Se c’è un posto che a Roma e non solo simboleggia la sinistra colta e urbanizzata, quel posto è il Piccolo America. Nato dieci anni fa da un’occupazione della sinistra radicale, oggi è un’associazione culturale che raccoglie sponsor e finanziamenti istituzionali con cui gestisce un cinema di Roma e organizza proiezioni all’aperto in tutta la città.

La storia dei “Ragazzi del Cinema America”, come sono intitolati i loro account social, è arrivata sul New York Times, sul Guardian ed El País. I soci e i volontari del cinema hanno subito aggressioni e minacce da parte di estremisti di destra e di criminali e sono diventati un’icona dell’antifascismo e della legalità.

Al Cinema America si incrociano attori e registi progressisti, amministratori del Partito democratico e giornalisti. Alle ultime elezioni nella capitale il presidente dell’associazione, il 31enne Valerio Carocci, è stato proposto come assessore alla Cultura del comune e qualcuno parla di lui come di un futuro sindaco di Roma.

Ma il video di un’aggressione a Carocci mette in dubbio la versione all’epoca raccontata dai giornali e solleva qualche dubbio sulla storia del Cinema America.

Domani ha parlato con decine di frequentatori, ex soci e fondatori del gruppo del Cinema America. Alcuni di loro hanno accettato, per la prima volta, di raccontare la loro versione di come questa occupazione si è trasformata in un centro di potere culturale nella capitale italiana.

Le aggressioni

Oltre che per i suoi cinema all’aperto gratuiti, in centro e in periferia, il Cinema America è famoso anche per gli attacchi che ha subito. L’episodio più noto risale al giugno del 2019: alcuni ragazzi del cinema raccontano che sono stati riconosciuti da un gruppo di neofascisti per le magliette amaranto del cinema; un caso simile era già stato segnalato due anni prima, con le stesse modalità. Anche la ex ragazza del presidente dell’associazione Carocci, pochi giorni dopo, è stata aggredita. Carocci dice di aver ricevuto una lettera con la minaccia di essere gambizzato. «Presidiamo il territorio, rianimiamo le piazze. I fascisti e gli spacciatori hanno paura di noi», ha sempre sostenuto.

Valerio Carocci parla nel Cinema Troisi, la sala da 300 posti assegnata all’associazione nel 2015 con un bando del comune per sei anni, rinnovabili per altri sei. Il cinema ha riaperto a settembre, dopo anni di lavori e burocrazia finanziati in gran parte con un milione di euro del ministero della Cultura. Carocci racconta la storia dell’associazione e suggerisce di verificare le informazioni con alcuni di quelli che se ne sono andati in polemica con la sua gestione. Poi parla dell’ultima aggressione.

Nel luglio del 2020, Carocci ha denunciato Luca Ricci, un suo coetaneo che in passato ha collaborato con diversi centri sociali. Carocci lo definisce uno «stalker», uno che lo insultava ogni volta che lo incrociava a Trastevere e che aveva già denunciato per questa ragione. Un pomeriggio, dice Carocci, Ricci lo ha visto al semaforo in sella al suo motorino, lo ha minacciato, ha cercato di colpirlo con un pugno e ha tentato di strangolarlo. Una testimone, portata dall’accusa, dice di aver visto Carocci cadere dal motorino. In ospedale gli sono stati riscontrati «graffi sul collo» con una prognosi di due giorni. Dopo la denuncia, la Questura ha assegnato a Carocci la scorta per sei mesi. Ricci e un’amica che si trovava con lui negano questa ricostruzione e sostengono che Ricci non hai mai toccato Carocci.

Il video dell’incidente

Quest’aggressione è diversa dalle altre subite dal Cinema America in passato. Non solo perché i protagonisti provengono entrambi dall’estrema sinistra, ma anche perché se ne è parlato poco. «Non la ho mediatizzata», spiega Carocci, intendendo dire che gli account social dell’associazione non l’hanno ripresa. Ma qualcuno ne ha parlato ai giornali. Sul Messaggero, Marco Pasqua ha raccontato per primo l’aggressione: «Il ragazzo ha afferrato al collo Carocci, in strada a Trastevere. Il presidente dell’America è stato lasciato a terra, quasi a soffocare».

La difesa di Ricci ha scoperto però un filmato di una telecamera di sicurezza che ha ripreso l’incidente. Il Fatto Quotidiano ha scritto che il video prova le tesi della difesa. Il Messaggero che invece dimostra invece le ragioni di Carocci. Anche Domani ha ottenuto il video: le immagini sono poco chiare e la telecamera distante. Anche se non si può escludere un qualche tipo di brevissimo contatto tra i due, la testimone dell’accusa e la fonte che ha raccontato al Messaggero l’aggressione non hanno riferito una versione corretta dei fatti.

Il filmato mostra che il motorino non cade mai e che Carrocci non viene «lasciato a terra, quasi a soffocare». Il filmato non sembra nemmeno compatibile con uno strangolamento. L’incontro è brevissimo, appena 45 secondi, durante pochi dei quali i due sono effettivamente vicini. La difesa fa notare, inoltre, che il motorino non sembra nemmeno ondeggiare, come ci si aspetterebbe durante un tentativo di strangolamento.

