Il filosofo Manuel Cruz: «I progressisti sono molto delusi dalla deriva di quelli che consideravano i loro partiti». All’Europa odierna manca un elemento fondamentale per essere parte della storia: il soggetto europeo
Sebbene quasi tutti gli italiani si considerino grandi amici della Spagna, di quel paese sappiamo poco, così come delle forze politiche attualmente in gioco, dei problemi che ha e degli orizzonti a cui guarda per il futuro. Ho raccolto le considerazioni che seguono ragionando con Manuel Cruz, filosofo dell’Università di Barcellona, autore di molti studi sulla democrazia, la memoria e “l’uso della storia” (in italiano I brutti scherzi del passato, Bollati Boringhieri, 2010, L’Amore filosofo, Einaudi, 2012), senatore del Psoe e nel 2019 per un semestre presidente del Senato.
La Spagna è in pratica il solo paese dell’Ue che abbia un governo socialista, sia pur basato su un patto politico fragile. L’intera Unione europea sta virando a destra. Quali sono i fattori che la spingono in questa direzione?
Indubbiamente, in questa svolta intervengono fatti specifici, come l’immigrazione clandestina, con la quale si spiegano quasi per intero le disfunzioni sociali in corso (dalla precarietà del lavoro all’insicurezza dei cittadini, passando per il degrado dei servizi pubblici). Sulla svolta influisce anche la cocente delusione verso le formazioni di sinistra, che sembrano vedere molto meno chiaramente della destra i cambiamenti della società, chiudendosi sempre più in una bolla di battaglie culturali che provocano la presa di distanza, se non il fastidio, di ampi settori della cittadinanza che non si sentono affatto coinvolti.
Lei è un filosofo di fama che fa attività politica in senso proprio: più volte senatore, e anche presidente del Senato nella legislatura prima della attuale. In Italia, in Francia, in Germania e altrove l’intellettuale in politica attiva non esiste più. Come spiega questa differenza?
Il mio caso in realtà non può essere considerato rappresentativo. È un caso anomalo, in quanto si è trattato di un’iniziativa personale di Meritxell Batet che nel 2016, da presidente del Congresso dei deputati, mi invitò a entrare come suo numero due nelle liste socialiste alle elezioni generali in Catalogna. Neanche in Spagna, infatti, gli intellettuali hanno una presenza politica. L’hanno avuta nelle prime fasi della Transizione, soprattutto in formazioni di sinistra, ma col tempo si è venuto accentuando quel che potremmo chiamare un “corporativismo di partito”, che tende a vedere l’intellettuale indipendente come un corpo estraneo, restio alla disciplina e alle consegne, le cui critiche possono perfino offrire munizioni argomentative agli avversari.
Uno degli argomenti che più ha studiato come filosofo è “l’uso della storia e della memoria”. Quali saranno le grandi linee della storia dell’Europa moderna tra cinque o dieci anni?
L’Europa di cui parliamo oggi è diversa da quella di cui parlavamo in passato. Quella di oggi pretende di essere autocosciente, protagonista di un progetto politico che in passato solo pochi illuminati avevano. Oggi si tenta di avanzare in questa direzione, fornendo gli elementi indispensabili (soprattutto culturali e politici) per la costituzione di un’identità europea. Però manca un elemento fondamentale, ineludibile, perché si possa parlare di storia con un minimo di correttezza: manca il soggetto della storia. Manca il soggetto europeo.
Quali sono in questo momento i fronti caldi in Spagna? Le enclave di Ceuta e Melilla, che vogliono tornare al Marocco? L’immigrazione clandestina? Le rivendicazioni autonomistiche di regioni come la Catalogna o i Paesi Baschi?
