«Per noi modenesi è semplicemente “l’aceto”. Ormai è come uno di famiglia». Nelle parole di Mariangela Grosoli, presidente del Consorzio di tutela aceto balsamico di Modena Igp, si capisce l’attaccamento del territorio a uno dei suoi prodotti di punta. Un indizio utile a capire perché questa parte di Emilia abbia protestato in maniera tanto veemente contro la norma slovena che mira a definire il suo aceto come balsamico. «Un aceto non è come un altro, per questo devono definire il loro in maniera diversa, visto che non si può considerare balsamico», sottolinea Federico Desimoni, direttore del Consorzio.

Il fatto

Tutto è iniziato lo scorso 2 dicembre, quando il ministero dell’Agricoltura sloveno ha notificato alla Commissione europea l’approvazione di una legge che definisce come “balsamico” l’aceto prodotto da succhi di frutta o mosti. Una norma in aperto contrasto con le leggi comunitarie e in particolare con il regolamento europeo 1151/2012 che protegge i prodotti agricoli e alimentari da tentativi di sfruttamento ed emulazione. Dopo la pubblicazione della notifica lo scorso 23 febbraio la Commissione ha deciso di prorogare il periodo di “fermo” fino al 3 giugno, quando emetterà un verdetto ufficiale sulla vicenda dopo aver ascoltato il parere degli stati membri e dell’Italia, che ha già presentato un suo parere contrario alla legge del governo di Lubiana. «Mi sorprendono queste polemiche, da inizio dicembre non abbiamo mai ricevuto niente. La bozza di legge non contraddice né limita in alcun modo né la denominazione di origine né l’indicazione geografica protetta. La tecnologia che usiamo in Slovenia è differente da quella usata a Modena», ha dichiarato il ministro dell’Agricoltura sloveno Jože Podgoršek. Di tutt’altro parere l’opinione italiana. «Tuteleremo in ogni sede il nostro patrimonio enogastronomico: infatti ci siamo già opposti alla legge slovena presso l’Ue», ha assicurato il suo omologo italiano, Stefano Patuanelli. Il documento ufficiale con cui Roma si oppone alla legge slovena è stato pubblicato da Business Insider. Nel testo il governo italiano evidenzia come «la possibilità introdotta dalla regola tecnica slovena di porre in commercio un prodotto denominato “aceto balsamico” violerebbe il diritto comunitario poiché indurrebbe in errore il consumatore europeo. In altri termini, con tale norma tecnica verrebbe immesso sul mercato un prodotto imitativo ed evocativo di altri protetti a livello comunitario e con regole specifiche di produzione». Un caso molto simile a quello già accaduto nel 2019, quando il Consorzio aceto balsamico ha dovuto difendersi in sede europea da un tentativo di imitazione tedesco. In quel caso il giudice europeo ha sostenuto la tesi per cui l’indicazione geografica protetta, marchio europeo di cui gode l’aceto balsamico modenese, non poteva essere estesa anche ai termini “aceto” e “balsamico”. La questione ha avuto anche un parere ufficiale della Commissione: l’eurodeputato Paolo De Castro dei Socialisti e Democratici ha chiesto infatti al commissario europeo all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, di chiarire la questione. «Ieri come oggi i casi sono simili. Come evidenziato allora anche dal commissario, i termini non sono protetti e quindi possono essere usati ma la Corte non ha mai messo in dubbio il divieto alla rievocazione. Quindi se fai un condimento che chiami “aceto balsamico” sembra quasi naturale che rievochi quello modenese e questo è contro le regole europee», racconta De Castro. E c’è di più. La legge slovena vìola infatti la norma Cen sulle materie prime dei prodotti. «Secondo quanto previsto dall’Europa quando un prodotto viene aromatizzato con un additivo o con l’uso di più materie prime queste vanno citate nella denominazione. La legge slovena non prevede questa aggiunta per il loro aceto balsamico. Per questo l’utilizzo del termine è ambiguo e sbagliato, visto che il mosto non dà affatto quel sapore balsamico tipico di altri elementi», aggiunge De Castro.

