- Boris Johnson vuole Brexit ma senza i danni di Brexit. Nel 2019 ha vinto le elezioni mostrandosi a bordo di una salviniana ruspa ed esclamando: «Get Brexit done!».
- Ora però, che mancano un paio di settimane alla fine del “periodo di grazia” e all’entrata in vigore di ulteriori vincoli legati all’uscita, il premier incrina i patti con l’Ue per il protocollo sul Nord Irlanda.
- «La mediazione di Joe Biden al G7 è fallita», dice Mujtaba Rahman di Eurasia Group. «Johnson non voleva che il Regno Unito rimanesse in un’unione doganale con l’Ue, ha voluto lui un confine; ora lo ripudia».
Il premier britannico Boris Johnson vuole Brexit ma senza i danni di Brexit. Nel 2019 ha vinto le elezioni mostrandosi a bordo di una salviniana ruspa ed esclamando: «Get Brexit done!», che è come dire: «Sbrighiamoci a mettere a segno la Brexit». Ora però, che mancano un paio di settimane alla fine del “periodo di grazia” e all’entrata in vigore di ulteriori vincoli legati all’uscita, il leader conservatore incrina i patti con l’Ue per quel che riguarda il protocollo sul Nord Irlanda; al G7, che si è appena tenuto in Cornovaglia, anche il presidente degli Stati Uniti ha provato a metterlo in riga.
Il confine instabile
«La mediazione di Joe Biden al G7 è fallita purtroppo, ora ne abbiamo la certezza», dice Mujtaba Rahman di Eurasia Group. «Il presidente Usa in privato è stato molto duro con Johnson, ma ciò non ha impedito al premier britannico di continuare l’escalation retorica contro Bruxelles». Torniamo indietro di qualche settimana. All’aeroporto di Shannon un ministro irlandese e un consigliere per la sicurezza statunitense confabulano. Simon Coveney, ministro degli Esteri di Dublino, sta chiedendo a Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale americano, l’intervento del presidente Usa in tema Brexit. Per Londra, le relazioni atlantiche sono cruciali, e il nuovo inquilino della Casa Bianca è di origine irlandese: ha a cuore la pace tra le due Irlande. Proprio per evitare di ripristinare un confine fisico nell’isola, e per preservare l’accordo di pace del 1998, Bruxelles e Londra si erano accordate per spostare i controlli doganali più a nord, nei porti del mar d’Irlanda. Qui le merci passano al vaglio: devono rispettare le regole europee per poter arrivare dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord, e da qui muoversi senza restrizioni verso Dublino, che è ancora nell’Ue.
Incartamenti e ispezioni servono per esempio a verificare che uova, pesce, carne congelata siano conformi, e l’Ue da febbraio denuncia che Londra non ha reso del tutto operativi i controlli. Ma c’è di più: il 30 giugno finisce il cosiddetto “periodo di grazia” per Brexit, non ci sono più giustificazioni per saltare le procedure. In teoria – perché in pratica, Downing Street ha deciso unilateralmente di allungarsi la grazia. Con l’argomento pop delle “salsicce” che per le regole Ue altrimenti non riescono a raggiungere Belfast, Londra auto-proroga la flessibilità sulle regole; mira a un rinvio di un paio di anni. «Get Brexit done!», ma non ora.
Quale exit
Bruxelles ha già intrapreso le vie legali, ma il tradimento del protocollo nordirlandese richiede anche vie politiche. Dublino teme che le forzature britanniche possano portare al ripristino della frontiera nell’isola. Ecco perché sperava nell’intercessione di Biden, il presidente cattolico di origini irlandesi. Gli unionisti nordirlandesi invece boicottano il “protocollo sul Nord Irlanda” e preferirebbero un confine con Dublino ai controlli via mare; dopo la guerriglia di aprile a Belfast e le dimissioni di Arlene Foster, il nuovo leader del partito unionista (Dup) Edwin Poots è ancor più deciso a sabotare gli accordi con l’Ue. Downing Street «non ha intenzione di avviare una de-escalation», dice Rahman. Non è detto che un prossimo incontro tra Londra e la Commissione sarà risolutivo. Eppure il 1° luglio è imminente. «Johnson non voleva che il Regno Unito rimanesse in un’unione doganale con l’Ue, ha voluto lui un confine; ora che ha l’accordo che chiedeva, lo ripudia».
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