Von der Leyen aveva promesso di rivedere il principio di primo approdo ma ha fatto tutt’altro. A battersi per un’equa accoglienza è rimasta Schlein. E un parlamento Ue in controtendenza
La stessa sorte accomuna le due riforme più importanti e più divisive dell’Europa recente: la riforma di Dublino e quella del patto di stabilità.
Una doveva portare più equità nell’accoglienza dei migranti, l’altra il superamento dell’austerità. Entrambe, insieme, avrebbero definito l’identità e l’anima dell’Unione europea. Ma tutte e due sono di fatto fallite, seppellite da governi e gruppi politici sempre più orientati a destra, e da una Commissione europea sempre più supina a essi.
Il momentum c’è stato – sui migranti, l’accoglienza degli ucraini, e sul debito, il fondo comune per la ripresa – eppure è stato dilapidato. La ragione? Come per tutto, è una questione di volontà politica.
Nel caso della riforma di Dublino, ci sono precise responsabilità: le destre che confluiscono nel governo Meloni sono tra i responsabili dell’affossamento della riforma, e lo è pure Ursula von der Leyen, al di là dell’empatia esibita durante il viaggio a Lampedusa. Elly Schlein e il Partito democratico continuano a invocare la riforma. Ma le loro richieste suonano come urla nel deserto.
La svolta affossata
In questo momento il piano europeo su migrazione e asilo è al suo passaggio finale.
Lo aveva proposto Ursula von der Leyen tre anni fa. Era settembre 2020, ed erano i giorni della catastrofe di Lesbo, dell’incendio del campo di Moria, dei migranti sfollati sui cigli delle strade greche. Quell’autunno, la presidente della Commissione europea si era presentata allo State of the Union – il discorso programmatico annuale – annunciando che bisognava «azzerare Dublino», e cioè il principio di primo approdo che penalizza paesi come l’Italia.
Il 23 settembre 2020 von der Leyen aveva poi sfoderato la sua proposta di un nuovo patto sulle migrazioni descrivendola come «un nuovo inizio». Anche tra i media, in tanti avevano abboccato, e parlavano di un piano che cancellava Dublino. Ma von der Leyen non stava affatto azzerando Dublino: nella sua proposta la solidarietà restava solo un’opzione. Fino a quel momento, si sapeva già che i ricollocamenti non avevano funzionato. Con la sua proposta, la Commissione avrebbe chiesto agli stati di condividere la gestione dei flussi.
Ma prevedeva un sistema «flessibile»: in alternativa all’accoglienza, erano contemplati i «rimpatri sponsorizzati». E mentre rinforzava le frontiere esterne, la Commissione non diceva parole chiare sul superamento del primo approdo e sui ricollocamenti.
Sliding doors
«È vero che tuttora è la destra che blocca tutto. Ma è vero anche che già allora la Commissione europea aveva fatto una proposta estremamente al ribasso», ricorda Pierfrancesco Majorino, che all’epoca seguiva il dossier da eurodeputato e oggi lo fa da responsabile Immigrazione della segreteria del Pd a guida Schlein. «Su altri temi, come l’ambiente o il Recovery, la Commissione è stata innovativa; ma sull’immigrazione non si può dire altrettanto».
Tre anni dopo, con un’alleanza tattica in corso tra popolari e meloniani, e tra von der Leyen e Meloni, l’indirizzo politico orientato a destra appare sempre più nitido.
Eclatante è stato anche il tentativo della Commissione europea di assecondare le scelte degli ultraconservatori al governo in Polonia: a ottobre 2021 il Pis, alleato di Meloni, ha reso legge i respingimenti illegali che stava praticando alla frontiera con la Bielorussia. A dicembre dello stesso anno, la Commissione europea, invece di stigmatizzare quanto fatto da Varsavia, si è attivata per dargli un quadro di legalità.
Vista così, l’Europa sembra declinare verso un irresistibile destino da «fortezza». Eppure, l’occasione per un cambiamento c’è stata. Dopo che la Russia ha aggredito l’Ucraina, i governi e Bruxelles hanno finalmente acconsentito ad attivare una direttiva del 2001 che era rimasta inapplicata per oltre vent’anni (pure quando erano stati i governi italiani, ovvero il ministro dell’Interno Roberto Maroni, a chiedere di attivarla): la direttiva per la protezione temporanea, che ha garantito solidarietà totale di tutti i paesi europei verso milioni di rifugiati ucraini che hanno varcato la frontiera Ue.
Così come la pandemia aveva innescato l’indebitamento comune, impraticabile politicamente fino a quel momento, così la guerra ha aperto la strada all’accoglienza.
Un finale inglorioso
Ma il varco è stato chiuso dalla stessa destra italiana, oltre che dai suoi alleati in Europa.
Mentre usufruivano della solidarietà degli altri paesi per l’accoglienza degli ucraini, le destre polacca e ungherese (Morawiecki, alleato di Meloni, e Orbán, amico pure di Salvini) erano poi le prime a boicottare l’accoglienza di altri migranti. Perché – per dirla con il leader leghista – «gli ucraini sono rifugiati veri». Per il resto si è tornati al punto di partenza.
Il patto per le migrazioni proposto da von der Leyen nel 2020, dopo esser stato congelato a lungo per esigenze elettorali (tra elezioni francesi e ungheresi), ha ottenuto un accordo dei governi lo scorso giugno in Consiglio Ue. I governi polacco e ungherese hanno continuato a osteggiarlo, mentre Meloni lo sbandierava come un successo.
L’accordo trovato in Consiglio prevede una quota esigua di ricollocamenti obbligatori – per tutta l’Ue solo 30mila persone all’anno – e taglie da 20mila euro a migrante per chi rifiuta di ricollocare. La volontà di riformare Dublino non va cercata nel consesso dei governi. Persino quello italiano, che più avrebbe da guadagnare dallo smantellamento del principio di primo approdo, ammette per voce di Meloni di non voler neppure tentare questa strada: niente dibattito sui movimenti secondari, solo frontiere dure.
Resta l’opposizione del Pd di Schlein, a presentare tra le sue proposte sull’immigrazione «una riforma ambiziosa di Dublino». Ma per dare respiro a quest’ipotesi anche in Ue, dove si decide, l’ultima speranza sono gli eurodeputati, coi quali il Consiglio (i governi) sta negoziando l’accordo finale. «Prima in commissione Libertà civili, e quindi come Europarlamento, abbiamo chiesto di rimpiazzare la quota di 30mila persone con un meccanismo di solidarietà più ampio», spiega l’eurodeputato dem Pietro Bartolo.
«Quando un paese è sotto pressione migratoria, la redistribuzione obbligatoria dev’essere dell’80 per cento, e il 20 per cento in aiuti finanziari». Socialisti, verdi, sinistra, ci stanno, e in Europarlamento c’è convergenza pure coi popolari. Chi si è opposto, invece? Sovranisti (Lega) e conservatori (Meloni).
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