- Le destre vanno a prendersi la Spagna e a dirottare tutta Europa. Il cordone sanitario non c’è più, neppure nella penisola iberica: come sta già accadendo su scala europea, i popolari tentano lo sfondamento a destra. Non fanno che virare verso gli estremi, sia negli argomenti che nella disponibilità ad accordarsi con Vox, l’estrema destra di Santiago Abascal, alleato di Meloni.
- Proprio come il leader dei popolari europei Manfred Weber ha normalizzato l’estrema destra avviando l’alleanza tattica coi meloniani, e così come in Svezia o in Finlandia la destra ha digerito formazioni estreme per andare al governo, allo stesso modo il leader dei popolari spagnoli Alberto Núñez Feijóo è disposto a tutto per prendersi la Moncloa.
- Non bisogna farsi ingannare, se negli ultimi giorni prima del voto di domenica le destre fingono di battibeccare, o quando Meloni va a dire a Bruxelles che «non siamo marziani». I fatti mostrano che l’unico assioma inscalfito dalle destre è l’intenzione di prendere il potere. L’ologramma di Meloni compare ai comizi di Vox e fa appelli ai «patrioti» assieme a Orbán
Le destre vanno a prendersi la Spagna e a dirottare tutta Europa. Il cordone sanitario non c’è più, neppure nella penisola iberica: come sta già accadendo su scala europea, i popolari tentano lo sfondamento a destra. Alle amministrative di maggio si sono già mangiati il centro di Ciudadanos, e da allora non fanno che virare verso gli estremi, sia negli argomenti che nella disponibilità ad accordarsi con Vox, l’estrema destra di Santiago Abascal, alleato di Giorgia Meloni.
Proprio come il leader dei popolari europei Manfred Weber ha normalizzato l’estrema destra avviando l’alleanza tattica coi meloniani, e così come in Svezia o in Finlandia la destra ha digerito formazioni estreme per andare al governo, allo stesso modo il leader dei popolari spagnoli Alberto Núñez Feijóo è disposto a tutto per prendersi la Moncloa.
Non bisogna farsi ingannare, se negli ultimi giorni prima del voto di domenica le destre fingono di battibeccare, o quando Meloni va a dire a Bruxelles che «non siamo marziani». I fatti mostrano che l’unico assioma inscalfito dalle destre è l’intenzione di prendere il potere; tutto il resto è subordinato a questa priorità.
I popolari con Vox
Il principale argomento che Pedro Sánchez, il premier socialista, usa per schivare l’ondata di destra è proprio paventare che i popolari aprano a Vox le porte della Moncloa. Dopo le amministrative di maggio, anticipare le elezioni generali all’estate doveva servire anche a mettere sotto gli occhi dell’elettorato la disponibilità del Partido popular (Pp) ad accordarsi con Vox per prendere anzitutto il governo degli enti locali.
E in effetti nessun dubbio è lecito, ormai, sulla mancanza di inibizioni dei popolari: è dimostrata da una sequela di eventi. A marzo del 2022 in Castiglia e León le due formazioni – PP e Vox – hanno siglato il loro primo accordo di legislatura. Dopo il voto di maggio, coi popolari rampanti e con Vox che è andato al raddoppio, i patti si sono susseguiti uno dietro l’altro. Il caso dell’Estremadura è emblematico perché, dopo il voto locale e i primi abboccamenti, l’accordo con Vox pareva saltato e la popolare María Guardiola aveva sbattuto la porta. Era chiaro da subito che il conflitto non era sull’apertura a Vox, ma sulle condizioni dell’accordo; ad ogni modo il caso dell’Estrema dura poteva apparire per Feijóo l’ultima foglia di fico. Invece pure lì alla fine una convergenza è stata raggiunta.
È anche la caduta di ogni illusione: anche in Estremadura con Guardiola, la presa del potere per i popolari coincide con l’apertura a Vox. Ci sono molti altri esempi: nella Comunità Valenciana il popolare Carlos Mazón governa tramite un patto col partito di Abascal. In Aragona la convergenza tra destre ha portato Marta Fernández di Vox – formidabile intreccio di estremismi, dal negazionismo climatico all’antiabortismo, passando per il novaxismo e il machismo – alla presidenza del parlamentino d’Aragona. A Náquera col supporto dei popolari c’è un sindaco di Vox che ha inaugurato le zone delegibitizzate. A Toledo e Valladolid l’innesto tra destre ha portato allo smantellamento delle deleghe per l’Uguaglianza e la Parità di genere, sostituite come uno scalpo da dipartimenti alla Famiglia.
La politica dell’identità e la guerra culturale sono diventate la nuova bandiera comune che le destre sventolano per abbattere quello che chiamano con spregio «il sanchismo». I dati reali – l’eccezione iberica ottenuta da Sánchez a Bruxelles e il contenimento dell’inflazione, i progressi su salario minimo o disoccupazione – vengono coperti sotto una coltre di propaganda che la destra concentra su temi come la legge del «solo sì è sì», sul consenso sessuale, che i progressisti hanno dovuto modificare.
Il tandem tra Vox e Meloni
Le apparenti divergenze tra tra Vox e PP – come le uscite recenti di Abascal sulla Catalogna – non vanno fraintese: sono funzionali a una competizione interna per il potere; ognuno dei due partiti si litiga fino all’ultimo l’elettorato di destra, e prova a costruire una posizione di forza anche in vista di futuri negoziati per il governo. Ma i cordoni sanitari verso l’estrema destra ormai non esistono più, se non nell’immaginario progressista.
Vox tenta la conversione a forza di governo a livello nazionale, e a tale scopo mobilita tutta l’internazionale di estrema destra. Meloni è stata confermata alla presidenza dei conservatori europei anche per poterne utilizzare il brand di estrema destra di governo alle elezioni spagnole e polacche, e infatti era al comizio di Vox a Valencia; non fisicamente, ma collegata in video al fianco di Abascal. La premier che a von der Leyen va a dire che non è «marziana» non ha esitato a rispolverare i vecchi armamentari ideologici e appelli «ai patrioti».
Oltre al premier polacco, è intervenuto anche quello ungherese Orbán, che diversamente dagli altri non è nella famiglia conservatrice; ma che è stato riabilitato per l’occasione sullo stesso palco di Meloni e Morawiecki, in barba alle sue posizioni filorusse. Un’ulteriore conferma che ogni inibizione cade di fronte all’imperativo di prendersi il potere.
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