Se dovessi rispondere in base al clamore mediatico generato da ciascuno di questi fronti, metterei certamente al primo posto le rivendicazioni secessioniste sollevate in Catalogna e nei Paesi Baschi, che hanno un notevole potenziale di destabilizzazione. Ma questo non deve farci sottovalutare gli altri due fronti. Infatti, la reazione dell’estrema destra di Vox all’immigrazione clandestina, che gli ha procurato tanti successi elettorali, è in gran parte la risposta al modo in cui gli altri partiti, soprattutto di sinistra, vedono quel tema. A causa della loro scarsa attenzione verso l’allarme che l’immigrazione suscitava nei settori popolari, le forze di sinistra hanno perso consensi in quegli stessi settori, il che le sta lentamente inducendo a cambiare proposte. Come, tra l’altro, accade in Germania e in alcuni paesi nordici con governi socialdemocratici.
Il paradigma democratico, al quale ha dedicato molti lavori, è visibilmente in affanno. In che condizioni è oggi la democrazia in Spagna?
Il paesaggio politico spagnolo è profondamente polarizzato. Quel che è grave è che non si tratta della fisiologica, persino auspicabile, polarizzazione tra opzioni contrapposte (rappresentate principalmente dal Psoe, col prezioso sostegno degli eredi di Podemos e di Pablo Iglesias, e, all’altro estremo, dal Pp col sostegno di Vox), ma di una polarizzazione così tesa e nervosa da bloccare ogni possibilità di negoziato su questioni che riguardano tutti. Questa situazione sottopone la nostra democrazia a uno stress pesante. Tuttavia, è quanto mai arduo misurare con precisione il danno che può derivare da atteggiamenti come lo stallo istituzionale (promosso dalla destra) o una certa politica di nomine a posizioni apicali non sempre dovute a criteri meritocratici (da parte della sinistra). Se dovessi scommettere, però, nonostante tutto direi che il sistema è solido.
Come si presenta oggi il problema delle ex colonie spagnole?
Le relazioni della Spagna con l’America Latina sono cambiate in modo significativo negli ultimi decenni, in entrambe le direzioni. Durante il regime franchista, i governi vollero mantenere il legame privilegiato costituito dall’avere la stessa lingua (tra l’altro per compensare il relativo isolamento diplomatico della Spagna rispetto ai paesi democratici che la circondavano) ricorrendo a una vecchia retorica dalle risonanze cripto-imperiali, come quella della “madrepatria”, che dall’altra parte dell’oceano provocava più disaffezione che altro. Con l’avvento della democrazia e l’ingresso della Spagna in Europa a tutti gli effetti, la situazione è cambiata sostanzialmente. Per i paesi dell’America Latina, la Spagna è diventata l’Europa che hanno più a portata di mano, mentre in molti settori spagnoli (non solo economici, ma anche culturali) si riscopre l’enorme importanza e il potere di avere una lingua e una cultura condivise, senza più bisogno di alcuna retorica.
Il governo italiano sta cercando di imporre una cultura di destra, con molte aperture al passato fascista. Ma è un’impresa difficile, perché da noi gli intellettuali e artisti di destra sono poca cosa. Come vanno le cose in Spagna da questo punto di vista?
Anche se suona un po’ forte, si può dire che, da quando abbiamo la democrazia, la cultura in Spagna è essenzialmente di sinistra. Negli ultimi anni, però, le cose hanno cominciato a cambiare, in sintonia con quel che accade in molti paesi occidentali, dove la sinistra sembra giacere in un profondo torpore. Non che le nuove generazioni di intellettuali si allineino espressamente alle posizioni della destra, ma buona parte degli intellettuali progressisti di un tempo sono gravemente delusi dalla deriva ideologica e politica di quelli che consideravano i loro partiti, e non cessano di manifestarlo pubblicamente. Forse il caso più significativo in questo senso è quello di Fernando Savater, il quale, se già da tempo era estremamente critico circa la posizione del Partito socialista sul nazionalismo basco e catalano, ha ulteriormente inasprito le sue critiche a Pedro Sánchez, che ha procurato un’amnistia per Carles Puigdemont, il separatista catalano condannato e contumace, in cambio del sostegno del suo partito per l’investitura a capo del governo.
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