- «Sono contenta del clima che ho trovato qui a Bruxelles: parlare direttamente con le persone può aiutare a smontare la narrativa. Non siamo marziani». Per imbonirsi sia il fronte interno che quello europeo, Meloni usa una strategia doppia. Verso l’establishment di Bruxelles, vale quella di «dare rispetto e chiedere rispetto», per usare le parole del suo luogotenente europeo Fitto.
- Anche se Meloni ha fatto molte promesse su temi come l’energia, non basta una visita ufficiale ai vertici Ue per poter anche spostare gli equilibri, soprattutto se lo sforzo prioritario è accreditarsi come interlocutori credibili. I dossier del momento sono ingombranti – c’è anche la riforma del patto di stabilità – così come ingombranti sono le rigidità di Berlino.
- Non a caso, si lavora anche di sponda coi ministri, e le aspettative vengono smorzate: gli incontri brussellesi sono stati «conoscitivi». Poi però c’è anche l’altro fronte aperto: quello con il proprio elettorato, verso il quale vale un’altra strategia. Perciò viene rinfocolata la questione dei confini.
Prima degli incontri ufficiali coi tre presidenti – del parlamento, della Commissione e del Consiglio europeo – Giorgia Meloni ha annunciato all’ultimo, quasi a farlo apparire un fuori programma, un pranzo con l’ex premier dem Paolo Gentiloni. Da commissario europeo all’Economia, è in possesso di informazioni aggiornate su uno dei dossier più spinosi e cruciali: la riforma del patto di stabilità e crescita. La Commissione presenterà la sua proposta mercoledì.
Nodi da sciogliere
Questo punto, assieme a quello della gestione più o meno solidale della crisi dei prezzi, determinerà gli spazi di manovra del governo Meloni. Nei prossimi giorni il nuovo esecutivo deve affrontare il nodo della legge di bilancio. Dunque questo giovedì nella capitale dell’Ue la premier, sempre affiancata dal suo ministro degli Affari europei Raffaele Fitto che le ha preparato i lavori, ha provato a costruire un clima propizio. Era scontato riuscirci con Roberta Metsola, la presidente dell’Europarlamento eletta anche coi voti di Fratelli d’Italia, e che dopo l’incontro ha invocato infatti «azioni immediate su energia e inflazione». Le due, come ha esibito Metsola, sono «allineate sull’Ucraina»; e proprio il posizionamento pro Kiev apre il dialogo con un’interlocutrice più ostica e più determinante, cioè Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione europea ha detto di voler cooperare con Meloni; non è tanto il posizionamento politico della premier italiana a condizionare il dialogo tra le due, quanto l’allineamento di von der Leyen sulle posizioni di Berlino. In fatto di caro prezzi, debito comune e meccanismi di solidarietà, il governo tedesco mantiene le sue rigidità.
Credibilità e identità
«Abbiamo parlato anche di come implementare il Pnrr in base alle nuove priorità», ha detto la premier in una rapida dichiarazione alla stampa prima della cena di lavoro col presidente del Consiglio europeo Charles Michel. «Sono contenta del clima che ho trovato qui a Bruxelles: parlare direttamente con le persone può aiutare a smontare la narrativa, non siamo marziani, e dall’altra parte c’era disponibilità all’ascolto». Per imbonirsi sia il fronte interno che quello europeo, Meloni usa una strategia doppia. Verso l’establishment di Bruxelles, vale quella di «dare rispetto e chiedere rispetto», per usare le parole del suo luogotenente europeo Fitto. Anche se Meloni ha fatto molte promesse su temi come l’energia, non basta una visita ufficiale ai vertici Ue per poter anche spostare gli equilibri, soprattutto se lo sforzo prioritario è accreditarsi come interlocutori credibili. Non a caso, le aspettative vengono smorzate: gli incontri brussellesi sono stati «conoscitivi», come ha detto dall’inizio chi è vicino alla presidente. Poi però c’è anche l’altro fronte aperto: quello con il proprio elettorato. Infatti nella fulminea dichiarazione alla stampa, in bilico fino all’ultimo, la premier infila anche la questione dei confini. Mentre lei incontrava i vertici Ue, i suoi ministri litigavano con Berlino su migranti e ong. Nelle stesse ore dei tête-à-tête con i presidenti Ue, l’estrema destra di Vox e dei conservatori europei si radunava a Ceuta a parlare di «frontiere», in presenza dell’entourage meloniano. «Ah, ecco perché i potenti temevano Giorgia!», se n’è uscito questo giovedì il sodale spagnolo Santiago Abascal, infiammando ancor di più la polemica sulle navi delle ong, già accesa da un Matteo Salvini in cerca di attenzioni. Tanto rumore sulle vecchie parole d’ordine, poche certezze sui dossier che davvero spostano l’economia.
Equilibri da spostare
Mentre la premier provava a liberarsi dello stigma sovranista tributando all’Ue il suo primo viaggio, i ministri lavoravano ai fianchi. Questo giovedì Antonio Tajani era al “summit del processo di Berlino”. E mentre l’attenzione mediatica si concentrava sulle sue dichiarazioni in tema migratorio, lui lanciava segnali di condiscendenza al governo tedesco su un punto caro alla Germania: «L’allargamento Ue ai Balcani occidentali è una priorità dell’Italia», ha dichiarato. E sempre nella capitale tedesca si trovava, alla vigilia del viaggio brussellese di Meloni, Giancarlo Giorgetti. L’impresa per palazzo Chigi è sbloccare le posizioni di Berlino sul fronte economico, dunque il ministro dell’Economia si è intrattenuto col suo omologo tedesco, il “falco” Christian Lindner. Martedì c’è l’Ecofin, mercoledì la riforma del patto. Per incrinare le rigidità tedesche, il governo punta anche sugli screzi nella coppia franco-tedesca; infatti Giorgetti incontrerà anche Bruno Le Maire. Quanto alla premier, non appena ha preso in mano il governo, ha incontrato Emmanuel Macron; e alla vigilia del viaggio a Bruxelles ha parlato con il socialista Pedro Sánchez. Su energia e debito tra Spagna e Italia ci sono sintonie.
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