The winner takes all. Il leader dei Popolari, che ha aperto le porte del potere a Meloni, ha una strategia egemonica: prendere il massimo possibile nei negoziati per le nomine, addirittura pretendendo di imporre al socialista Costa la propaganda anti migranti meloniana. E poi proseguire spostando a destra il baricentro dell’Ue
The winner takes all. Il vincitore prende tutto. La strategia dei Popolari europei sotto la guida di Manfred Weber – il leader che ha aperto le porte del potere a Giorgia Meloni – è egemonica: mira a prendere tutto, o comunque il massimo possibile, spostando a destra il baricentro dell’Ue. Questo “tutto” non comprende solo la conferma di Ursula von der Leyen – che Weber sostiene di dare per assodata – ma punta persino a melonizzare una futura leadership del socialista portoghese António Costa al Consiglio europeo.
Piegare i socialisti
Costa dovrebbe digerire di mettere sempre immigrazione e competitività nell’agenda dei leader: è questa l’idea weberiana, come apprende Domani da fonti riservate. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz – con il quale Weber è in contatto diretto – era pronto a chiudere l’accordo sulle nomine già al summit informale di lunedì sera, come pure altri leader.
Una delle ragioni per cui bisogna aspettare fine giugno per chiudere il pacchetto è che Weber punta a strappare il più possibile. È convinto di poterlo fare non solo per la forza dei numeri – in Europarlamento e in Consiglio il Ppe è la principale forza – ma perché ritiene che i socialisti non stiano davvero agendo da controparte.
L’unico contentino che intende lasciar loro è quello di salvare la faccia e mostrare che l’accordo per la presidenza della Commissione Ue non include Meloni. Ma su tutto Weber spingerà a destra. Lo fa capire lui stesso, quando dice – come ha fatto questo martedì – che «liberali e socialist… ehm, liberali e verdi sono i grandi perdenti di queste elezioni. La direzione politica dell’Europa che sarà deve essere di centrodestra, cioè non come prima». Non come quando – subito dopo il voto del 2019 – la si concertava davvero coi socialisti.
A quanto pare con il governo italiano il leader Ppe ha invece contatti costanti: parla con Antonio Tajani (vicepremier e Ppe), ritiene Meloni una partner affidabile e Raffaele Fitto – che ha instradato la cooperazione tra i due – un amico. La destrizzazione weberiana dei Popolari non ammette repliche, come si vede anche dagli sgambetti alla delegazione polacca.
La strategia dominante
I Popolari alzano la posta quindi, lanciando provocazioni. La più ingombrante è un attacco diretto ai socialisti. Con questi ultimi c’era già un traballante accordo per alternarsi ogni due anni e mezzo alla guida dell’Europarlamento. Von der Leyen del Ppe ambisce a una Commissione bis, e la liberale Kaja Kallas all’alto rappresentante. Ai socialisti spetterebbe la guida del Consiglio. Nella sera di lunedì l’assalto negoziale del Ppe per strappare il massimo ha contemplato l’idea di spacchettare in due anche la presidenza del Consiglio.
L’arroganza negoziale deriva solo in parte dai numeri del Ppe, sia in Consiglio sia nel gruppo europarlamentare (189 seggi), dove questo martedì è stato formalizzato l’ingresso degli eletti di Tisza (gli ungheresi guidati da Péter Magyar), BoerBurgerBeweging (il populismo agrario olandese anti clima), Nieuw Sociaal Contract (portato nel Ppe dall’ex portavoce di Weber Dirk Gotink, ora eletto) e altri, in tutto 14.
Per la sua strategia dominante Weber ha anzitutto bisogno di dominare il Ppe: già guida sia partito sia gruppo, e conta sulla sintonia di vedute col premier greco; poi contrasta le delegazioni che sui rapporti con Meloni hanno più dubbi. Platforma di Donald Tusk è seconda nel Ppe per numeri, e ha battuto alle europee il rivale Pis, alleato meloniano. Pare che Weber abbia provato a piazzare alla vicepresidenza dei Popolari Ewa Kopacz facendo così uno sgarbo al capodelegazione polacco Andrzej Halicki, che mirava al posto. Lo stress test è stato risolto con l’argomento della parità di genere, e si è concluso con Halicki che a Domani ha risposto: «Tutto rientrato. Sarò io il vicepresidente».
Camuffare i piani
Il piano weberiano comincia col «centro strategico». Con Scholz e Macron fiaccati dalla débâcle elettorale, Weber sa di poter blindare la presidenza di Commissione per von der Leyen in nome della «stabilità», come dice lui: una arrembante Marine Le Pen che va a prendersi la maggioranza relativa del parlamento francese agitando già i mercati è un ottimo argomento per sigillare il bis.
In prima battuta, l’operazione conterà sulla maggioranza tradizionale con socialisti e liberali, perché serve un sì del Consiglio. Ma in questa sede von der Leyen chiederà a Meloni il suo voto di supporto, e la premier in cambio rivendicherà un buon portafoglio. In Europarlamento poi il voto è segreto: può esserci qualche franco tiratore nel Ppe ma pure qualche supporto più da destra.
Von der Leyen è perfetta per l’operazione perché è come un prisma: c’è chi in lei può vedere la vaga agenda degli inizi – un’illusione da porgere ai socialisti – e chi la Ursula weberizzata di fine legislatura, che smantella i piani verdi e asseconda Meloni. La vera scommessa di Weber scatta però dopo.
Diversamente dal 2019, nessuno coltiva più alcuna velleità di una agenda permanente concertata coi socialisti: loro stessi sono consapevoli che poi il Ppe farà il suo gioco, concertando un’agenda più destrorsa col supporto delle destre estreme quando lo riterrà conveniente, anche solo come leva negoziale. Ecco perché Weber parla di «Europa di centrodestra» stralciando spudoratamente i socialisti dalla sua visione.
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