«La Commissione non ha concesso al pubblico un accesso sufficientemente ampio ai contratti di acquisto dei vaccini contro il Covid»: proprio alla vigilia del voto sulla riconferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, arriva la stroncatura della Corte di giustizia dell’Unione europea. La sentenza è potenzialmente problematica in vista del voto di domani, tantopiù che ad avviare l’iniziativa legale erano stati proprio i Verdi europei, che in queste settimane hanno offerto il loro supporto a von der Leyen sperando così di essere integrati nei processi decisionali. 

La storia della sentenza

«Sui contratti per i vaccini la Commissione è opaca. La portiamo in tribunale». Lo aveva anticipato a Domani l’eurodeputata verde Michèle Rivasi a maggio del 2021. Rivasi non ha fatto in tempo ad assistere alla vittoria d’aula perché è deceduta a novembre del 2023, ma sua figlia Emilie Mosnier ha preso il suo posto per l’iter in tribunale. Tra le iniziatrici del caso anche altre quattro eurodeputate verdi, Kim van Sparrentak, Tilly Metz, Jutta Paulus, Margrete Auken. 

Nel 2021 Rivasi spiegava così la scelta di avviare la sfida legale: «Mesi fa, come Verdi, abbiamo chiesto formalmente alla Commissione che disvelasse gli accordi siglati con le aziende farmaceutiche. Bruxelles ha risposto che non poteva farlo, dunque abbiamo rinnovato la richiesta. Abbiamo atteso. A tutt’oggi non è stata soddisfatta e quindi il bureau dei Verdi si prepara a portare l’esecutivo europeo davanti alla Corte per mancata trasmissione di documenti di interesse generale». 

Come avevamo riportato tre anni fa su Domani, la trasparenza sugli accordi fra l’Ue e i colossi farmaceutici per i vaccini era rimasta di fatto appesa alla volontà delle aziende. Bruxelles lo aveva concesso in sede di negoziato, e i governi avevano concordato che andasse così: a loro, in via confidenziale, le informazioni arrivavano. È agli europarlamentari e all’opinione pubblica che non trapelavano. Fu per scelta di una delle aziende, CureVac, che per la prima volta venne concesso agli eurodeputati di sbirciare uno dei contratti. Gli eletti dovevano entrare in una stanza, soli, non potevano prendere appunti, firmavano un vincolo di segretezza. E questa era stata la prima piccola breccia in un contesto di grande opacità.

«Dopo molte reticenze, Bruxelles aveva reso pubblici testi comunque oscurati in molte parti di interesse generale. Alcune rivelazioni clou, come parti desecretate o rivelazioni sui prezzi, sono arrivate grazie al lavoro dei giornalisti e alle rare soffiate dei governi», spiegava Rivasi nella primavera del 2021.  L’iniziativa legale dei Verdi seguiva il solco di quella, già vinta, sul glifosato: «Una decisione di interesse pubblico e che riguarda la salute non può prescindere dalla trasparenza. I contratti sui vaccini hanno un impatto sulla salute pubblica, c’è il tema della responsabilità in caso di effetti secondari, oltre che della tracciabilità della spesa pubblica». 

Il ruolo di von der Leyen

I Verdi avevano chiesto invano informazioni sui prezzi per dose, sui pagamenti anticipati, sulla presa di responsabilità per gli effetti collaterali, sugli indennizzi, su rivendite e donazioni. La Commissione respingeva le richieste in nome della riservatezza commerciale.

Ma il tema era ed è tuttora la prevalenza dell’interesse pubblico. Dietro i cavilli legali si celano infatti temi cruciali. Si pensi al tema della mancata trasparenza sul prezzo per dose. Ad aprile 2021 von der Leyen aveva inaugurato la nuova stagione di contratti con l’azienda Pfizer in prima fila; si parlava di 1,8 miliardi di dosi fino al 2023. Ma solo da alcune rivelazioni era emerso che in quei negoziati di primavera Pfizer aveva spuntato prezzi più alti di circa il 25 per cento per le dosi. Successivamente è emerso, sempre grazie al lavoro giornalistico, che von der Leyen aveva trattato per quei contratti direttamente col ceo di Pfizer via sms: su questo è tuttora in corso un’ulteriore iniziativa legale. Sul caso degli sms cancellati la ombudsman Ue ha già parlato di «malgoverno» della Commissione von der Leyen, mentre il modo in cui sono stati negoziati i contratti è stato stigmatizzato pure dalla Corte dei conti europea.

