«L’Ue non può permettersi la paralisi decisionale», dice Bas Eickhout. Guida il gruppo dei Verdi all’Europarlamento e sa che non basta che i leader escano dal Consiglio europeo di venerdì con un pacchetto di nomine. Serve poi «una maggioranza affidabile all’Europarlamento. Von der Leyen deve scegliere: preferisce l’estrema destra di Meloni ai Verdi europei?».

Lei è appena stato eletto capogruppo dei Verdi assieme a Terry Reintke. In nome di quali priorità?

Questa legislatura sarà cruciale per l’Europa, vista la situazione di vulnerabilità in cui si trova: ha la Russia contro di lei a Est, e in più a Ovest gli Usa in fase di incertezza. L’Ue e l’Europarlamento dovranno affrontare due temi chiave: il primo è la transizione verde, non solo per le preoccupazioni sul clima ma pure perché è l’unica opportunità per una Europa competitiva e sicura; essere dipendenti da altri paesi ci espone. L’altro punto cruciale è la democrazia europea: ci sono sempre più forze che la minano da dentro. Lo si è visto con l’Ungheria, ma siamo molto preoccupati anche per quel che succede in Italia, con attacchi alla libertà di stampa e ai diritti delle minoranze. Von der Leyen ha una scelta da fare: lavora con l’estrema destra come quella di Meloni, oppure opta per i Verdi?

Ursula von der Leyen sarà di nuovo presidente?

Per noi il Consiglio dovrebbe indicare lei: i Verdi rispettano il principio dello spitzenkandidat. Penso che andrà così.

Se il Consiglio europeo venerdì dovesse confermare la sua nomina, von der Leyen otterrà poi abbastanza voti nell’Europarlamento? Quanto è alto il rischio di franchi tiratori nel Ppe?

Non penso che von der Leyen possa contare su un sostegno pieno: tra i Popolari stessi, alcune delegazioni si sono dette indisponibili a votarla. Proprio perché non c’è compattezza, una pura maggioranza a tre – popolari, socialisti e liberali – non basta. Bisogna allargarla. Ecco perché dico che von der Leyen ha davanti a sé due opzioni alternative: o si mette a fare shopping di voti nell’estrema destra, o punta su di noi, i Verdi, il gruppo più coerente nell’Europarlamento, ciò che serve per una maggioranza stabile.

Il leader del Ppe Manfred Weber preferisce Meloni a voi. Dice che la premier – a differenza dei Verdi «opposizione di sinistra» – ha sostenuto il patto sull’immigrazione e altri dossier per lui prioritari.

È folle sostenere che l’estrema destra sia preferibile ai Verdi. Voglio sperare che si tratti di residui di campagna elettorale, e che una volta calmate le acque Weber ci ragioni su. A proposito di dossier prioritari, vale la pena ricordare che la Commissione von der Leyen è partita con tre assi programmatici: l’agenda verde, digitale e geopolitica. Su tutto ciò i Verdi sono stati ben più di supporto e coerenti. Prendiamo anche i criteri di compatibilità enunciati da von der Leyen, e cioè essere pro Ucraina, pro europeismo e pro stato di diritto: non c’è dubbio che noi aderiamo a tutti e tre, mentre riguardo a Ecr mi pare si possa dubitare su tutti e tre.

La cooperazione tra Ppe e Meloni era visibile da anni. Perché non è stata fronteggiata in tempo?

Per una sottovalutazione, anche nello stesso Ppe. I Popolari hanno per lungo tempo mantenuto Orbán nel loro gruppo. Mi auguro che non facciano un errore analogo su Fratelli d’Italia. La gravità della sfida è stata ed è tuttora sottostimata: circola una narrazione per cui il governo Meloni non sarebbe poi così male. Ma se si guarda ai piani di riforma costituzionale, agli attacchi alla libertà dei media e ai diritti delle famiglie arcobaleno, apparirà chiaro che sono primi passi verso uno sgretolamento dei valori europei. Serve una Commissione incisiva sul rispetto di questi valori, così come è necessaria un’unione delle forze democratiche. I tempi sono decisivi.

In sintesi: per stabilizzare la maggioranza è utile allargarla, il Ppe guarda con interesse a Meloni ma ci sono i Verdi che si sono offerti da sùbito come opzione. Il Ppe ha dato segni di considerarla?

Dal Ppe non ci sono mosse chiare al momento, immagino che anche al suo interno ci siano diverse opinioni a riguardo, e mi aspetto che coloro che sono favorevoli smuovano le cose; intanto, certo, passa tempo.

