- Quando i leader arrivano a Bruxelles per la due giorni di Consiglio europeo, il primo esito del summit è già scritto. Il consenso dei capi di stato e di governo per assegnare lo status di candidata all’Ucraina e alla Moldavia, è ormai maturo. Tre mesi fa Mario Draghi aveva perorato la causa e nelle ultime settimane gli equilibri si sono spostati in questa direzione.
- C’è invece un capitolo che fatica anche solo a entrare in agenda e sul quale i tempi per l’Europa non sembrano mai maturi abbastanza, nonostante l’evidente ricatto della Russia. Quel tema è il gas, e nel pomeriggio di giovedì il governo italiano ha lavorato febbrilmente per portare anche la Germania a bordo sulla proposta di tetto ai prezzi.
- Di fronte alle resistenze al piano, l’escamotage di Chigi per non abbandonare l’iniziativa è proporre un summit straordinario sull’energia a luglio.
«Momento storico», «Consiglio storico»: non esiste capo di stato, di governo, presidente di Consiglio o di parlamento Ue che non usi l’aggettivo «storico» per etichettare il vertice europeo che predispone il percorso verso l’adesione di Kiev all’Unione europea. Quando i leader arrivano a Bruxelles per la due giorni di Consiglio europeo, il primo esito del summit è già scritto. Il consenso dei capi di stato e di governo per assegnare lo status di candidata all’Ucraina e alla Moldavia, è ormai maturo. Tre mesi fa Mario Draghi aveva perorato la causa e nelle ultime settimane gli equilibri si sono spostati in questa direzione. C’è invece un capitolo che fatica anche solo a entrare in agenda e sul quale i tempi per l’Europa non sembrano mai maturi abbastanza, nonostante l’evidente ricatto della Russia. Quel tema è il gas, e nel pomeriggio di giovedì il governo italiano ha lavorato febbrilmente per portare anche la Germania a bordo sulla proposta di tetto ai prezzi. Di fronte alle resistenze al piano, l’escamotage di Chigi per non abbandonare l’iniziativa è proporre un summit straordinario sull’energia a luglio.
L’avvicinamento di Kiev
L’Unione europea costruisce il proprio percorso di allargamento. Dopo la Commissione Ue, questo giovedì anche l’Europarlamento ha perorato lo status di candidate per Ucraina e Moldavia. I leader procedano senza indugio, hanno chiesto a larga maggioranza gli eurodeputati proprio mentre i capi di stato e di governo confluivano a palazzo Justus Lipsius. Neppure il prestigiatore dei veti Viktor Orbán non ha obiettato, anzi: pure l’Ungheria dice sì al percorso di avvicinamento di Kiev all’Ue. Lo status di candidato non implica in sé condizioni privilegiate per il paese che lo riceve, ma significa che il Consiglio europeo conferisce un mandato negoziale alla Commissione Ue. Bruxelles identifica una lista di capitoli con le riforme politiche, economiche e giuridiche che – in questo caso – Ucraina e Moldavia devono attuare. Perché uno stato possa diventare membro dell’Ue, infatti, deve avvicinarsi all’«acquis communautaire»: l’Ucraina e la Moldavia devono far propri gli obiettivi politici, i diritti, i doveri che costituiscono la base giuridica per far parte dell’Ue. Esiste quindi un livello tecnico, anche se quello politico resta imprescindibile: sono pur sempre i governi a dover approvare all’unanimità l’effettiva adesione all’Ue.
L’allargamento dell’Unione
«Quella dell’ingresso dell’Ucraina sarà una strada molto lunga, bisogna essere chiari», puntualizza il premier belga, Alexander De Croo. L’altro punto che i leader hanno in agenda, e che nella bozza di conclusioni figura in cima, è il progetto di «comunità politica» sul quale il primo input è arrivato dall’Eliseo. «La distanza tra retorica e realtà è forte, non bisogna creare illusioni», aveva detto il 9 maggio Emmanuel Macron, disegnando quindi la soluzione di una famiglia europea allargata, che non sostituisce il percorso di adesione, e secondo le intenzioni dovrebbe favorire il coinvolgimento dei paesi che non sono ancora membri ma nel limbo. «Supportiamo l’idea francese, se proprio non possiamo stare nella casa comune quantomeno possiamo condividere il soggiorno», ha detto questo giovedì con una punta di ironia Edi Rama, il primo ministro albanese. Il passo dei governi Ue verso Ucraina e Moldavia rende ancor più indigeribile per i paesi ancora nel limbo la lunga attesa. Albania e Macedonia del Nord si trovano col processo negoziale congelato e «certo, il punto è la Bulgaria» che lo blocca, ha detto ieri Rama dopo un infruttuoso summit Ue-Balcani occidentali. «Ma il punto è anche che può tenerci in ostaggio sotto lo sguardo impotente di altri 26 paesi». Che ora, pare, spingono perché la Bulgaria sollevi il suo veto. Ma ci sono paesi che restano nel limbo per anni «aspettando Godot», dice Edi Rama.
Questo Consiglio rappresenta a ogni modo uno snodo decisivo nel processo di espansione dell’Unione, anche se non si riscontra altrettanta convinzione sul fronte delle riforme interne. Per quanto i leader – come Draghi e Scholz – riconoscano nelle dichiarazioni pubbliche che allargarsi senza riformarsi non è sostenibile, sembra cadere nel nulla la richiesta dell’Europarlamento di dare il via a una convenzione per riformare i trattati. «Il meccanismo dell’unanimità si può scardinare senza per forza toccare i trattati», ha insistito anche ieri Olaf Scholz.
La sfida sul gas
Mentre l’Europa si ripensa, intanto la Russia la ricatta e soprattutto crea le condizioni per poterci ricattare ancor di più nella stagione invernale. Con i tagli alle forniture, gli stoccaggi per l’inverno non raggiungono i volumi sperati. L’allerta sulla «crisi del gas» è arrivata ieri da Berlino. «La Russia sta usando il gas come arma contro di noi», ha detto il ministro degli Affari economici Robert Habeck mentre innalzava il livello di allarme. Oltre all’invito ai cittadini tedeschi perché riducano i consumi, il ministro ha anche detto loro di aspettarsi ulteriori aumenti dei prezzi.
Mettere un tetto ai prezzi del gas è il piano italiano. Lo è da mesi, ma summit dopo summit il tema finisce a stento accennato o fuori agenda. Stavolta anche solo infilare il tema, in un’agenda che non lo prevedeva, e far sì che non venisse liquidato in fretta, si è rivelato una fatica: forse se ne parla a cena, ha sperato la delegazione italiana nel pomeriggio di ieri. Draghi ha incontrato Macron poco prima dell’inizio del summit, per coordinarsi, e nel frattempo il governo nel pomeriggio ha continuato a lavorare con l’obiettivo di spostare a proprio favore la Germania. Spagna e Grecia al contempo hanno spinto, per il tetto ai prezzi e per la riforma del mercato dell’energia, tema sul quale a marzo i paesi meridionali avevano creato un fronte comune, con un incontro che si era tenuto proprio a Roma tra i leader italiano, spagnolo, portoghese e greco. Ma ieri le pressioni contrarie, con il premier olandese a dire che «potrebbe non funzionare» e Berlino difficile da smuovere, hanno fatto intravedere un ulteriore affossamento. Preso atto che «non c’è un ampio consenso», Draghi – supportato dalla Francia e da altri paesi – ha rilanciato chiedendo un summit straordinario sull’energia il mese prossimo.
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