- Il caso Durigon è una sconfitta di Matteo Salvini. Non tanto perché ha perso uno dei suoi uomini più fidati nel ruolo di sottosegretario all’Economia, che sarà comunque ricoperto da un altro leghista, questa volta del nord così da affievolire i fuochi di guerriglia interna alla Lega di rito padano. È una resa soprattutto perché le cause che hanno portato alle dimissioni di Claudio Durigon certificano il fallimento nella selezione della classe dirigente del partito di Salvini.
- Francesco Zicchieri, deputato, molto legato a Durigon, vice capogruppo alla Camera e responsabile del centro sud per la Lega. La palestra politica di Zicchieri è la destra sociale, in passato vicino ad Alleanza Nazionale, sul suo profilo facebook però c’è ancora traccia della sua passione ideologica. Qui in bella mostra, scorrendo indietro nel tempo di pochi anni, gli elogi a Giorgio Almirante rappresentano le esternazioni più moderate rispetto ai riferimenti a Benito Mussolini.
- I rapporti con i clan: nel Lazio l’eurodeputato è indagato per voto di scambio, mentre in Calabria le parentele imbarazzanti di uomini della Lega
Il caso Durigon è una sconfitta di Matteo Salvini. Non tanto perché ha perso uno dei suoi uomini più fidati nel ruolo di sottosegretario all’Economia, che sarà comunque ricoperto da un altro leghista, questa volta del nord così da affievolire i fuochi di guerriglia interna alla Lega di rito padano. È una resa soprattutto perché le cause che hanno portato alle dimissioni di Claudio Durigon certificano il fallimento nella selezione della classe dirigente del partito di Salvini, che agli albori della Lega nazionalista, quando era iniziata la campagna di conquista del centro sud, prometteva rinnovamento, rottura con i vecchi mondi della prima Repubblica, barriere invalicabili per riciclati e personaggi dalla relazioni pericolose con ambienti criminali e dell’estrema destra. Al contrario Durigon è diventato la sintesi dei nuovi dirigenti, per i rapporti con uomini vicini ai clan, che hanno sostenuto la sua campagna elettorale, e per le nostalgie del ventennio, nonostante lui abbia detto «mai stato fascista».
Il percorso di “nazionalizzazione” e “depadanizzazione” inizia nel lontano 2014. L’anno successivo riprende con ancora più fervore con la creazione del movimento Noi con Salvini. Nel 2017 si struttura con la fondazione della nuova Lega sovranista, nel cui simbolo la parola Nord scompare per essere sostituita dal più personale Salvini premier. La nuova forza affianca così la vecchia Lega nord, abbandonata al proprio destino e indebitata con lo stato per la restituzione dei 49 milioni di euro della truffa sui rimborsi, scoperta nel 2012. Tra le prime scelte di Salvini per il nuovo corso sovranista c’è Armando Siri, investito del ruolo di ideologo della “flat tax”, la tassa unica sui redditi, e di consigliere economico del nuovo movimento.
Armando Siri, però, come rivelato dall’Espresso, aveva già patteggiato una pena per bancarotta e lo aveva tenuto ben nascosto. Nonostante fosse ormai noto il suo inciampo giudiziario-finanziario, Salvini lo piazza comunque al ministero dei Trasporti come sottosegretario nel governo Conte 1: si dovrà dimettere quando finirà sotto inchiesta per corruzione, per la quale ora è in attesa di capire se verrà rinviato a giudizio. Già con la promozione di mister flat tax, i leghisti fedeli a Umberto Bossi e Roberto Maroni, ma anche i seguaci di Giancarlo Giorgetti, storcono il naso: «Ma come? Un socialista amico di Bettino Craxi a capo delle strategie economiche della Lega?», è il mormorio nelle sezioni padane. È solo l’inizio, perché il casting avrebbe riservato altre sorprese, inaccettabili per molti militanti nordisti.
