Riuscirà Azione a replicare il parziale successo del partito di Mario Monti o fallirà il suo tentativo di allargamento e farà la fine del partito del giornalista Oscar Giannino? A guardare i flussi elettorali il secondo scenario è al momento più probabile
Con l’addio di Carlo Calenda e della sua Azione alla coalizione di centrosinistra, alle prossime elezioni gli italiani potranno votare per una formazione centrista con una spiccata vocazione liberale in economia per la prima volta dal 2013, quando questo ruolo era ricoperto da Scelta civica dell’ex premier Mario Monti. Come andrà la partita questa volta?
Escluso dai sondaggi e dal funzionamento del sistema politico italiano lo scenario “macroniano”, in cui Calenda si mangia il Pd quasi per intero, restano aperte due possibilità. Lo scenario ideale in cui Calenda replica il risultato di Scelta Civica di nove anni fa, 10 per cento dei voti pescando soprattutto dal centrodestra; e lo scenario “da incubo” in cui Calenda non riesce a uscire dallo zoccolo duro dei suoi sostenitori più liberali e rimane irrilevante.
Il secondo scenario potremmo definirlo come quello di “Fare per fermare il declino”, dal nome del partito ultra-liberista del giornalista Oscar Giannino che nel 2013 si è fermato all’1 per cento. Anche se è improbabile che Calenda vada così male, lo studio dei flussi elettorali degli ultimi anni sembra indicare che il secondo caso è, purtroppo per lui, molto più probabile.
Un po’ di numeri
Come è ovvio, oggi non abbiamo molte certezze su quelle che saranno le performance elettorali di Calenda. Sappiamo che da oltre un anno il suo partito è dato dai sondaggi stabilmente sopra il 3 per cento e che, negli ultimi mesi, quando era alleato con +Europa, è arrivato spesso sopra il 5 per cento. Ma le prove elettorali a cui Azione si è sottoposta sono state poche e tutte particolari, come le comunali di Roma in cui era candidato lo stesso Calenda e in cui veniva esaltato il suo appeal sugli elettori dei ceti urbani istruiti.
Questo dato si riflette anche in un consenso personale molto più forte di quello del suo partito. I sondaggi sulla fiducia nei leader, tutti realizzati prima dell’ultima spaccatura, danno Calenda poco dietro o appaiato a leader di partiti ben più grandi: in genere allo stesso livello di Berlusconi e Salvini e secondo alcune rilevazioni vicino anche a Giuseppe Conte (che rimane tra i leader più popolari).
Purtroppo per lui, però, le elezioni politiche non metteranno al centro la figura del leader, soprattutto per un partito che non ha realistiche possibilità di governare. Bisogna quindi andare a vedere che voti Azione riuscirà a intercettare.
Il caso Scelta Civica
Per Monti e i suoi alleati, il risultato di Scelta Civica nel 2013 è stato deludente, ma per Calenda raggiungere il 10 per cento sarebbe un sogno, soprattutto se riuscisse a “rubare” voti dal centrodestra togliendogli i seggi necessari ad avere una maggioranza autonoma.
Come raccontano le analisi dei flussi elettorali realizzate all’epoca dall’Istituto Cattaneo, Monti ha raccolto quasi metà dei suoi 3,5 milioni di voti proprio dal centrodestra, che si trovava in una crisi senza precedenti e aveva perso ben sette milioni di voti rispetto alle elezioni precedenti. Oggi però il centrodestra sembra in salute e i sondaggi gli attribuiscono circa il 45 per cento dei voti. Inoltre, a Calenda manca l’appeal cattolico e popolare, oltre che le strutture partitiche che sostenevano Monti e che rappresentavano un magnete per una parte dell’elettorato di centrodestra.
Non solo: l’analisi dei flussi mostra che almeno una parte dei voti passati dal centrodestra a Monti oggi è confluita sul centrosinistra. È un fenomeno che diviene particolarmente evidente con la vittoria di Matteo Renzi alle europee del 2014 e l’analisi dei flussi dell’Istituto Cattaneo conferma che alle politiche del 2018 la trasmigrazione è compiuta: la gran parte dei voti di Scelta Civica è ormai nel Pd.
Il caso di Fare
In altre parole, se Azione riuscirà nell’impresa di sfondare, i flussi ci dicono che probabilmente lo farà andandosi a prendere pezzi di elettorato moderato e liberale che in questi anni sono approdati al Pd più che rubare voti al centrodestra. Per Calenda non sarebbe il risultato migliore, visto che lui stesso ha detto che una vittoria della destra ci porterebbe verso scenari «venezuelani».
Ma resta sempre l’altro scenario, quello in cui Calenda non solo non riesce a prendere voti al centrodestra, ma fallisce anche nella conquista dei moderati che votano per il centrosinistra. Ne verrebbe fuori un risultato modesto, in linea con gli attuali sondaggi o persino sotto.
Calenda si porterebbe a casa il voto dello zoccolo duro dei “calendiani” innamorati del suo estro e dei convinti delle sue ricette liberali: fedeli, ma numericamente poco consistenti. Sarebbe lo scenario Fare per fermare il declino, in altre parole, un partito che ha fatto molto parlare di sé, ha suscitato molte speranza ed è poi sparito senza lasciare tracce significative.
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