- Nelle piazze europee, a manifestare contro la guerra in Ucraina in questi giorni ci sono tanti ragazzi dei Fridays for future. Chiedono la pace, oltre al rispetto dell’ambiente. Ma le battaglie delle nuove generazioni stanno per essere tradite.
- Proprio con l’alibi della guerra, infatti, è in corso un tentativo di bloccare gli sforzi dell’Unione europea per ambiente e clima. In realtà i tentativi sono molteplici: c’è la spinta a favore dei pesticidi, quella per la deregolamentazione degli ogm, quella per rinviare gli obiettivi climatici.
- Le pressioni arrivano da più parti: le lobby dei pesticidi, quelle dei colossi dell’agroindustria, ma anche governi come quello italiano e gruppi politici europei come quello popolare. È arrivato un segnale piuttosto chiaro che la Commissione Ue intende assecondarli.
Nelle piazze delle capitali europee, come quella di Berlino, a manifestare contro la guerra in Ucraina in questi giorni ci sono anche tanti ragazzi dei Fridays for future. Chiedono la pace, oltre al rispetto dell’ambiente. Ma le battaglie delle nuove generazioni stanno per essere tradite. Proprio con l’alibi della guerra, infatti, è in corso un tentativo di congelare e rinviare ulteriormente gli sforzi dell’Unione europea per l’ambiente e il clima. «Un tentativo cinico di usare la guerra per fare passi indietro». Queste parole sono contenute in una risoluzione che arriverà la prossima settimana sui banchi dell’Europarlamento, su proposta dei Verdi. In realtà i tentativi sono molteplici: c’è la spinta a favore dei pesticidi, quella per la deregolamentazione degli ogm, quella per rinviare gli obiettivi climatici. E le pressioni arrivano da più parti: le lobby dei pesticidi, quelle dei colossi dell’agroindustria, ma anche di governi come quello italiano e gruppi europarlamentari come quello popolare. Ieri è anche arrivato un segnale piuttosto chiaro che la Commissione europea intende assecondarli.
L’alibi della guerra
Gli attori che spingono per rallentare l’impegno ambientale e climatico dell’Ue durante la guerra sono gli stessi che premevano nella stessa direzione già prima dell’aggressione russa. L’attacco di Putin ha alimentato però la paura collettiva che la nostra sicurezza alimentare sia a rischio. In realtà l’incertezza negli scambi di materie prime è dovuta a un intrecciarsi di fattori. Ci sono gli strascichi della pandemia. Il cambiamento climatico e la siccità, ad esempio, hanno fatto crollare la produzione di grano duro canadese nel 2021, spingendo i prezzi in alto. La speculazione finanziaria ha inciso sui prezzi del grano tenero. L’aumento dei costi di trasporto è dovuto a un caro prezzi energetico già in corso da mesi. «Dobbiamo dare alla gente la certezza di non ritrovarsi coi piatti vuoti in tavola, bisogna fermare le proposte legislative che hanno impatti negativi sulla sicurezza alimentare europea», dice a nome del gruppo popolare europeo l’eurodeputato Herbert Dorfmann.
Le strategie che l’Unione europea aveva scelto di mettere in campo ben prima della guerra, come “farm to fork” (letteralmente “dalla fattoria alla forchetta”) hanno come obiettivo in realtà proprio quello di rafforzare la nostra sicurezza alimentare: oltre ad avvicinarci agli obiettivi climatici, puntano alla sostenibilità di tutta la filiera. Perché quindi viene utilizzata la motivazione della guerra per frenare il Green deal? «Per noi che nel 2021 abbiamo importato dall’Ucraina il 13 per cento di mais – dice Federica Ferrario di Greenpeace – qualche problema può esserci soprattutto in ambito zootecnico, cioè per gli allevamenti intensivi, che peraltro sono molto inquinanti. La verità è che con il cappello della guerra si stanno tentando manovre che hanno altre ragioni».
Roma e la deregulation
Intanto però anche i governi spingono per la deregolamentazione, o almeno così fa quello italiano. In sede di Consiglio europeo sulla guerra, a Versailles la settimana scorsa, Mario Draghi ha tenuto a dire che la necessità di importare prodotti agroalimentari da Usa, Canada e Argentina fa «riconsiderare tutto l’apparato regolatorio» in virtù dell’emergenza. Il riferimento è agli «standard dei prodotti agricoli» e quindi anche agli ogm, tema sul quale finora l’Ue ha sempre difeso il principio di precauzione per salute e ambiente. Le parole di Draghi ricalcano fedelmente le richieste arrivategli una settimana prima di Versailles dai cerealisti, che hanno fatto pressione sul governo per «lo stop ai vincoli Ue su ogm e pesticidi per l’import di mais». Ma già da molto tempo prima della guerra, è in corso su scala europea uno sforzo lobbistico su Bruxelles per deregolamentare i nuovi tipi di ogm.
Con la motivazione dei timori per il conflitto, il governo italiano a Bruxelles ha fatto anche arrivare una serie di richieste di deroghe: da quelle specifiche, come l’esenzione temporanea dagli obblighi di rotazione e diversificazione delle colture, alla più ampia possibilità di eludere per un po’ gli impegni relativi agli obiettivi climatici. Il 15 marzo a palazzo Chigi è arrivata una lettera di 17 organizzazioni tra cui Terra, Wwf, Slowfood, Legambiente e Greenpeace. «A nome delle principali associazioni del mondo ambientalista, dell’agricoltura biologica e dei consumatori, esprimiamo preoccupazione», hanno scritto chiedendo di non far saltare i piani verdi Ue, la strategia “farm to fork” e quella per la biodiversità. Ma Bruxelles per ora sembra pensarla come Roma.
La Commissione e le lobby
Ieri il commissario Ue all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, ha fatto intendere grande «flessibilità» sul modo in cui i governi metteranno in atto la politica agricola comune. Ma il tradimento del Green deal non finisce qui: per il 23 marzo erano attese alcune proposte della Commissione. Pare che sia quella sull’uso sostenibile dei pesticidi, sia quella sui “nature restoration targets” relativa alla biodiversità, saranno rinviate. «Questo è uno scandalo», dice l’eurodeputata green Anna Deparnay-Grunenberg. «Significa finanziare con soldi pubblici gli allevamenti intensivi ma far saltare quei passi necessari sia per l’ambiente che, paradossalmente, per la nostra sicurezza alimentare». Una grande spinta in direzione dello stop a questi piani verdi è arrivata «dalle corporation, dalla lobby dei colossi dell’agroindustria, Copa-Cogeca, da soggetti che già spingevano prima, e ora usano l’argomento della guerra, trovando sponda nei popolari».
Un dossier appena pubblicato dal Corporate Europe Observatory documenta in dettaglio le pressioni dei grandi produttori di pesticidi come Bayer, che per influenzare Bruxelles ha speso almeno 7 milioni nel 2021. L’osservatorio sulle influenze delle lobby ha tracciato l’attività di una coalizione, sostenuta attivamente dall’amministrazione Usa, attraverso il dipartimento agricoltura, per fermare “farm to fork” e l’obiettivo di dimezzare l’uso di pesticidi. Le pressioni erano già in corso ben prima della guerra; che però diventa l’alibi per metterle a segno.
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