Denise e Anna Frank
Già in questa gestione del passaggio da un partito a un altro Salvini mostra poca attenzione alle storie di chi sceglie per governare le strutture del movimento. Dopo un periodo iniziale in cui l’ex ministro dell’Interno è segretario sia della Lega Nnord sia della Lega Salvini premier, decide di cambiare (anche perché lo statuto della vecchia Lega prevedeva espressamente il divieto dei militanti di avere altre tessere di partito) e di commissariare la Lega Nord. I militanti storici della Lombardia e del Veneto leggono questa mossa come l’inizio di una guerra contro chi non si è allineato ai precetti del sovranismo. Come commissario Salvini nomina Igor Iezzi: deputato, molto vicino agli ambienti neonazisti di Milano, in particolare al movimento Lealtà e Azione, che ne rivendica il sostegno alle politiche del 2018. «Con la stessa gioia celebriamo l’elezione alla Camera nel collegio 5 di Milano di Igor Iezzi, un amico col quale abbiamo condiviso battaglie sia in comune sia in consiglio di municipio 8», scrivono i neonazisti milanesi. Iezzi del resto non ha mai nascosto l’affinità con i militanti dell’estrema destra, è stato presente anche alla loro “Festa del Sole” insieme ad altri leghisti. Lealtà e Azione è il movimento che commemora i morti della repubblica sociale di Mussolini, con saluti romani e slogan nostalgici. Per questo alcuni militanti sono stati anche processati ma assolti: «I saluti romani erano esclusivamente diretti alla commemorazione dei defunti», la motivazione del giudice.
Ma Iezzi è in ottima compagnia nel nuovo partito di Salvini. L’ultima arrivata si chiama Denise Barcellona: ha lasciato Fratelli d’Italia di Nichelino, provincia di Torino, per approdare nella Lega da candidata al consiglio comunale il prossimo 3 ottobre. Barcellona si era distinta nel 2016 per una foto pubblicata sui social e poi rimossa, in cui la si vede davanti alla casa di Anna Frank ad Amsterdam, mentre fa il gesto dell’ombrello. Intervistata dalla stampa non ha fatto alcun passo indietro, anzi. La giovane ebrea, che ha scritto il diario simbolo della Shoah, uccisa nel campo di concentramento di Bergen Belsen, è secondo Barcellona un «personaggio inventato, non è mai esistita». I campi di sterminio? «Bisogna vedere che utilizzo ne è stato fatto. La storia la scrive chi la vince. E spesso la strumentalizza». Fine della storia e ancora più della memoria.
Latina nera
L’ormai ex sottosegretario Durigon avrebbe preferito che il parco intitolato ai giudici trucidati dalla mafia, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fosse di nuovo il parco Arnaldo Mussolini, il fratello del duce. La faccia di Durigon sul palco, dopo l’annuncio, non è la sola soddisfatta. Ad applaudire alla proposta nostalgica c’è anche un altro dei vertici del partito laziale, Francesco Zicchieri, deputato, molto legato a Durigon, vice capogruppo alla Camera e responsabile del centro sud per la Lega. La palestra politica di Zicchieri è la destra sociale, in passato è stato vicino ad Alleanza nazionale. Sul suo profilo Facebook ci sono ancora le tracce della sua passione ideologica. In bella mostra, scorrendo indietro nel tempo di pochi anni, si ritrovano gli elogi a Giorgio Almirante e i riferimenti a Benito Mussolini.
C’è un’immagine con la grafica della croce celtica e la scritta: «Se essere fascisti vuol dire difendere la propria patria, io sono fascista». Poi ancora ci sono immagini del duce che prende in braccio un bambino, accompagnata dalla frase: «Prima degli stipendi dei ministri vengono gli stipendi dell’amato popolo italiano». La pagina social di Zicchieri assomiglia dunque alla versione moderna dell’istituto Luce. In un’altra cartolina c’è il motto un po’ più noto sul grano firmato, sempre, da Benito Mussolini: «È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende». Ma Zicchieri, da tifoso come il leader del suo partito, ricorda anche quando la nazionale italiana era degna di essere chiamata tale, secondo lui. Quando? Nel 1938, ovviamente. La foto pubblicata è dei giocatori in fila con il braccio teso e la frase: «Quando nazione e nazionale avevano lo stesso significato». C’è un poster tricolore in cui c’è un testo di questo tenore: «Ebbene sì sono razzista e me ne vanto, sono razzista perché amo l’Italia». Non ultimo un manifesto per il centenario della nascita di Mussolini, con il duce circondato dalla gente sorridente e lo slogan: «Mussolini uomo di popolo».
