Per l’alto rappresentante Ue bisogna togliere le restrizioni sull’uso delle armi, ma i ministri degli Esteri di paesi come Ungheria e Italia sono contro. «Non c’è unanimità» seppure sulle sanzioni ai ministri israeliani. Unico punto condiviso: il non riconoscimento di Maduro
I luoghi: Bruxelles e non Budapest. Le armi: lasciare che colpiscano in profondità la Russia. Le sanzioni: che colpiscano anche esponenti del governo Netanyahu. Per Josep Borrell, l’alto rappresentante dell’Unione europea, il socialista spagnolo che sta per passare il testimone al falco estone Kaja Kallas, l’incontro dei ministri degli Esteri svoltosi questo giovedì è stato una occasione per segnalare la propria eredità politica, su ognuno degli scacchieri: quello europeo (con l’autocrate Orbán da contenere), quello ucraino (con gli Stati Uniti davanti al bivio elettorale), quello in Medio Oriente (con un massacro in corso che Borrell è stato tra i primi nella Commissione europea a denunciare).
Da Orbán a Tajani
Ma tanto Borrell si è esposto – sui tre scacchieri e sui tre temi – quanto aggressive sono state le reazioni dei contrari. Il più filorusso dei filorussi ministri orbaniani, cioè il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó, le ha sparate grosse. Reazioni veementi anche dal ministro degli Esteri del governo Netanyahu, Israel Katz, lo stesso che qualche mese fa si era presentato a Bruxelles coi progetti di isole artificiali davanti a Gaza indignando tutti. Quanto al nostro governo, sostenendo che le restrizioni per l’uso delle armi in Russia debbano restare, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha scatenato l’ira dei filoucraini d’opposizione. Per voce di Tajani, il governo Meloni ha bocciato pure l’ipotesi delle sanzioni per i ministri israeliani, liquidandola come «irrealistica». A fine giornata lo stesso Borrell ha dovuto prendere atto che «al momento il consenso di tutti non c’è». Ma non intende abbandonare la proposta.
Un Consiglio simbolico
Di carattere informale, il Consiglio Ue Affari esteri che si è svolto questo giovedì a Bruxelles si distingue dagli altri a cominciare dal suo retrogusto amaro per il despota ungherese.
Se è vero che i governi europei non hanno mai mostrato sufficiente volontà politica per posporre la presidenza ungherese o intraprendere iniziative sostanziali, va detto che il battesimo infuocato del semestre di Orbán – con tanto di viaggio al Cremlino, incontro con Xi Jinping e foto in Florida con Donald Trump – ha generato quantomeno una indignazione simbolica. E infatti non è a Budapest, come inizialmente previsto dall’agenda, bensì nella capitale belga, che questo giovedì i governi hanno ripreso in mano i più complessi dossier di politica estera dopo le vacanze estive. A rendere simbolico l’incontro anche la partecipazione del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, oltre che di quello turco Hakan Fidan, e della coordinatrice Onu per gli aiuti umanitari a Gaza, Sigrid Kaag.
L’Ucraina e le armi
Kuleba si è presentato ai suoi omologhi dell’Unione europea con una richiesta pressante e con un’ipotesi. La richiesta pressante è quella di «togliere la restrizione sull’uso di missili a lungo raggio in Russia». Il ministro sa, e dice, che «questa decisione è anzitutto nelle mani di Washington e Londra», ma è convinto che anche Parigi possa fare la differenza. Quanto all’ipotesi, punta su Varsavia: secondo Kiev la Polonia potrebbe contribuire attivamente a difendere lo spazio aereo ucraino, e i partner europei dovrebbero supportare l’implementazione di questo sistema difensivo aereo.
L’alto rappresentante Ue ha aperto l’incontro coi ministri degli Esteri europei assumendo l’iniziativa: «Le restrizioni sull’uso delle armi – Borrell si è assunto la responsabilità di proporlo – andrebbero completamente abolite per l’autodifesa dell’Ucraina». Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó – lo stesso che è stato premiato dal Cremlino con la medaglia dell’amicizia e che non ha mai interrotto le sue trasferte a Mosca – è andato a dire sui social che «per fortuna Borrell presto se ne andrà, dato che è una mina impazzita e fa proposte sempre più pericolose». Reazione che non stupisce se si pensa che il governo ungherese continua a comprare petrolio russo, a offrire visti ai russi, e così via.
Altri toni, ma stesso rifiuto della proposta, da parte del governo Meloni: «Ogni paese decide per sé, ma per quel che ci riguarda l’uso di armi italiane può avvenire solo all’interno dell’Ucraina», ha subito ribadito Tajani.
Le sanzioni «irrealistiche»
Da tempo Borrell ventila sanzioni per frenare le derive del governo israeliano, lo ha fatto qualche giorno fa sui coloni in Cisgiordania e lo ha fatto questo giovedì suggerendo di colpire con misure restrittive due ministri di estremissima destra. Il punto è raggiungere il consenso, e questa settimana – al consiglio non ufficiale dunque senza decisioni formali – lo stesso alto rappresentante ha dovuto concludere che «non c’era unanimità. Ma proporrò lo stesso al Consiglio queste sanzioni». Per Tajani, «irrealistiche». Tra tante divisioni, su un punto si è trovata la quadra: «L’Ue non riconosce Maduro presidente», parola dell’alto rappresentante.
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