La questione di donazioni e rivendite è cruciale su un ulteriore versante: in sede di Organizzazione mondiale per il commercio, von der Leyen aveva difeso a oltranza la posizione delle aziende farmaceutiche, che si opponevano alla deroga sui brevetti dei vaccini; persino dopo l’apertura della Casa Bianca sul tema a maggio di quell’anno, la Commissione aveva insistuito su quella posizione. Il fatto che i contratti stipulati con le aziende abbiano pure potuto ostacolare le donazioni o la rivendita delle dosi non utilizzate aggrava la posizione di von der Leyen: in una fase di forte squilibrio globale nell’accesso alle dosi, con il sud globale che ne pativa la scarsità, erano state rese difficili tutte le vie di uscita, dalla liberalizzazione dei brevetti alle donazioni, con un vantaggio per le aziende farmaceutiche che potevano così avere sotto controllo l’accesso ai vaccini oltre che i prezzi.

Il verdetto

La sentenza riguarda i contratti stipulati dalla Commissione con le aziende farmaceutiche nel 2020 e 2021, con la messa a disposizione di circa 2,7 miliardi di euro per un ordine di oltre un miliardo di dosi. Bruxelles aveva dato accesso solo parziale ai documenti, e la Corte conferma che «la Commissione non ha concesso al pubblico un accesso sufficientemente ampio ai contratti di acquisto di vaccini contro la Covid-19. Tale infrazione riguarda in particolare le clausole di detti contratti relative all’indennizzo nonché le dichiarazioni di assenza di conflitto di interessi dei membri della squadra negoziale per l’acquisto dei vaccini».

La Corte confuta in sostanza gli argomenti addotti dalla Commissione per tenere all’oscuro gli eurodeputati e quindi i cittadini. In sintesi, la protezione degli interessi commerciali delle imprese e la tutela della vita privata dei negoziatori non sono argomenti validi per occultare informazioni rilevanti per l’interesse pubblico. Ma per usare le parole della Corte stessa: «La Commissione non ha dimostrato che un accesso più ampio a tali clausole avrebbe effettivamente arrecato pregiudizio agli interessi commerciali di tali imprese. Del pari, la Commissione non ha fornito spiegazioni sufficienti che consentissero di capire in che modo l’accesso alle definizioni di «dolo» e di «ogni ragionevole sforzo» in taluni contratti e alle clausole dei contratti relative alle donazioni e alle rivendite dei vaccini avrebbe potuto arrecare concretamente ed effettivamente pregiudizio a tali interessi commerciali. Per quanto riguarda la tutela della vita privata delle persone invocata dalla Commissione per negare parzialmente l’accesso alle dichiarazioni di assenza di conflitto di interessi dei membri della squadra negoziale per l’acquisto dei vaccini, il Tribunale ritiene che i privati interessati abbiano debitamente dimostrato il fine specifico di servire l’interesse pubblico della divulgazione di dati personali di tali membri».

La Corte aggiunge che Bruxelles non ha fatto valutazioni tali da «soppesare correttamente gli interessi in gioco».  

Le conseguenze

La Commissione europea sostiene di «aver fornito piena informazione agli eurodeputati» – insomma niente scuse ma anzi un arroccamento sulle posizioni originarie – e «si riserva le sue opzioni legali». 

Secondo Tilly Metz, tra le iniziatrici green della causa, il fatto che la Corte abbia respinto «l'automatismo della Commissione di rivendicare la riservatezza per quasi tutto ciò che è rilevante nei contratti» sarà rilevante anche per il futuro. Quell’argomento che era stato usato da Bruxelles «può essere avanzato solo se si può dimostrare che l'accesso del pubblico potrebbe effettivamente e specificamente compromettere gli interessi commerciali».

I Verdi in un comunicato festeggiano la sentenza, sottolineando che la richiesta di più trasparenza era venuta dall’Europarlamento, anche se solo loro erano andati avanti con l’iniziativa legale. Finora von der Leyen ha tirato dritto nonostante il polverone sul caso Pfizer e sms, e non è detto che il verdetto riesca a imbarazzarla davvero; ma potrebbe creare imbarazzi a chi pensava di votarla, a cominciare dai Verdi stessi.  

© Riproduzione riservata