Non è un vizio solo italiano, quello di rivendicare la propria adesione a una fantomatica «agenda Draghi». A Bruxelles, von der Leyen punta sul rapporto dell’ex governatore Bce per legittimare i piani pro industria del suo nuovo mandato
Non è un vizio solo italiano, quello di rivendicare la propria adesione a una fantomatica «agenda Draghi». A Bruxelles, c’è addirittura chi è pronto a presentare la propria, di agenda, sotto l’aura dell’ex banchiere centrale; agenda che peraltro in questo caso tanto fantomatica non è: si tratta delle centinaia di pagine del rapporto draghiano sulla competitività. A dispetto di chi rumoreggiava che Mario Draghi potesse scalzarla dalla poltrona della presidenza di Commissione, Ursula von der Leyen sta facendo tutto il possibile per sfruttare a suo favore l’aura di autorevolezza dell’ex presidente della Banca centrale europea. Questo mercoledì si è presentato ai capigruppo dell’Europarlamento (la “conferenza dei presidenti”) e ai rappresentanti degli stati membri (il “Coreper”) per introdur loro – a porte chiuse – il suo tanto atteso rapporto sulla competitività.
L’autore non oserebbe mai dire che le centinaia di pagine giacevano nel cassetto da tempo, in attesa che von der Leyen si decidesse a liberarle in una fase a lei conveniente, ma quel che trova conferma certa è che le stesse linee programmatiche pubblicate dalla presidente nel giorno della rielezione tenessero già conto dei contenuti del rapporto. La tempistica è rivelatrice ancor più se si pensa che la presentazione ufficiale è attesa per la prossima settimana.
Lo spirito del tempo
È la stessa settimana in cui von der Leyen dovrà scoprire le carte sulla sua squadra. Questo mercoledì Draghi ha confermato che il suo lavoro troverà un riflesso anche nelle lettere con le quali la presidente definirà le competenze dei commissari in pectore. Qualora la definizione dei portafogli – che von der Leyen vuole presentare mercoledì prossimo agli eurodeputati – potesse sembrare poco convincente, la cristianodemocratica ex ministra di Merkel potrà usare come alibi la draghiana ispirazione.
Linea politica a favore delle grandi imprese, fondi all’industria militare? Lo dice l’economista, siamo in emergenza, ci si dovrà pur fidare. Questa è la prossima agenda von der Leyen: il programma contiene anzitutto un mix di politiche a favore delle imprese, per accontentare pure la propria famiglia politica popolare, e di iniezioni finanziarie per l’industria militare, così da placare anche i leader come Macron. Ma innanzitutto: l’agenda (e l’operazione) comincia dalla copertina, che porta la firma di Draghi, e nelle speranze di von der Leyen, l’effetto contagioso della credibilità di lui.
Dal 13 settembre 2023 – il giorno in cui von der Leyen, pronunciando il suo discorso sullo stato dell’Unione, ha annunciato l’incarico per Draghi – la parola «competitività» si è consolidata come il mantra di tutto l’asse politico che va dai centristi all’estremissima destra: la citano tutti, da Emmanuel Macron a Viktor Orbán, dai Popolari europei ai Conservatori meloniani e compresi pure i Patrioti per l’Europa (sovranisti e filorussi svariati). Durante la pandemia si era imposta la «resilienza», ora lo zeitgeist è la competitiveness; ma cosa vuol suggerire il rapporto, e come si combina coi piani della presidente?
Draghi-von der Leyen
«Riforme rapide e senza precedenti», invoca l’autore delle 400 pagine. Tutto è incastonato dentro la cornice narrativa dell’«emergenza»: ad esempio la esposizione a «minacce ibride e slittamenti geopolitici, oltre che le esigenze difensive degli Usa» è il postulato col quale si argomenta il pieno accesso ai fondi pubblici europei da parte dell’industria militare. Ma secondo Draghi non basteranno neppure, dunque vanno mobilitati anche i fondi privati, con l’orizzonte del mercato unico dei capitali. Già sul finire del suo primo mandato, von der Leyen si era attivata in tal senso, trasformando anche in strutturali iniziative assunte dapprima per via emergenziale quando è iniziata la guerra in Ucraina (l’atto sulle munizioni “Asap” si è evoluto in “Edip” per «aumentare le capacità industriali»).
La pressione competitiva degli altri attori geopolitici motiva inoltre il ragionamento sulla concentrazione industriale: finora «competitività» ha significato un controllo più o meno rigido su aiuti di stato e concentrazione industriale (per il pari accesso al mercato comune); ora la prospettiva si sposta sull’accesso al mercato globale, dunque la “scalabilità" della grande industria (la sua possibilità di imporsi) diventa una priorità. «L’Europa deve cambiare del tutto approccio alla sua capacità industriale in settori come difesa, spazio, minerali rari e farmaceutica», è la tesi di Draghi (in piena intesa con la presidente).
Le macroaree del rapporto, spaziando da produttività (con inni alla «produttività tecnologica») e riduzione delle dipendenze fino a clima e inclusione sociale – sono disegnate per dare un’illusione di ecumenismo, e infatti questo mercoledì la capogruppo socialista Iratxe García Pérez è arrivata a confidare in Draghi per l’avanzare del progressismo, mentre il capodelegazione Pd Nicola Zingaretti ha festeggiato la «spinta positiva». Voce fuori dal coro, la sinistra europea – con la capogruppo Manon Aubry – denuncia: «Questa cosiddetta competitività si traduce, nel rapporto Draghi, in ulteriori liberalizzazioni, deregolamentazioni e incentivi ai settori privati. Il nuovo mandato von der Leyen parla già la solita lingua dei vecchi dogmi, a detrimento delle tutele sociali e ambientali».
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