In un monologo pubblicato sul Corriere la premier dà la sua lettura del 25 aprile, rivendica il ruolo della «destra democratica» e lamenta «l’uso della categoria del fascismo come arma di esclusione di massa»
La versione di Giorgia Meloni è affidata a una pagina sul Corriere, non un’intervista ma un lungo monologo nel quale la premier dà la sua interpretazione della storia e del presente.
«Baluardo di democrazia»
Il primo passaggio che Meloni opera è quello di applicare all’Italia di oggi il ruolo di «imprescindibile baluardo di democrazia». Va ricordato che in queste settimane in Ue l’Europarlamento ha gradualmente condannato l’erosione dello stato di diritto e gli attacchi alle minoranze da parte del governo Meloni: gli eurodeputati hanno votato risoluzioni e fatto dichiarazioni sugli attacchi alla stampa libera, alle famiglie arcobaleno, l’erosione del diritto all’aborto in Italia, e così via.
Ma la premier prosegue il suo sforzo di normalizzazione dell’estrema destra e sul Corriere scrive: «Mi auguro che le mie riflessioni possano fare di questa ricorrenza un momento di ritrovata concordia nazionale nel quale la celebrazione della nostra ritrovata libertà ci aiuti a comprendere e rafforzare il ruolo dell’Italia nel mondo come imprescindibile baluardo di democrazia».
La «spirale di odio»
Per Meloni il 25 aprile segna «uno spartiacque per l’Italia»: è la fine anche del «Ventennio fascista». Subito dopo però nelle sue riflessioni si inserisce un «purtroppo». «Purtroppo, la stessa data non segnò anche la fine della sanguinosa guerra civile che aveva lacerato il popolo italiano, che in alcuni territori si protrasse e divise persino singole famiglie, travolte da una spirale di odio che portò a esecuzioni sommarie anche diversi mesi dopo la fine del conflitto».
La premier non fa quindi riferimenti alla Resistenza, ma a una «spirale di odio», a una «guerra civile». «Così come è doveroso ricordare una seconda ondata di eccidi dei nostri connazionali di Istria, Fiume e Dalmazia».
Quale uso della “Resistenza”
La premier usa mai la parola “Resistenza”? Lo fa quattro volte, ma mai per fare riferimento al suo ruolo nella liberazione del paese. La prima volta Meloni cita la Resistenza per rivolgere una critica: «Da quel paziente negoziato volto a definire princìpi e regole della nostra nascente democrazia liberale — esito non unanimemente auspicato da tutte le componenti della Resistenza — scaturì un testo che si dava l’obiettivo di unire e non di dividere». Dunque a detta della premier «non tutte le componenti della Resistenza» volevano unire.
Poi Meloni usa la parola “Resistenza” per parlare dell’Ucraina: «la eroica resistenza del popolo ucraino in difesa della propria libertà e indipendenza dall’invasione russa».
La terza volta che la “Resistenza” ricorre è per sostituire la parola «patrioti» a «partigiani». Il passaggio è questo: «È, questa, una convinzione che ho rafforzato grazie all’incontro con una donna straordinaria, Paola Del Din. Durante la Resistenza combatteva con le Brigate Osoppo, le formazioni di ispirazione laica, socialista, monarchica e cattolica. Fu la prima donna italiana a paracadutarsi in tempo di guerra. (...) Della Resistenza dice: «Il tempo ci ha ribattezzati Partigiani, ma noi eravamo Patrioti, io lo sono sempre stata e lo sono ancora».
Il ruolo della destra
«Da molti anni, e come ogni osservatore onesto riconosce, i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo», dice Meloni, sorvolando casi anche recenti che vedono protagoniste figure di spicco come il presidente del Senato Ignazio La Russa.
«I costituenti affidarono alla forza stessa della democrazia e della sua realizzazione negli anni il compito di includere nella nuova cornice anche chi aveva combattuto tra gli sconfitti e quella maggioranza di italiani che aveva avuto verso il fascismo un atteggiamento «passivo». Specularmente, chi dal processo costituente era rimasto escluso per ovvie ragioni storiche, si impegnò a traghettare milioni di italiani nella nuova repubblica parlamentare, dando forma alla destra democratica. Una famiglia che negli anni ha saputo allargarsi, coinvolgendo tra le proprie fila anche esponenti di culture politiche, come quella cattolica o liberale, che avevano avversato il regime fascista».
Meloni afferma quindi il ruolo della sua destra e lamenta «il fatto di usare la categoria del fascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico: una sorta di arma di esclusione di massa, come ha insegnato Augusto Del Noce, che per decenni ha consentito di estromettere persone, associazioni e partiti da ogni ambito di confronto, di discussione, di semplice ascolto».
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