delitto da lui commesso, ma non perdona le sevizie inflittegli.

Le accuse dei congiunti di Gambino Salvatore trovano riscontro logico nelle risultanze processuali,

L'uccisione dei Bonura venne commessa ad Uditore, nella borgata dominata da Pietro Torretta. Gaubino Salvatore era figlioccio del predetto e non aveva ad Uditore altri amici o protettori.

Si può perciò ritenere con certezza che il Gambino, subito dopo avere ucciso i Bonura, conscio della enormità del delitto commesso e timoroso più delle rappresaglie dei parenti delle sue vittime che dei rigori della Legge, andò ad affidarsi al Torretta, nella convinzione che fosse l'unico in grado di aiutarlo,

Senonché Pietro Torretta doveva dare soddisfazione ai Bonura, anche perché il Gambino aveva agito contro il suo consiglio e senza la sua approvazione.

Dalla deposizione di Gambino Calogero risulta che Gambino Salvatore, subito dopo l'uccisione dei Bonura, corse a rifugiarsi in campagna presso Francesco Di Mar- tino, dove subito accorse Pietro Torretta. Gambino Calogero non ha voluto rivelare la fonte delle sue notizie, perché certamente le ebbe confidate previo impegno di non fare mai il nome dell'informatore. Tale atteggiamento é perfettamente comprensibile, se si considera che trattasi di persone che vivono nell'ambiente dominato dalla personalità di Pietro Torretta. Del resto nemmeno il dolore per la barbara uccisione del figlio riuscì a indurre Calogero Gambino ad accusare il mafioso e a fargli vincere la paura della sua reazione
Soltanto l'arresto di Pietro Torretta, nel clima della lotta aperta contro la mafia, diede a Calogero Gambino sufficiente coraggio per assumere la veste di testimone di accusa.

Pertanto per le considerazioni esposte non può dubitarsi della responsabilità di Pietro Torretta e di
Francesco Di Martino, in concorso con altri rimasti ignoti, in ordine all'efferato omicidio di Salvatore Gambino.

Quanto a Francesco Di Martino é da aggiungere che le conclusioni della perizia eseguita al fine di controllare l'assunto dei congiunti del Gambino circa i porsi da costui dati al Di Martino, non sone affatto convincenti e non sminuiscono il valore della circostanza riferita.

Anzitutto l'ispezione personale del Di Martino accertò la presenza di postumi cicatriziali sull'avambraccio sinistro, nella stessa sedo cioé indicata dai congiunti della vittima.

Secondariamente il giudizio del perito sull'epoca della lesione, rimontante ad oltre cinque anni fa,
non può essere accolto perché é basato unicamente sull'affermazione dell'imputato di essersi graffiato con un filo spinato oltre cinque anni fa e non su considerazioni desunte dall'esame obbiettivo della lesione. Anzi lo stesso perito riconosce, nel corso della relazione, l'impossibilità di un fondato giudizio anche approssimativo sulla cronologia di una lesione, quando la cicatrice abbia raggiunto, come nel caso del Di Martino, il suo aspetto definitivo, per strozzamento dei capillari. sanguigni ed involuzione sclerotica del connettivo.
Infine non é nemmeno convincente l'apprezzamento del perito sulla natura della lesione, che sarebbe priva di qualsiasi carattere idoneo a farla riconoscere come conseguenza di un morsa umano. Anche a questo proposito il perito incorre in una contraddizione con le sue considerazioni generali sulle ferite da morso umano, le cui caratteristiche sono tipiche e facilmente riconoscibili, per le formazioni cicatriziali disposte secondo due linee arcuate, solo quando all'affondamento dei denti non abbia fatto seguito uno strappo, che dà luogo a ferite lacero-contuse cui seguono cicatrici del tutto irregolari.

Basta considerare che, secondo la ricostruzione del delitto, il Gambino morse il braccio del Di Martino mentre si dibatteva nella stretta di coloro che si accingevano a seviziarlo e a ucciderlo, per rendersi conto che il morso, dato nella colluttazione. fu accompagnato da uno strappo, per cui la cicatrice formatasi non poteva avere la forma classica e regolare dell'arcata dentaria.

In conseguenza le conclusioni negative del perito sulla natura ed epoca della lesione presentata da Francesco Di Martino all'avambraccio sinistro non sono accettabili e pertanto la accertata esistenza della cicatrice costituisce valido elemento di riscontro a tutti gli altri elementi di colpevolezza acquisiti

Quindi Pietro Torretta e Francesco Di Martino devono essere rinviati a giudizio per rispondere del reato di omicidio aggravato e delle contravvenzioni loro ascritte […].

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