Carocci, invece, dice di essere convinto che il video dimostri la versione che ha denunciato, in cui specifica di non essere caduto dal motorino. Racconta di aver avuto un momento di commozione per il sollievo quando ha visto per la prima volta il video, poche settimane fa. Ma ha detto a Domani che «non dava il suo consenso» alla pubblicazione. Il processo inizia il 1° dicembre.

«Non facciamo le zecche»

Luca Ricci è uno dei ragazzi che dieci anni fa hanno occupato il Cinema America e la vicenda dell’aggressione si inserisce nel percorso di trasformazione del Cinema America da realtà occupata dai centri sociali in progetto patinato.

La versione ufficiale della storia, raccontata nel volume fotografico realizzato dall’associazione Piccolo America, è quella di un gruppo di ragazzi della periferia che decide di occupare uno spazio abbandonato nel centro di Roma in cerca di luogo dove riunirsi e studiare. Poi il gruppo cresce fino a raggiungere il successo.

Oltre mezza dozzina di persone che hanno fatto parte dell’occupazione iniziale del Cinema America ha raccontato che questa è una versione un po’ edulcorata della storia. All’epoca, sostengono, Carocci e i suoi alleati nel cinema erano molto meno pacifici e istituzionali di oggi.

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Diverse persone hanno parlato a Domani della presenza di spranghe, fionde e spray al peperoncino all’interno del cinema. «L’occupazione nasce come progetto militante. Che all’interno dello spazio ci fossero strumenti per l’autodifesa non è un segreto, c’erano state aggressioni fasciste che rendevano proteggersi necessario», dice Giulia Moriconi, che oggi lavora in una comunità per minori e donne vittime di abusi e che all’epoca era una studentessa all’ultimo anno del liceo scientifico.

Carocci riesce a imporre rapidamente la sua guida sul gruppo. «Lui crea una specie di grande famiglia all’inizio, un sogno, arricchito poi da tutte le iniziative e i momenti di socialità, ma in realtà era un feudo gestito solo da lui, esercitava il potere da solo», racconta Moriconi.

In molti hanno parlato di un clima pesante nel primo anno di occupazione. Carocci «usava la violenza psicologica, sempre, tantissima, nei confronti di tutti», dice Moriconi. Diverse persone hanno descritto episodi in cui Carocci ha tirato pugni ai muri e ha rotto oggetti.

Un atteggiamento che intimidiva i più giovani frequentatori del cinema, sostengono.

Moriconi racconta che aveva minacciato di lasciare il gruppo se questi episodi si fossero ripetuti. Poco tempo dopo, racconta, durante un’assemblea Carocci sradica una porta dai cardini in un accesso di rabbia. Moriconi abbandona il progetto.

Ma ci sarebbe anche altro, secondo i fuoriusciti. Mentre una parte del gruppo vuole realizzare un’occupazione politica dal basso, Carocci e i suoi alleati vogliono creare una realtà istituzionale e mediatica.

«Fin da subito Carocci aveva chiarito che non dovevamo fare le “zecche”. La nostra doveva essere l’occupazione più pulita di Roma. Col senno di poi forse già puntava a creare una passerella elettorale perfetta per la politica di centrosinistra», dice V. N., una persona che ha frequentato il cinema e preferisce essere indicata solo con le iniziali.

Le tensioni nel gruppo crescono. Secondo V. N., il conflitto esplode in un’assemblea del settembre 2013, a poca distanza dal primo anniversario dell’occupazione. Al culmine della riunione, Carocci e alcuni dei suoi bloccano un passaggio armati di manganello e sfidano gli altri a oltrepassare «la linea dell’occupante». Dopo una breve zuffa, gli ex soci lasciano per sempre il Cinema. Secondo le loro ricostruzioni, circa metà dei partecipanti più attivi abbandona l’occupazione in quell’occasione.

In una lettera firmata da tutti i circa venti attuali membri dell’associazione Piccolo America, tra cui diversi presenti al momento dei fatti, Carocci nega completamente questa ricostruzione. Dice di non aver mai avuto a che fare con spranghe e che possedere spray al peperoncino non è reato.

Sottolinea che le uniche persone allontanate dal Cinema America lo sono state perché commettevano reati e che le scelte sono sempre state prese da una maggioranza dei frequentatori. Le critiche, è scritto nella mail, provengono da una «singola realtà» della sinistra romana che avrebbe «ripetutamente provato a fare ingerenze su una nuova e giovane esperienza collettiva, provando a metterci il cosiddetto “cappello”».

