- Meloni e Salvini si fanno fotografare sorridenti e assicurano che governeranno insieme, ma gli abbracci non possono nascondere la tensione crescente nel centrodestra.
- Scandali e divisioni interne si aggiungono al nervosismo per le elezioni amministrative, da cui il centro destra si aspetta una brutta sconfitta.
- Uno scenario simile era già accaduto con le elezioni del 2016. Allora era stato Salvini a vincere la resa dei conti nel dopo voto. Adesso per lui è invece una questione di sopravvivenza.
«Affetto politico». Così il leader della Lega Matteo Salvini e quella di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni hanno descritto l’abbraccio che si sono scambiati davanti ai fotografi durante l’evento di chiusura della campagna elettorale di Enrico Michetti, candidato sindaco del centrodestra a Roma.
I due hanno assicurato che sono destinati a governare insieme e che i loro rapporti non potrebbero essere migliori. Ma sotto la patina delle fotografie sorridenti, affiorano le tensioni per gli scandali degli ultimi giorni, per le divisioni interne alla coalizione e agli stessi partiti che la compongono. Il tutto, rischia di implodere all’arrivo dei risultati del voto di domenica e lunedì, che per il centrodestra si annunciano pessimi.
Gli scandali
Metaforicamente, l’abbraccio tra i due leader è stato anche l’abbraccio tra Luca Morisi, capo della comunicazione social di Salvini indagato per cessione di stupefacenti, e Carlo Fidanza, capogruppo di FdI all’Europarlamento, che in un’inchiesta di Fanpage è stato ripreso mentre frequenta raduni di neofascisti e parla apertamente di versamenti da fare in nero per sostenere la campagna elettorale al comune di Milano.
L’esplosione di questi due scandali a brevissima distanza l’uno dall’altro ha contribuito a mettere in luce la difficile fase in cui si trova la coalizione e a rendere ancora più nervosi i protagonisti.
Il giorno prima del sorridente abbraccio romano, i due leader erano già arrivati ai ferri corti. A Milano Salvini si era rifiutato di aspettare Meloni, in ritardo all’evento conclusivo della campagna elettorale del candidato sindaco Luca Bernardo, e aveva lasciato la sala prima del suo arrivo.
Oltre agli scandali, sulla tenuta della coalizione e dei nervi dei suoi leader pesa anche un tornata di amministrative che si annuncia difficilissima.
Cinque a uno
Tra i sei capoluoghi che andranno al voto domani e lunedì, il centrodestra ha già la vittoria in tasca soltanto a Trieste, il più piccolo. A Milano, Bologna e Napoli, il centrosinistra è in netto vantaggio e potrebbe vincere al primo turno.
A Roma e Torino, i candidati di centrodestra sono in vantaggio, ma rischiano in caso di ballottaggio. L’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, candidato a Roma dal centrosinistra, è dato vincente al secondo turno da tutti i sondaggi, mentre a Torino l’imprenditore Paolo Damilano, candidato dal centrodestra, può ancora giocarsela.
Se i sondaggi dovessero essere confermati, per il centrodestra si prefigura una netta sconfitta: cinque capoluoghi contro uno. Se invece si finisse quattro a due sarebbe già un successo.
Come il 2016
Negli ultimi anni, il voto si è polarizzato geograficamente, con il centrosinistra che si arrocca nei centri delle grandi città e il centrodestra che spopola in periferia e nelle aree rurali. Un’elezione come quella di domenica e lunedì, in cui andranno al voto le più grandi città del paese, non poteva che favorire i progressisti.
È una situazione simile a quella delle amministrative di cinque anni fa. All’epoca, il pessimo risultato della destra era stato nascosto dall’exploit del Movimento 5 stelle a Roma e Torino. La coalizione però si era presentata divisa in diverse grandi città e non era riuscita a conquistarne nemmeno una.
Allora come oggi, la sconfitta aveva portato ad accuse reciproche e a ulteriori divisioni. L’egemonia di Silvio Berlusconi sembrava per la prima volta minacciata dalla Lega. A Padova, un gruppo di consiglieri di Forza Italia aveva fatto cadere il sindaco leghista.
C’erano anche tensioni nella Lega, con voci di dissidi sempre più forti tra l’allora presidente della regione Lombardia Roberto Maroni e il leader Salvini. Uno scontro che si è risolto l’anno dopo con le primarie stravinte da Salvini.
Oggi, è l’egemonia di Salvini a essere messa in discussione dall’ascesa di Giorgia Meloni. Ed è sempre Salvini che sembra minacciato dai dissidi interni al suo partito, animati questa volta dal ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti e dai presidenti di regione Luca Zaia (Veneto) e Massimiliano Fedriga (Friuli-Venezia Giulia). Tutti questi nodi saranno affrontati dopo il voto di domenica e lunedì e dopo i ballottaggi del 17 e 18. Nel 2016, nonostante tutti, Salvini era riuscito a salvarsi. Questa volta rischia di non farcela.
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