I danni

Una storia diversa riguarda invece quello di Modena. «Come racconta la nostra storia un semplice aceto di mosto non si può definire balsamico, visto che non è dolce e ha un profumo del tutto diverso», sostiene Desimoni. Tutelare l’aceto balsamico di Modena è una questione che riguarda non solo le aziende del Consorzio ma anche il valore e il prestigio dei due marchi Dop riconosciuti, l’aceto balsamico tradizionale di Modena e quello di Reggio Emilia, e il marchio Igp ricevuto dalle autorità europee soltanto nel 2009. Secondo il direttore del Consorzio, «dare ragione alla Slovenia sarebbe un danno per tutti. Così salterebbe il sistema di Dop e Igp europee che l’Unione sta cercando a fatica di far valere in tutto il mondo». Un problema, quello delle rievocazioni, che il nostro paese conosce fin troppo bene: è l’Italian sounding che, secondo alcune stime della Coldiretti, vale ormai oltre 100 miliardi di euro grazie all’uso improprio di parole, colori, località, immagini e denominazioni italiane. Un danno per le aziende modenesi e non solo: il solo comparto dell’Aceto balsamico vale un miliardo di euro al consumo che si aggiunge a quello delle altre Dop e Igp italiane, stimate intorno ai 16,9 miliardi di euro alla produzione e che pesano per il 19 per cento nel fatturato agroalimentare italiano e per il 21 per cento nell’export nazionale. Il momento poi non è dei migliori, visto che anche le aziende del Consorzio Aceto Balsamico di Modena hanno dovuto fronteggiare la crisi economica legata all’epidemia di Covid. «È stato un anno duro ma abbiamo resistito: abbiamo stimato un calo del 5 per cento del nostro fatturato che però non si è diviso equamente tra le aziende del nostro consorzio. Chi ne ha risentito di più sono state soprattutto le piccole imprese impegnate nella ristorazione che hanno dovuto spesso sospendere la loro attività», assicura Desimoni. «Il 2020 è stato un anno difficile, nemmeno il terremoto ci ha messo tanto in difficoltà. Speriamo di vedere una ripresa nei prossimi mesi», dichiara la presidente Grosoli che è anche titolare di una piccola azienda del Consorzio. «Sia per l’impresa che per il Consorzio il momento è difficile. Mai come adesso siamo tutti impegnati a sopravvivere e per questo vedere svilito così il lavoro dei nostri operai e delle aziende sarebbe brutto».

Cosa accadrà

L’attesa è tutta per il 3 giugno, giorno in cui l’Europa dovrebbe pronunciarsi sulla faccenda. «Non credo che la richiesta di maggior tempo sia da intendere come una marcia indietro: sarebbe impensabile che la Commissione smentisca quello che il suo Commissario ha detto soltanto pochi mesi fa. Per questo credo che la Commissione si esprimerà a favore del regolamento comunitario, che evita tutta quella terminologia un po’ ambigua di nomi non tutelati ma a forte rischio rievocazione», sostiene con sicurezza De Castro. I precedenti sembrano dimostrarlo. Ad esempio, in una sentenza storica del 2019, la Corte di giustizia ha dichiarato illegale l’uso del personaggio letterario Don Chisciotte per la promozione di un formaggio spagnolo in quanto “evocava” l’area geografica. Un altro caso è quello del “Cambozola”, risalente al 2015, in cui la Corte di Giustizia ha sanzionato la denominazione di un prodotto tedesco che imitava in maniera impropria il celebre Gorgonzola. «I casi in passato ci hanno permesso di rafforzare le regole europee a sostegno di certi marchi e per questo oggi possiamo garantire le aziende da eventuali tentativi di imitazione nel nostro Continente. Una cosa diversa invece è ciò che succede fuori dall’Europa, dove ovviamente i produttori rispettano le loro regole e quindi non sono dei falsi. In quel caso bisogna proteggere i nostri prodotti con le regole internazionali», sostiene de Castro. «Spero che la decisione europea sia corretta e guardi soltanto al rispetto delle leggi. Tante volte abbiamo visto giudici nazionali analizzare casi di rievocazioni con criteri di convenienza, politici o economici. In Europa si tende troppo spesso a proteggere ancora i falsari», conclude Desimoni. La speranza è che stavolta le cose vadano diversamente.

 

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