Le elezioni dei presidenti della repubblica si dividono in vari tipi: plebisciti o partite al logoramento, votazioni lampo oppure elezioni sul filo del rasoio. Con una figura chiave, che fa tremare il parlamento: i franchi tiratori
Le abbiamo raccontate nella puntata precedente ma vale la pena di ripeterle. tre caratteristiche peculiari del voto sono che non è previsto dibattito d’aula; non esiste la presentazione formale di una candidatura; il voto è segreto.
Questo rende segreti i movimenti tra partiti, che si parlano in luoghi che non sono il parlamento. Davanti all’assemblea in seduta comune i nomi dei possibili presidenti arrivano senza che nessuno li abbia mai pronunciati ad alta voce nell’aula della Camera.
E qui viene la parte complicata da decifrare, che è il compito di ogni bravo giornalista politico. Contare i voti e analizzarli sulla base dei partiti in aula.
Si valuta prima di tutto se ci sono stati accordi: se il candidato d’area di un partito è stato votato anche da altri. Quante schede bianche ci sono state. Ma soprattutto, se il candidato di un partito ha preso meno voti di quelli che doveva.
Questo è il caso peggiore, per un partito, perché vuol dire che nel segreto dell’urna si sono svegliati i franchi tiratori.
I franchi tiratori
Nel caso in cui i franchi tiratori brucino il candidato, non votandolo nel segreto dell’urna, la conseguenza è una sola: il disastro per il partito e in particolare per il segretario che doveva tenere insieme il gruppo.
Il caso più recente e più eclatante, che ha fatto esplodere le contraddizioni interne al partito democratico, è quello dei 101 franchi tiratori che hanno stroncato la candidatura di Romano Prodi. Dopo che il Pd aveva già bruciato la candidatura dell’allora presidente del senato, Franco Marini, un’assemblea di partito aveva applaudito la scelta del segretario di allora, Pierluigi Bersani, di indicare Romano Prodi, detto “il professore” e padre nobile del partito.
Al primo voto sui di lui, però, a mancare sono stati 101 voti e forse anche qualcosa di più, considerando che nel segreto dell’urna qualche parlamentare autonomo poteva averlo votato. Il colpo di grazia per il candidato più rappresentativo per il centrosinistra e una ferita ancora non rimarginata che continua a logorare il partito democratico.
Esistono però dei modi per scongiurare i franchi tiratori e aggirare il principio del voto segreto e anche questo trucco viene dalla prima repubblica. Ogni partito che si accorda sul candidato decide di indicarlo sulla scheda in modo diverso: solo col cognome, oppure con il cognome prima del nome, oppure ancora con la carica che riveste. In questo modo si può verificare chi ha tradito. Contro questo sistema, però, può intervenire il presidente dell’aula, che non è tenuto a leggere esattamente quel che c’è scritto sulla scheda ma può limitarsi al nome votato.
Il metodo Cossiga o Leone
Se i franchi tiratori non giocano brutti scherzi e i gruppi rimangono compatti, esistono due metodi per eleggere un presidente della repubblica. Il “metodo Cossiga”, con un’elezione lampo alla prima votazione con 752 voti, pari al 75 per cento e quindi ben oltre i due terzi richiesti.
Nel suo caso, si dice che il metodo di elezione rispecchia la storia politica di cossiga, che è sempre stato il primo della classe. Maturità classica a 16 anni, laurea in giurisprudenza a 20 e deputato per la prima volta a 30. La sua elezione è stata un lampo, il settennato invece è stato burrascoso ed è culminato con le dimissioni anticipate di qualche mese dopo lo scoppio di Tangentopoli.
L’alternativa, invece, è quella che rotondi chiama il metodo Leone, fatto di lunghe votazioni logoranti ed elezione a maggioranza ma senza il voto di tutti.
In quel 1971, le votazioni erano iniziate il 9 dicembre e sono andate avanti per ventitrè volte. Finchè nella notte della vigilia di natale è stato eletto il democristiano giovanni leone. Con appena 518 voti, poco più del 51 per cento dell’aula.
La sua è stata una elezione anomala anche per altre ragioni. A lungo presidente della Camera, Leone era considerato un uomo di mediazione: avvocato napoletano e membro dell’assemblea costituente, a lui si deve il comma della Carta che prevede che l’imputato non è colpevole fino a sentenza definitiva. Democristiano sì, ma un democristiano anomalo perché non era un esponente delle fortissime correnti Dc, di cui abbiamo sentito raccontare prima. Tanto è vero che in quel 1971 non era lui il candidato ufficiale della Dc, ma era il segretario dei partito Arnaldo Forlani, che era anche presidente del Senato.
Entrano però in azione i franchi tiratori che fanno mancare più di cinquanta voti Dc. Su Fanfani poi c’è il veto di socialisti e comunisti.
Solo dopo tredici giorni di votazioni la Dc decide di convergere su Leone, che viene eletto sesto presidente della repubblica. Il suo mandato, iniziato bene, non sarà un settennato felice e Leone è l’unico presidente ad essersi dovuto dimettere prima del termine del mandato, su pressioni politiche a causa dello scandalo Lockheed, ma questa è storia per un’altra puntata.
Il plebiscito di Pertini
C’è stato però un caso particolare nella storia delle elezioni dei presidenti e riguarda Sandro Pertini. Eletto con il metodo leone, alla sedicesima votazione, ha però ottenuto un plebiscito d’aula ancora ineguagliato, con l’82 per cento dei consensi e 832 voti.
Dalla sua elezione nel 1978, Pertini è ancora considerato il capo dello stato il più amato nella storia della repubblica. Reduce della prima guerra mondiale, antifascista e condannato al confino per più di dieci anni, fino al 1943 è stato poi uno dei leader del partito socialista. Ma soprattutto, è stato il primo presidente della repubblica ad essere davvero popolare, nel senso proprio del termine. Ancora oggi ricordiamo le foto di lui che gioca a carte nell’aereo presidenziale con i calciatori che vinsero il mondiale nel 1982 con vicino la coppa del mondo. Oppure i filmati d’epoca di lui accanto al pozzo di vermicino, dove era caduto e morì alfredino rampi.
Oggi?
Da Leone a Cossiga fino a pertini, ancora una volta si vede come ogni elezione e ogni presidente hanno una storia a sè, che inizia a scriversi già a partire dalle modalità con cui viene eletto.
Per riportare queste considerazioni sul presente, allora bisogna sapere che il successore di Mattarella dovrà ricevere almeno 673 voti per essere eletto nelle prime tre votazioni. Ad oggi, la situazione è incerta.
Secondo quello che raccontano i sussurri del Transatlantico, potrebbe essere una elezione con il metodo Cossiga se a scendere in campo fossero Sergio Mattarella per il bis, oppure l’attuale premier Mario Draghi.
Scatterebbe il metodo Leone, invece, se i due candidati naturali decidessero di non essere della partita, e allora la rosa di nomi si allargherà, diventando una competizione ancora più complicata.
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Si ringraziano le Teche Rai, l'Istituto Luce e Radio Radicale per i contributi d'archivio.
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