«Farò il senatore semplice», diceva Matteo Renzi. Ora vuol fare l’eurodeputato, e tanto «semplice» quest’incarico non sarà. Dovrà dichiarare incarichi, introiti, incontri. Gli effetti dello scandalo Qatar si ritorcono come un boomerang in direzione dell’ex premier
«Farò il senatore semplice», diceva Matteo Renzi. Ma ora vuol fare l’eurodeputato. E tanto «semplice» quest’incarico non sarà.
Chissà se quando ha presentato il suo brand per le europee – «il Centro» – Renzi si è anche premurato di ripassare il calendario dell’aula dove vuole entrare a giugno 2024. C’è un voto in commissione questo giovedì, uno in plenaria mercoledì prossimo, e l’effetto della riforma etica che sarà approvata a breve è questo: il leader di Italia viva – se sarà eletto – non potrà nascondere nulla, sotto la giacca da eurodeputato.
Dovrà dichiarare gli incarichi, gli introiti, gli incontri: ogni «Rinascimento saudita» sarà da scrutinare, e non ci sarà «interesse privato» che sfuggirà alla radiografia dell’Ue. Proprio i paesi del Golfo – ai quali il senatore è legato – hanno innescato lo scandalo Qatar, e ora gli effetti si ritorcono come un boomerang in direzione dell’ex premier.
Vita da senatore
Sul sito del Senato si può scaricare la documentazione patrimoniale del «senatore semplice» del 2022, e alla voce «reddito imponibile» si vedono due milioni e mezzo abbondanti. Da questo numero ci si può fare certo un’idea, ma non si può avere il quadro: non c’è il «Rinascimento saudita» e tutto il resto.
Sappiamo però dagli scoop pubblicati da questo giornale che – ad esempio – Renzi è diventato un personaggio chiave per la Future Investment Initiative promossa dal fondo sovrano dell’Arabia Saudita tra 2019 e 2020. Renzi conferma a Domani che è tuttora membro del board del FII Institute – sul sito del quale figura in veste di senatore – «e di altri istituti in tutto il mondo». Le cronache proliferano: la compagnia Delimobil e l’uscita dal board dopo che Mosca ha aggredito l’Ucraina, la direzione editoriale del quotidiano Il Riformista, la consulenza per la Royal Commission for AlUla. Ma perché uscissero alcuni pezzi del puzzle sono servite inchieste giornalistiche, a cominciare da quelle di Domani.
L’iter istituzionale in sé, al Senato, vincola solo a «dichiarare redditi, interessi immobiliari, quote di società, patrimonio. Non c’è obbligo di rendicontare la partecipazione a board o gli interessi finanziari in senso ampio», nota Federico Anghelé di Good Lobby.
Curiosamente il Senato si è dotato solo ad aprile 2022 di un codice di condotta che però neppure la Commissione Ue è riuscita a reperire. «Non è pubblico», dice il report sullo stato di diritto 2023.
Lo chiede l’Europa
Il clima cambia se ci si sposta da Roma a Strasburgo.
Nel 2018 gli Emirati hanno chiesto a un investigatore privato di individuare i lobbisti usati dal Qatar nelle istituzioni Ue, e tra i nomi segnalati dall’agenzia di investigazione si trovano quelli finiti poi nelle carte della procura belga.
Nel contesto delle lotte intestine ai paesi del Golfo, è deflagrato lo scandalo Qatar, e nel tentativo di ripristinare la fiducia delle istituzioni l’Europarlamento sta portando avanti una blanda riforma etica.
Blanda, ma che costringerà a un cambio di attitudine i neoeletti. Le regole interne che il parlamento Ue si prepara a irrobustire tra questo giovedì e mercoledì prossimo comporteranno quantomeno una maggiore trasparenza.
La bozza di compromesso che va al voto questo giovedì in commissione Affari costituzionali (e tra una settimana in plenaria) dispone ad esempio che gli eurodeputati debbano notificare un conflitto di interessi e impegnarsi a risolverlo; che devono dichiarare i propri «interessi privati in modo dettagliato», notificando anche «la natura dell’attività e la retribuzione». Senza la dichiarazione di interessi finanziari non si può diventare relatori ombra né partecipare a negoziati.
Non si possono accettare doni. Incontri e partecipazioni a eventi sono anch’essi soggetti a scrutinio pubblico. E se si trasgredisce? Niente incarichi a nome dell’aula e diaria, e una sospensione che dopo lo scandalo Qatar si dilata dai 30 ai 60 giorni.
Insomma, almeno un po’ di trasparenza in più. Matteo, stai sereno?
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