A Berlino, i ménage à trois non piacciono. Per lo meno, non quelli politici che propone Michel Barnier. Il premier francese, in grande difficoltà in patria, dove veleggia verso un voto praticamente già perso sulla mozione di sfiducia sostenuta da estrema destra e sinistra, sul piano internazionale ha inaugurato il suo mandato con una mossa inaspettata.

Ha deciso infatti di fare il suo primo viaggio a Roma nella giornata di domani, invece che in Germania, come accade tradizionalmente. Un appuntamento confermato, per il momento, secondo fonti di palazzo Chigi.

Diversamente da quanto succede in genere, in effetti, il premier ha un profilo internazionale ben definito anche grazie ai suoi incarichi precedenti in ambito europeo, motivo per cui la destinazione che ha scelto ha colpito gli osservatori, soprattutto dalle parti della cancelleria tedesca: il fatto di poter dire la sua nel contesto della politica continentale lo rende un outlier rispetto alla tradizione dei premier francesi, ma la scelta di Roma è stata motivata in una maniera che a Berlino non è passata inosservata.

Barnier ha spiegato infatti che vorrebbe aprire il tandem francotedesco a un’amicizia a tre che includa anche Roma e chissà, forse perfino Madrid. La partnership che da decenni determina la direzione dell’Europa, secondo lui, è originata «da una costrizione, non da un sentimento d’amore».

Rapporto in crisi

È qualche anno che il rapporto si è compromesso e alla crisi sulle questioni di merito si aggiunge il fatto che tra Emmanuel Macron e Olaf Scholz non sia mai scoccata la scintilla, nonostante i tentativi di rafforzare il rapporto personale non siano mancati, come la recente occasione in cui i due capi di governo hanno consumato assieme alle loro consorti un panino all’aringa tipico del nord della Germania – da cui proviene Scholz – a favore di fotocamera. L’espressione del presidente francese è stata così memorabile che è stata prontamente trasformata in un meme. Ciononostante, il flebile rapporto tra Parigi e Berlino è l’ultima freccia all’arco di un presidente francese in grave difficoltà sul piano interno. L’ultima prova è arrivata all’indomani dell’elezione di Donald Trump, quando Macron ancora twittava di essersi consultato con il suo omologo tedesco per valutare insieme che rapporto instaurare con la prossima presidenza americana. «Mi sono appena confrontato con il cancelliere Scholz. Lavoreremo per un’Europa più unita, più forte e più sovrana in questo nuovo contesto. Collaborando con gli Stati Uniti d’America e difendendo i nostri interessi e i nostri valori».

Appena qualche ora dopo, però, il cancelliere ha annunciato il licenziamento del ministro delle Finanze Christian Lindner e le elezioni anticipate. Da allora, sulla linea Berlino-Parigi c’è silenzio, in attesa che la repubblica federale vada al voto a fine febbraio. Nel frattempo, evidentemente, meglio rivolgersi all’Italia, un paese «straordinario» che è stato spesso «trascurato» dalla Francia, secondo Barnier. In effetti, i rapporti erano un po’ logorati: la ragione va cercata in anni di simpatie eccessive per i gilet gialli da parte dei Cinque stelle, nei risentimenti italiani per i movimenti francesi in Sahel che avrebbero contribuito ad alimentare i flussi migratori sul Mediterraneo, nelle polemiche sul matrimonio fallito STX-Fincantieri, ma anche nelle critiche dell’ex ministro dell’Interno Gérald Darmanin alla gestione Meloni dell’immigrazione. Ora, però, prevalgono gli argomenti su cui le opinioni convergono.

Primo fra tutti il Mercosur, su cui agli occhi di Macron Meloni ha fatto «una bella mossa»: anche il presidente francese guarda al mercato sudamericano con un certo sospetto perché vede gli stessi rischi di una concorrenza insostenibile per l’agricoltura in patria che agitano i sonni del ministro per l’Agricoltura Francesco Lollobrigida. «È una battaglia comune», ha sentenziato l’inquilino dell’Eliseo.

E poi, la lotta all’immigrazione, oltre all’interesse comune a evitare una guerra commerciale con gli Stati Uniti per due grandi paesi esportatori. Un aspetto che interessa anche Berlino, così come il sostegno a Kiev, al cui fianco si è ormai consolidata l’alleanza E5, formata anche da Polonia e Regno Unito. Dalla Germania, però, Parigi è da tempo lontana su temi di primaria importanza, come la transizione energetica – la Francia privilegia la via del nucleare, che i tedeschi hanno abbandonato da diversi anni ormai – e lo sviluppo di progetti di Difesa comune. E così, sempre nelle parole di Barnier, la cooperazione con la Germania è diventata «necessaria ma insufficiente».

Le strade alternative sembrano convergere su Roma, sia per quanto riguarda la Francia che la Germania. Tanto che la visita di Barnier è in programma nel giorno dell’anniversario dalla firma del Trattato del Quirinale nel 2021. Poco più di due anni dopo era seguito a stretto giro il Piano d’azione tra Roma e Berlino. L’ultima prova del fatto che Meloni sia ormai un player centrale in Europa è arrivato con il voto sulla Commissione von der Leyen II, il resto lo fa la fragilità della politica interna tedesca e francese: Berlino agisce in maniera più sotterranea, la Francia non si nasconde. L’asse francotedesco è tramontato, almeno per il momento.

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