Il prezzo del successo

Valerio Carocci insieme ad alcuni soci e volontari dell'Associazione Piccolo Cinema America a Trastevere nel giugno 2019

Dopo l’uscita, o l’espulsione, dei dissidenti, l’associazione arriva rapidamente al successo. Nel frattempo, i cinema falliscono in tutta la città, oltre 40 negli ultimi dieci anni solo a Roma. Lo storico Alcazar di Trastevere ha chiuso cinque anni fa. La proprietaria non poteva più pagare i 4.500 euro di affitto per una sala che è un terzo del Troisi, per cui l’associazione paga 2.500 euro al mese. Soffrono anche tutti gli altri spazi culturali o sociali. Il circolo Esc, che gestisce uno spazio regolarmente assegnato nel quartiere di San Lorenzo, si è visto chiedere dal comune oltre 200mila euro di affitto in seguito a un ricalcolo retroattivo. Altri 180mila sono stati chiesti a un altro spazio, il Rialto.

Il Cinema America, invece, riceve dalle istituzioni circa 300mila euro l’anno per le sue arene all’aperto. Altri trecentomila arrivano dai privati. Sponsor del calibro di Bnl, Poste Italiane, Siae. Altri finanziamenti e altri sponsor sono arrivati invece per la gestione del cinema Troisi. Il ministero della Cultura ha versato un milione di euro per il suo restauro, Tim ha sponsorizzato parte dell’aula studio, la prima in Italia a restare aperta 24 ore su 24 grazie a un finanziamento da 100mila euro all’anno della chiesa valdese.

Sommando i finanziamenti per le arene, quelli per ristrutturare il Troisi e le sovvenzioni indirette, come l’affitto calmierato del cinema, si arriva facilmente a diversi milioni di euro. Cifre che nel mondo dell’associazionismo sono senza paragoni, a Roma come in altre città.

Mauro Scrobogna /LaPresse

Parte di questi finanziamenti arrivano grazie all’abilità nel recuperare fondi di Carocci e dei suoi soci, in particolare dei suoi due più stretti collaboratori, Federico Croce e Giulia Flor. L’associazione ha in tutto circa 25 soci, di cui sette, tra cui Carocci, Croce e Flor, lavorano a tempo pieno per il cinema. Gli altri sono impiegati part time, oppure lavorano da volontari, come decine di altri ragazzi.

L’associazione è stata aiutata anche dalla sua stretta relazione con il Partito democratico. I primi a notare il Cinema America sono stati i politici locali, come Sabrina Alfonsi, presidente Pd del primo municipio, e Michela Di Biase, allora capogruppo Pd in comune. Sarà lei a far conoscere il Cinema America a suo marito, Dario Franceschini, che tramite il ministero della Cultura diventerà uno dei principali sponsor dell’associazione.

Il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti è un altro estimatore di Carocci e dell’associazione. Il finanziamento che la regione gli ha concesso, però, non è arrivato tramite un bando per iniziative culturali. È un investimento diretto, gestito all’interno del budget comunicazione. La regione paga alle arene estive circa 50mila euro l’anno per proiettare uno spot prima della messa in onda del film e per tenere in piazza un pallone aerostatico con il logo della regione.

L’alleanza con il Pd si è rinsalda anche grazie alle circostanze politiche di quegli anni. Quando l’allora sindaco del Pd Ignazio Marino non mantiene la promessa di fornire un nuovo spazio all’associazione, il Cinema America si unisce agli attacchi del partito. Carocci dichiara che Marino «non è un uomo d’onore, la sua parola non vale nulla». Poi chiama i giornalisti mentre con un gruppo di soci del cinema ripara buche per strada. «Odio chi parla e non combina nulla. Amo il lavoro manuale e le soluzioni. Buche tappate a Vicolo del Bologna. Ignazio, guarda e impara», dice.

Di Biase, la più determinata avversaria interna di Marino, si schiera con il Cinema. Pochi mesi dopo, sarà la prima a firmare le dimissioni da consigliera che porteranno alla caduta del sindaco.

Cattedrali nel deserto

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Quando il Pd passa all’opposizione, Carocci diviene una spina nel fianco per la nuova sindaca del Movimento 5 stelle, Virginia Raggi, che prova a mettere al bando lo spazio di Trastevere dove da anni il Cinema America proietta i suoi film gratis. Carocci, sostenuto dal Pd e da oltre cento tra attori e registi, resiste. Raggi è costretta a tornare sui suoi passi e a far dimettere da presidente di commissione una sua consigliera, che aveva criticato il Cinema

Quella del Cinema America è una storia difficile da raccontare. Molte persone lo hanno frequentato e quasi tutte hanno una loro versione su come sono andate le cose. Oggi il Cinema America produce beni di pubblica utilità, ma il suo è un modello, o è un’eccezione dovuta alla personalità del suo leader e alle coincidenze politiche che ne hanno accompagnato l’ascesa?

«Il Cinema America nasce in una fase espansiva per i movimenti che avevano al centro l’idea di ripensare la politica attraverso il modello dei beni comuni», dice Christian Raimo, scrittore e assessore alla Cultura del III Municipio e uno degli animatori dell’occupazione del Teatro Valle, nata quasi in contemporanea a quella dell’America. «Di quell’ispirazione però è rimasto ben poco, anche per colpa di una disillusione diffusa per l’impegno politico. Nel frattempo, Roma è stata desertificata dalla crisi economica e dalla repressione amministrativa».

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