Siamo alle prese da tempo con la frammentazione e la dispersione della società civile, contrastato da un senso di cittadinanza pur sempre presente e comunque scosso dall’azzeramento delle reti di relazione nel corso del biennio pandemico 2020-2021.

È in atto un processo di ridefinizione sia dei terreni di azione sia delle “buone pratiche” capaci di contrastare l’atomizzazione individualistica, corrosiva di scelte solidaristiche e di responsabilità collettiva. Al fine di compensare le evanescenti scelte della politica e la frattura tra cittadini e istituzioni, occorre la complementarietà di competenze e sensibilità, sociologiche in primo luogo, ma anche storico-culturali e artistico-letterarie.

Se i modelli sociali neoliberisti hanno messo in crisi l’idea di cittadinanza e con essa la rappresentanza e le identità politiche, è indubbio che gli spazi sociali continuino a essere il termometro di conflitti e pratiche di solidarietà, sui quali la politica può e deve intervenire nel riorientare le gerarchie tematiche di rilevanza e le forme di attivismo a sostegno del bene pubblico (Giorgia Serughetti, La società esiste, Laterza, 2023).

Allo stesso tempo, però, occorre reinventare il nesso tra la partecipazione civica e l’impegno solidaristico, così come da anni stanno facendo Giovanni Moro e Fondaca (la Fondazione che ha promosso e affermato in Italia il concetto e le pratiche della cittadinanza attiva).

Abbiamo ora una mappa concettuale utile a indagare l’evoluzione del fenomeno, andando oltre i modelli giuridico-normativi e incentivando l’analisi anche storica delle pratiche in cui sono coinvolti i cittadini. Il dispositivo di cittadinanza proposto indica un preciso campo di osservazione: «L’appartenenza come status e come identità, diritti con i correlati doveri, partecipazione» (G. Moro e altri, La cittadinanza in Italia, una mappa, Carocci, 2022).

Nel frattempo, la natura dinamica e incompiuta del fenomeno della cittadinanza repubblicana ha registrato un duplice processo di crisi e trasformazione rispetto al modello canonico affermatosi nel corso del secondo Novecento. Quando esso insisteva sull’appartenenza essenzialmente in termini di nazionalità, declinava i diritti sul piano civile, politico e sociale, nella cornice statale, risolveva la componente della partecipazione nella sfera del sistema politico.

Il senso di appartenenza

Uno snodo nevralgico concerne la declinazione del senso di appartenenza (il “noi” degli italiani) secondo i principi e i valori dell’identità. A cosa si allude e quali ne sono i terreni applicativi? Sono diversi: con l’impegno volontario in forme di solidarietà e la fiducia verso le istituzioni, i luoghi di memoria, i nomi delle persone nei passaggi familiari e generazionali, i nomi di vie e piazze nelle nostre città, le narrazioni delle culture politiche territoriali.

Ciò che la riflessione storica può favorire come valore aggiunto è una indagine sulla cittadinanza che non la riduca agli effetti di leggi e norme e che soprattutto non guardi ai cittadini come semplici vittime o beneficiari dell’azione dello Stato.

È un’avvertenza a suo tempo richiamata da Alessandro Portelli (Calendario civile, Donzelli, 2017), sollecitando la scrittura di una «memoria laica, popolare e democratica degli Italiani». Nella riscoperta di date ed eventi grazie a cui rammemorare la conquista di diritti civili e socio-politici, così come era accaduto dopo l’unificazione nazionale e ancora negli anni di costruzione della Repubblica, il “vissuto” delle comunità nei rituali laici rappresentò uno dei tratti identitari dell’Italia civile.

E ancora esso può essere un necessario antidoto contro la crisi politica e culturale del tempo presente. La letteratura e la narrazione civile danno un significativo contributo alla riscoperta di un “vissuto” repubblicano invece marginalizzato o apertamente dissimulato. Ne è espressione il libro ultimo di Maurizio Maggiani, il quale, in un suo coinvolgente «calendario intimo della Repubblica» (La memoria e la lotta, Feltrinelli, 2024), ci conferma quanto sia importante la funzione del ricordo nella sua più accattivante espressione, che rimane sempre quella autobiografica e testimoniale.

Nel farsi «portatore di memoria» e nel dar forma narrativa ai retaggi di sentimenti anarchico-repubblicani e di luoghi familiari tra le terre apuane e quelle romagnole, Maggiani (classe 1951) continua a raccontarci la Storia dell’Italia democratica attraverso il privilegio dell’oralità nel dar voce ai protagonisti delle storie esemplari (I figli della Repubblica, 2014) cui dobbiamo il «canto della nazione che avremmo potuto essere e che non siamo» (Il Romanzo della nazione, 2015).

I rischi

Due sono i rischi di ogni calendario civile nella manipolazione della memoria: dapprima la sua istituzionalizzazione, il «pervertirla da Storia vivente in vuota ritualità in modo che possa essere trattata convenientemente» (p. 95); e quindi la trasformazione dell’anniversario nel «nascondiglio migliore per coloro che intendono sistemare la faccenda dei loro debiti e sistemare sé stessi nella generale contrizione» (p. 98). È avvenuto soprattutto per il Giorno della memoria e il Giorno del ricordo (con l’indistinta associazione della Shoah alle foibe) e lo si vede nelle commemorazioni ufficiali di Matteotti di questi mesi; in entrambi i casi con la scomparsa delle responsabilità del fascismo dai rituali; contravvenendo la circostanza che «la memoria è un peso quando chiama alla responsabilità, e diventa peso insostenibile quando annuncia un debito da risarcire» (p. 93).

Di qui la necessità che le “storie” innervino la Storia tramite il “vissuto” di donne e uomini e che dunque «la memoria si insedi nella comunità, quotidianamente nel suo agire, che lo conformi, che sia parte dell’assunzione di responsabilità di ognuno nei confronti di tutti» (p. 101).

Nel tentativo di superare la “smemoratezza” insita nella nostra società, non serve infine enfatizzare i distinti campi d’azione della Storia (i «documenti di carta») e della Memoria (i «documenti di carne viva»). Se i «portatori di memoria» indirizzano il loro sguardo al primo orizzonte, è comunque la Storia che «contestualizza le memorie», rendendo possibile «un accordo tra testimoni e storici, tra leggenda e fatto, tra reperto e racconto, tra documento d’identità e biografia, tra il tutto dell’umano e la mia parte» (p. 85).

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