«Enfin, personne ne l’a emporté». Emmanuel Macron è uscito da un silenzio durato dodici giorni per presentare sotto forma di lettera il suo schiaffo alla sinistra: «Nessuno ha vinto».

L’Eliseo indica la sua via, e cioè quella di un governo allargato «all’insieme delle forze politiche che si riconoscono nelle istituzioni repubblicane», e pretende pure che queste «forze politiche» se la sbrighino da sole: «Lascerò un po’ di tempo perché battezzino questo compromesso», dice; e solo dopo indicherà il primo ministro. Nel frattempo, Attal resta al suo posto.

La negazione della sinistra

Avendo ottenuto più seggi di tutti – oltre centottanta – il Front populaire si è immediatamente fatto avanti con l’idea di proporre un proprio primo ministro. Il dibattito interno era sul nome – martedì si era fatto avanti lo stesso leader socialista Olivier Faure, probabilmente anche per disinnescare veti trasversali sulla France Insoumise – ma su una cosa l’unione di sinistra aveva pochi dubbi: sul fatto che spettasse a lei l’iniziativa, il ruolo di perno di un futuro governo, foss’anche solo come azionista di maggioranza, in dialogo con altre forze.

Invece il presidente della Repubblica, lo stesso che sùbito dopo le europee era intervenuto per dissolvere il parlamento senza neppure aspettare i risultati ufficiali, stavolta nel silenzio più totale ha lasciato che per giorni i leader degli altri campi, oltre che gli esponenti del proprio, si dimenassero nel risiko di un futuro governo, per poi far avere via lettera, mentre era già oltreoceano a Washington al vertice Nato, le sue disposizioni.

E pur dicendosi consapevole della presenza «di una richiesta chiara di cambiamento» e del «bisogno di espressione democratica» del paese, cosa ne ha poi concluso? Anzitutto, ha di fatto rinnegato la vittoria del Front populaire. Non si è limitato a scrivere che il Fronte da solo non può governare perché non ha maggioranza assoluta; del resto è opportuno ricordare che neppure i macroniani la avevano nell’assemblea precedentemente eletta nel 2022. Macron afferma che «i blocchi che emergono da queste elezioni sono tutti in minoranza», senza fare distinzioni.

Il «rassemblement»

«Divise al primo turno, unite dalle desistenze reciproche al secondo, elette grazie al voto degli elettori dei loro ex avversari, solo le forze repubblicane rappresentano la maggioranza assoluta. La natura di queste elezioni, segnate da una chiara richiesta di cambiamento e di condivisione del potere, richiede la creazione di un grande rassemblement».

È ancora una volta Macron a voler dettare le condizioni: parla di «forze politiche che si riconoscono nelle istituzioni repubblicane» e con «valori repubblicani chiari»; nelle scorse settimane ha già chiarito che per lui la France Insoumise non è tra queste. Invoca tra le altre cose «una maggioranza solida e necessariamente plurale», dopodiché dice in sostanza: fate voi. «Le forze politiche devono realizzare il fronte repubblicano che i francesi hanno scelto alle urne», ciò «richiede di conceder loro un po’ di tempo» dopodiché «deciderò sulla nomina» del premier.

La lettera si conclude con Macron che – dopo mesi in cui ha fatto in prima persona campagna elettorale, sin dalle europee – si presenta ora come il «garante» di ciò che gli elettori hanno chiesto, e che però lui interpreta a modo suo così: «La richiesta di inventarsi una nuova cultura politica francese». Il presidente fa finta di non vedere la ragione profonda per cui ormai da anni la Francia è alle prese con un parlamento senza maggioranza, e cioè che maltollera sempre più l’attuale presidente ma al contempo prova a fermare l’estrema destra.

Intanto emergono le prove delle cene segrete tra figure a lui vicine e Marine Le Pen: martedì sera c’è stata una cena tra la leader del Rassemblement ed Édouard Philippe, come lui stesso ha ammesso. Ma Libération ha appena svelato che ce ne sono state di assai frequenti in generale negli ultimi mesi, con l’ex consigliere del presidente, Thierry Solère, a fare da ufficiale di collegamento tra macroniani ed estrema destra.

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