Attivissimo sul fronte nostalgia del Ventennio è anche il senatore William De Vecchis, di Fiumicino provincia di Roma, dove si era candidato a sindaco con una colazione appoggiata anche dai neofascisti di Forza nuova. Il 4 settembre sarà ospite della festa di Casapound, insieme ad altri leghisti ed esponenti di Fratelli d’Italia. Casapound è il movimento dei fascisti del terzo millennio. Di De Vecchis resterà memorabile la proposta di intitolare una piazza di Fregene al gerarca fascista Ettore Muti.
Tra mafia e corruzione
Nel Lazio la Lega ha problemi seri non solo con rigurgiti fascisti, ma anche con le indagini antimafia. Nelle inchieste recenti troviamo il nome dell’europarlamentare di Latina, Matteo Adinolfi, europarlamentare cooptato dal trio Salvini-Durigon-Zicchieri. Nei verbali di queste indagini, alcune sono ancora in corso, i collaboratori di giustizia hanno raccontato di altri leghisti della zona di Latina appoggiati alle elezioni da parte del feroce clan Di Silvio.
A Foggia, nel 2020, Salvini aveva accolto tra le braccia l’allora sindaco Franco Landella. Un anno più tardi un’inchiesta lo metterà fuori dai giochi: arrestato per corruzione, scarcerato ma tuttora indagato. Il comune che ha amministrato per sette anni è stato sciolto per mafia il 6 agosto scorso. Il sorriso dell’ex ministro dell’Interno abbracciato a Landella è ancora visibile nelle foto in circolazione sul web. L’ultimo dei fallimenti nella selezione dei nuovi leghisti-sovranisti.
La prima scelta discutibile, mai rinnegata da Salvini, è rintracciabile però in Calabria, con Domenico Furgiuele, prima coordinatore regionale della Lega e attualmente deputato. Mentre lui era candidato, il suocero si trovava in carcere per scontare una condanna definitiva per estorsione e aveva avuto anche i beni sotto sequestro dell’antimafia. Su di lui Salvini ha sempre detto che le colpe dei padri non possono ricadere sui figli.
Più o meno la stessa motivazione fornita dopo il suo viaggio a Rosarno, provincia di Reggio Calabria, all’indomani della vittoria alle elezioni politiche del 4 marzo 2018. Nel liceo della città erano presenti, al tavolo, con Salvini, oltre a Furgiuele, anche un consigliere comunale, consuocero di uno dei reggenti del clan Bellocco, potente famiglia della ’ndrangheta in Calabria. A questo gruppetto si era aggiunto un terzo leghista calabrese, oggi scomparso dai radar, che in passato era in affari con alcuni uomini legati alle cosche locali. Non proprio una trasferta felice per un leader che da lì a breve sarebbe diventato ministro dell’Interno.
Potremmo arrivare in Sicilia e raccontare altri annedoti emblematici del fallimento di Salvini nel creare una classe dirigente leghista credibile. Ma è meglio affidarsi alle parole di un militante e poi dirigente che non ha mai voluto aderire alla nuova Lega. «Oggi la militanza non esiste, per essere leghisti basta un selfie con Salvini», ha detto Gianni Fava in un’intervista alla Gazzetta di Mantova, «non c’è più militanza, non c’è più partito, è solo un cartello elettorale». Fava insieme ad altri fu uno dei primi a sollevare la questione etica della nuova Lega, obiezione che ha portato allo scontro interno e poi alla rottura.
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