- Parigi e Berlino hanno un piano, e i governi d’Europa, Italia compresa, vanno al traino. Il piano non è aprire le porte agli afghani che cercano riparo ma aprire il portafogli per Turchia, Pakistan e Iran, replicando il “modello Turchia”.
- Invece di spalancare le porte a chi fugge da un potere liberticida, si preferisce «dare aiuti» per sbrigare la faccenda ad altri governi tutt’altro che liberali, se non compiacenti coi talebani.
- Tra i paesi di transito da supportare c’è infatti il Pakistan, c’è l’Iran, e ancora la Turchia di Erdogan, che Draghi appellò come «dittatore». Ma Roma acconsente. Con la crisi afghana l’Ue si conferma un continente-fortezza.
Parigi e Berlino hanno un piano, e i governi d’Europa vanno al traino. Il piano non è di accogliere tutti gli afghani che cercano riparo dai Talebani, per obbligo morale. L’idea è di replicare il modello Turchia, e cioè «aiutare» i paesi dell’area per trattenere i flussi migratori. Con la crisi afghana l’Unione europea si conferma ciò che già era diventata: un continente-fortezza, i cui leader vedono l’accoglienza come un costo elettorale troppo alto da pagare. Il paradosso è che invece di spalancare le porte a chi fugge da un potere liberticida, si preferisce «dare aiuti» per sbrigare la faccenda ad altri governi tutt’altro che liberali, se non persino compiacenti coi talebani. Tra i paesi di transito da supportare c’è infatti il Pakistan, c’è l’Iran, e ancora la Turchia di Recep Tayyp Erdogan, colui che Mario Draghi appellò come «dittatore». Ma l’Italia acconsente. «Aumenterà la domanda di accoglienza di rifugiati e migranti dall’Afghanistan, perciò è necessario che l’Ue metta a punto una risposta comune, in stretto raccordo con i partner della regione, a cui va assicurato il necessario sostegno», ha dichiarato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio dopo l’incontro coi suoi omologhi europei.
Politica delle porte chiuse
«Non sogniamoci di avere milioni di afghani in fuga che entrano sul suolo dell’Ue, né che ci arrivino dalla Grecia!», ha detto oggi Notis Mitarakis, che nel governo greco ha la delega all’Immigrazione. La Grecia ha vissuto da vicino la crisi dei rifugiati del 2015 – l’Unhcr calcola che tra aprile e settembre di quell’anno arrivarono nel paese 263mila siriani – e ora Atene punta a schermare gli arrivi. Fa «lo scudo d’Europa», come l’ha battezzata Ursula von der Leyen a marzo 2020. Nella crisi di sei anni fa, nonostante le pressioni interne, ci fu Angela Merkel a dire «Wir schaffen das, possiamo farcela», e a difendere così una politica di accoglienza. Ma oggi anche Berlino viene meno: le elezioni sono alle porte, e ciò che si affanna a dire Armin Laschet, candidato a succedere a Merkel, è proprio che «gli errori del 2015 non vanno ripetuti». L’estrema destra di Afd, con Alice Weidel, ripete lo stesso concetto, mentre nella vicina Austria va in scena la stessa durezza. Il governo di Sebastian Kurz, che questa estate si è ostinato a voler rimpatriare gli afghani, ora invoca «centri di deportazione»: «La Commissione europea deve finanziare centri simili nei paesi vicini all’Afghanistan, lo proporremo domani al consiglio del ministri dell’Interno dell’Ue».
Le destre europee, che hanno capitalizzato politicamente le pulsioni anti-migranti, continuano con questo tipo di retorica; Viktor Orbán non ha neppure sottoscritto la dichiarazione di supporto del popolo afghano firmata da altri 25 stati membri Ue. «Non saranno gli ungheresi a pagare il costo delle scelte deboli americane», fa sapere per il governo Levente Magyar. La porta chiusa arriva anche da Emmanuel Macron. Sarà che pure in Francia le elezioni si avvicinano, ma per l’Eliseo «non può essere solo l’Europa a farsi carico delle conseguenze della situazione attuale».
Esternalizzare e sigillare
In questo contesto oggi, mentre centinaia di afghani si disponevano in fila davanti all’aeroporto internazionale di Kabul, i ventisette ministri degli Esteri europei si sono collegati dai rispettivi uffici per discutere in videoconferenza le loro sorti. Ma il Consiglio dell’Ue, e l’Europa come voce unica, arriva dopo che alcuni governi di peso si sono già espressi, e assume l’onda d’urto di quei proclami. Lunedì, dopo essersi consultati fra loro, la cancelliera Merkel e il presidente della Repubblica Macron hanno già avanzato le loro intenzioni. Germania e Francia affrontano la questione dei rifugiati afghani con uno schema in mente: esternalizzare la gestione dei rifugiati a paesi extraeuropei, perdipiù paesi con attitudini dubbie nei confronti dei diritti umani. Non solo la Turchia, che già intasca dall’Ue miliardi per trattenere rifugiati, ma in più ora anche Pakistan e Iran, citati dai due leader. Oggi i ministri in Consiglio, in primis il tedesco Heiko Maas, hanno parlato di «aiuti ai paesi confinanti». Parallelamente, Macron porta avanti il suo progetto politico. Le sue parole sono: «Serve un’iniziativa europea per anticipare e per proteggersi da robusti flussi migratori irregolari». Vanno intese come un ulteriore tentativo di spingere l’agenda macroniana, che con l’alibi della lotta al terrorismo mira a smantellare Schengen così come la conosciamo, ripristinando i controlli alla frontiera, e a rafforzare Frontex, la pachidermica agenzia europea accusata di malagestione e di praticare respingimenti illegali; si è pure dimostrata inefficace per stroncare l’immigrazione irregolare, a detta della Corte dei conti europea. Ma questo è un dettaglio, per i promotori dell’Europa-fortezza.
Il popolo afghano negli ultimi quaranta anni ha vissuto sofferenze inimmaginabili. Solo nel 2021 circa 550mila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case. Sono donne e bambini a pagare il prezzo più alto. Unhcr ed Emergency sono ancora in Afghanistan per aiutarli. Ognuno può dare il proprio contributo con una donazione, bastano pochi click.
Per donare a Unhcr: dona.unhcr.it/campagna/afghanistan
Per donare a Emergency: sostieni.emergency.it/dona-ora
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