Joe Biden ha lasciato Berlino con tre attestazioni: il presidente americano uscente sa come e quando Netanyahu colpirà in Iran; sa che tuttora non c’è consenso perché Zelensky possa usare missili a lungo raggio; sa che un cessate il fuoco a Gaza è molto difficile; i tentativi slittano in direzione del Libano. O almeno, questo è ciò che il presidente Usa ha comunicato.

Conventio senza Meloni

Giorgia Meloni sarà anche riuscita a dirottare il Consiglio europeo sul versante propagandistico anti migranti, ma quando si tratta di decidere le sorti del proprio paese – come è successo con le scelte europee sugli aiuti di stato, con la riforma del patto di stabilità e con altri dossier chiave per l’Ue – la premier resta fuori dalle foto di gruppo, al centro delle quali c’è tuttora il duo francotedesco, seppur infragilito.

E neppure la Casa Bianca, che in nome del posizionamento geopolitico è parsa chiudere più di un occhio sulle derive illiberali di Meloni, ha ritenuto di allargare alla presidenza del G7 l’incontro che si è svolto questo venerdì a Berlino; prima tra il presidente americano e il cancelliere tedesco, poi a quattro con il presidente francese e il premier britannico.

Passaggio decisivo

Eppure le ventiquattro ore berlinesi non hanno una valenza da poco, per Joe Biden: gli sono servite a provare a mettere in sicurezza quel che può della propria traballante eredità geopolitica.

Si tratta infatti dell’ultima visita ufficiale in Germania – paese che ricambia conferendogli i massimi onori, come non faceva da ormai trent’anni con un presidente Usa – e si è svolta in un frangente molto particolare. Non c’è solo la sorte dell’Ucraina da blindare, tenendo d’occhio il calendario di novembre e una possibile vittoria di Donald Trump alle urne.

C’è pure la consapevolezza che Netanyahu stia per colpire l’Iran. Biden da Berlino ha detto di sapere esattamente quando e come Israele risponderà, anche se non è sceso nei dettagli. Sarà prima delle elezioni, hanno detto fonti Usa mercoledì alla Cnn.

L’escalation di Netanyahu

Si sarebbe potuto pensare che l’uccisione del capo di Hamas, Yahya Sinwar, carnefice del 7 ottobre, avviasse verso la «prospettiva concreta di un cessate il fuoco a Gaza»; o almeno, così aveva pensato e detto lo stesso Olaf Scholz ieri a inizio giornata, ribadendo al contempo che il governo tedesco è «al fianco di Israele».

Ma Joe Biden ha usato parole leggermente diverse, e qui le sfumature fanno la differenza tra la vita e la morte: il presidente Usa ha detto che la morte del carnefice del 7 ottobre apre la strada a «un cammino verso la pace» in Medio Oriente e a un «futuro migliore a Gaza: senza Hamas». Ma ha anche fatto cadere ogni illusione su un cessate il fuoco per la striscia: è possibile lavorarci per il Libano, ha detto; ma quanto a Gaza, sarà molto difficile. L’appello del premier laburista britannico perché Netanyahu faccia almeno arrivare gli aiuti umanitari è segno di aspettative ridotte al minimo.

Biden scarica Kiev sull’Ue

Quanto ad aspettative, da mesi ormai a Bruxelles – tra ostruzionismi repubblicani e il fantasma di Trump – ci si è rassegnati al fatto che sarà l’Ue a caricarsi sulle spalle le sorti ucraine.

La visita di Biden serviva anche a mettere in sicurezza questa presa in carico europea: il presidente ha invitato la Germania in particolare, e l’Europa in generale, a mantenere robusto il proprio supporto verso Kiev. Certo, Zelensky ad oggi non ha ottenuto l’uso di missili a lungo raggio; ma si ragiona sulla lunga durata.

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