Dopo il voto Weber la ha mai contattata?

Quando sono stato eletto presidente del gruppo.

Per congratularsi, non per aprire un dialogo.

Ci siamo congratulati l’uno con l’altro, lui pure è stato rieletto. È un inizio, serve tempo: i gruppi stanno rinnovando i loro vertici, poi ci sarà il pacchetto di nomine, e mi auguro che a quel punto si discuterà di come avere una maggioranza stabile. Non sono stati aperti negoziati formali, se è questo che vuol sapere. Noi siamo pronti da tempo, ma il tango si balla in due, e in questo caso bisogna anzi ballarlo in quattro gruppi. Dopo il Consiglio di venerdì dobbiamo sederci a discutere.

Come mai la scorsa settimana non si è arrivati a un accordo sulle nomine? Sembrava ci fosse fretta, anche dalle dichiarazioni del cancelliere tedesco. Cosa ha fatto saltare la stretta di mano? Il Ppe ha tirato troppo la corda?

Il Ppe dice: abbiamo vinto e quindi dobbiamo essere ricompensati. Ma mi pare già una ricompensa che la più importante posizione – cioè la presidenza della Commissione – venga riconosciuta al Ppe. Vincere non implica pretendere che tutti gli altri, a cominciare dai socialisti, se ne stiano zitti. Ognuno porta le sue istanze. I Popolari hanno provato a strafare; è come se non fossero ancora usciti dal clima da campagna elettorale. Invece bisogna con calma sedersi a un tavolo e discutere non solo del nome ma anche del programma della prossima Commissione.

Lei è sicuro che ci sarà un programma quinquennale? Il Ppe pare intenzionato a incassare i voti per la presidenza di Commissione per poi giocare di sponda con l’estrema destra sui vari dossier.

Spero che ci sia un’agenda a lungo termine, ma la mia non è solo una speranza. Si tratta anche di una considerazione oggettiva: al di là delle loro dichiarazioni, il Ppe e Meloni non raggiungono una maggioranza. Se pensano di poter costruire una maggioranza orientata a destra sui provvedimenti, va detto chiaramente che si prendono in giro da soli.

Nella scorsa legislatura Weber ha già testato un coordinamento con l’estrema destra per bloccare i provvedimenti green. Se non ci è riuscito è anche perché il Ppe stesso era spaccato su questo. Ma dopo il voto del 9 giugno i numeri cambiano.

Anche adesso il Ppe si spaccherebbe. L’esperienza della scorsa legislatura ci mostra che i Popolari possono trovare una maggioranza con le destre estreme quando si tratta di emendare o bloccare i provvedimenti, ma non per proporre costruttivamente una visione comune. Se il Ppe vuole anche essere efficace nel portare avanti le leggi, non può fare a meno della componente progressista. Soltanto le quattro formazioni europeiste insieme – popolari, socialisti, liberali e verdi – possono ottemperare all’incarico per il quale sono state elette.

E se il Ppe facesse il doppio gioco per spostare l’agenda più a destra? «Serve un’Europa di centrodestra», dice Weber.

Su questo i socialisti e i verdi devono tracciare una linea rossa. Siamo consapevoli che senza di noi non va da nessuna parte, in termini di capacità costruttiva: per adottare le leggi serve una maggioranza. Bisogna far valere tutto questo. Il Ppe deve capire che non può fare il doppio gioco.

Su temi come il clima, oltre al Ppe, pure i liberali si sono spaccati nello scorso mandato. Ciò rende più difficile ancorare una maggioranza non destrorsa?

I liberali hanno due facce e saranno sempre divisi. A questo punto abbiamo due possibilità: o progressisti e popolari si danno costantemente battaglia paralizzando l’Ue – e non possiamo permettercelo – oppure trovano un terreno comune. Dobbiamo riuscirci: nessuno ha una maggioranza alternativa.

Riesce a immaginare che Weber – dopo aver unito le destre nell’attacco al Green Deal – possa fare retromarcia e costruire un’agenda coi Greens? Ha appena accolto nel gruppo il BBB olandese che fa le crociate anti transizione…

Il Green Deal è stato lanciato quando noi non eravamo neppure in maggioranza, e tra i Popolari non tutti lo bistrattano: c’è ancora chi lo rivendica come una propria creatura politica. Non c’è una posizione netta a riguardo. Ad ogni modo penso che una convergenza possa essere trovata coniugando l’urgenza della transizione ecologica con quella di tratteggiare anche una politica industriale.

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