Il presidente si vede già in coabitazione e resta ambiguo sul fronte repubblicano con la gauche. Invece la sinistra ritira in massa i candidati arrivati terzi pur di frenare il Rassemblement National
Le cronache parigine riferiscono di un Emmanuel Macron già pronto alla coabitazione, nella speranza tutta sua di poter così esibire il fallimento di un governo a guida Jordan Bardella. E questa convinzione spiegherebbe almeno come mai il presidente della Repubblica francese, che nel 2017 diceva di voler fermare il Rassemblement National, gli stia consegnando l’ennesimo favore: una grande confusione sul fronte repubblicano.
In questa fase di interregno tra il primo e il secondo turno delle legislative, la vera resistenza all’avanzata dell’estrema destra è la desistenza, e cioè la convergenza sui candidati che non siano del Rn. Ma l’unico blocco che immediatamente, già domenica all’ora di cena, si è detto pronto a farlo, e che lo ha già fatto massicciamente, è quello di sinistra.
I Repubblicani, così solerti a mostrarsi indignati quando Éric Ciotti ha optato per Marine Le Pen, adesso hanno dimenticato a loro volta ogni inibizione, preferendo l’Rn alla gauche. L’Eliseo gioca allo stesso gioco – la demonizzazione della sinistra, inaugurata da Macron stesso nel 2022 – ma in altra forma di spudoratezza: l’ambiguità, e il caos eletto a strategia.
Da tutto ciò trae giovamento non soltanto l’estrema destra francese, ma ogni sua sorella europea, Fratelli d’Italia compresa: «Ho sempre auspicato che venissero meno le vecchie barriere tra le forze alternative alla sinistra», ha esultato questo lunedì Giorgia Meloni, che cooperando coi Popolari europei ha fatto da apripista in fatto di caduta dei cordoni sanitari. «Mi pare che anche in Francia si vada in questa direzione, dato che i Républicains – che in Ue siedono nel Ppe, ndr – sono orientati a non partecipare al fronte repubblicano».
L’interregno tra i due turni
Dal primo turno di domenica scorsa si possono cogliere gli equilibri che però soltanto l’ulteriore voto del 7 luglio potrà definire.
Sappiamo per certo che il Rassemblement National, con Ciotti e Marion Maréchal appresso, ha superato il 33 per cento, e che c’è un altro polo in grado di competere in termini percentuali: il Front populaire si accomoda sul 28 per cento. Il campo macroniano supera di poco il 20, quindi rispetto agli altri due è un campetto, ma in confronto alle europee recupera sei punti.
Come tutto ciò si traduca in seggi dipende dalle sfide che si svolgono nelle 577 circoscrizioni domenica prossima, e ancor prima da chi desiste. Avremo la lista completa questo martedì alle 18, quando scade il termine per confermare o meno le candidature.
Potenzialmente, sulla base di chi ha preso abbastanza voti domenica, hanno preso così tanti voti da conquistare il seggio già al primo turno solo 76 candidati di area Rn, 39 del Front e 32 macroniani. Poi in 190 circoscrizioni ci sono duelli secchi – di cui ben 66 Front populaire contro Rn – e l’unico punto in questione è se l’elettorato moderato sosterrà la sinistra contro l’estrema destra.
Il tema della desistenza – che politicamente vale come resistenza, contro l’estrema destra – si pone per 401 potenziali seggi. In 306 circoscrizioni infatti sono passati tre candidati – dunque le sfide sarebbero i cosiddetti triangulaires – e in 5 ben quattro.
Fronti e sfrontati
Alle 19 di questo lunedì, già 175 candidati che si sono classificati terzi hanno deciso di non correre al secondo turno. Questa è la cosiddetta desistenza, e fa sì che si sostenga in blocco il nome alternativo a quello dell’Rn: sarebbe questo, storicamente, il cosiddetto «fronte repubblicano».
Ma Macron ha introdotto una ambiguità politica e semantica, sostenendo esplicitamente dopo le europee che per lui la France Insoumise (la formazione di sinistra fondata da Jean-Luc Mélenchon e parte del Front populaire) è antirepubblicana, equiparandola di fatto all’estrema destra.
Già dal 2022 il presidente ha demonizzato la sinistra, ma adesso la strategia è elevata a potenza, anche perché due anni fa Macron almeno a parole doveva attrarre su di sé l’elettorato della gauche.
L’ambiguità è deflagrata anche questo lunedì negli incontri del presidente coi suoi ministri e maggiorenti di partito, che già dopo la scelta di Macron di sciogliere l’aula faticano a restare placidamente uniti sotto il suo cappello. Il ministro delle Finanze Bruno Le Maire ha esplicitato l’ambiguità del suo campo, quando ha detto che serve un «campo socialdemocratico», non un fronte ampio, e che «combatto l’Rn ma non voto per la France Insoumise». Il premier Gabriel Attal si è barcamenato: pure lui, come Macron, sostiene che neppure un voto debba andare al Rassemblement, e che serva un fronte repubblicano, ma su come intenderlo, la sua équipe pare escluda dal computo gli Insoumis.
Non c’è da stupirsi dell’esito caotico: questo lunedì pomeriggio alcuni candidati macroniani hanno preferito ritirarsi e sostenere il Front populaire contro l’Rn, ma c’è anche chi non lo ha fatto, e lo ha rivendicato pure. Tanto per fare un esempio, Loïc Signor, portavoce di Renaissance: mantiene la candidatura «per far fronte agli estremi». E che dire di François-Xavier Bellamy? Ha preso le redini dei Repubblicani dopo lo scontro con Ciotti, ma dice di voler bloccare «la sinistra».
L’unica reazione pronta è stata quella del Front populaire, che – come aveva annunciato – ha ritirato i propri candidati arrivati terzi. Raphaël Glucksmann, che all’interno dell’unione a sinistra è tra i più critici verso Mélenchon, ha dato prova di compattezza e ha mandato a dire ai macroniani: «Io in passato ho votato Chirac e Macron. Bisogna gerarchizzare le proprie priorità».
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