Gérald Darmanin in missione romana, il delfino di Marine Le Pen e persino gli alleati polacchi: alla destra di governo italiana non fanno che arrivare sberle. Le ragioni di questo pasticcio sono due
Dalle conferenze roman-globali sulle migrazioni, all’assemblea generale dell’Onu, Giorgia Meloni mira a trasformare le sue grane sugli sbarchi – e le sue promesse tradite – in una questione internazionale.
Peccato che a furia di lanciarla lontano, la grana le stia tornando in fronte come un boomerang. Il ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin in missione romana, il governo Scholz, il delfino di Marine Le Pen e persino gli alleati polacchi: alla destra di governo italiana non fanno che arrivare sberle, anche quando sono mascherate da solidarietà.
Le ragioni di questo pasticcio sono due. Una è di merito, e riguarda il memorandum tunisino. Meloni ha venduto come risolutiva un’intesa aleatoria e, facendo sentire a Saied il profumo degli euro, ci sta ora esponendo ai suoi ricatti. Gli sbarchi dalla Tunisia sono aumentati. Il colmo è che la premier se la prende con «la sinistra» e con l’alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri Josep Borrell, trascurando di dire che il memorandum tunisino è stato firmato ed è quindi in capo a un orbaniano, il commissario Ue ungherese Olivér Várhelyi.
L’altro errore è di puro calcolo politico.
Darmanin, Bardella, il Pis
Mentre prima Antonio Tajani e poi Meloni volavano a New York con il piano dichiarato di portare «la questione migratoria al centro delle discussioni» dell’Onu, da più punti d’Europa arrivavano sberle al governo.
Questo lunedì Darmanin si è diretto da Parigi al Viminale perché – come ha sottolineato – Emmanuel Macron glielo ha chiesto. In serata, l’incontro con il suo omologo Matteo Piantedosi; ma prima di salire sull’aereo per Roma, il ministro francese si è premurato di dare un segnale chiaro all’opinione pubblica del suo paese: «No, la Francia non accoglierà una parte dei migranti arrivati a Lampedusa», ha risposto alla conduttrice di Europe 1. Cosa farà quindi, la Francia? «Aiuterà l’Italia a impedire alla gente di arrivare alla frontiera».
Questo era, nelle intenzioni di Meloni, lo stratagemma per poter ottenere progressi sul dossier migranti: evitare del tutto le divergenze sull’accoglienza, e concentrarsi sulla frontiera dura. Ciò che la leader di Fratelli d’Italia non aveva previsto, però, è che neppure questa strada avrebbe evitato alle destre di scagliarsi l’una contro l’altra.
Il caso francese lo mostra bene: Darmanin fa il duro anche per competere a destra con il Rassemblement national, e il punto è proprio che pure i lepeniani – quelli del palco di Pontida e dell’alleanza con la Lega – sbattono porte in faccia all’Italia.
Mentre Marine Le Pen era con Matteo Salvini, il suo delfino Jordan Bardella, capolista alle europee 2024, annunciava: «Macron deve prendere un impegno solenne, e cioè la Francia non deve accogliere neppure un migrante!».
A proposito di alleati, in Germania c’è Alternative für Deutschland, altro alleato leghista, che ha superato nei sondaggi il venti per cento; e il governo Scholz ha annunciato questo mese la sua uscita dal meccanismo di solidarietà per l’accoglienza dei migranti.
Le grane non arrivano solo dalle parti della Lega, perché pure gli stretti alleati di Fratelli d’Italia – gli ultraconservatori del Pis al governo in Polonia – sono disposti a sgambetti in nome delle proprie campagne elettorali. Visto che il 15 ottobre i polacchi votano, il Pis ha pensato di utilizzare proprio le immagini di Lampedusa per alimentare lo spauracchio migranti nei suoi video elettorali.
Flop su scala globale
Mentre Meloni insiste per infilare il tema migratorio anche nel Consiglio europeo di ottobre, la strategia delle frontiere dure – fatta apposta per evitare contese sui “movimenti secondari” dei migranti – mostra tutti i suoi limiti.
L’accordo trovato dai governi in Consiglio Ue sul patto per le migrazioni delineava un’Italia hotspot d’Europa, che si facesse carico delle procedure di frontiera; ed è quel che Meloni sta facendo. Ma su tutto il resto – a cominciare dalla replica del modello libico così controverso – la premier e von der Leyen ripetono le solite promesse vuote.
Lo stesso piano in dieci punti della presidente di Commissione non fa che annoverare iniziative già prese, e si riassume in un punto solo: europee 2024.
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