- C’è una sola cosa che l’Italia di Mario Draghi può fare per salvare l’Ucraina e il suo presidente Volodomyr Zelensky, che oggi parlerà davanti al Parlamento: guidare una forte azione diplomatica per avviare il processo di ingresso dell’Ucraina all’Unione europea.
- È il momento di meritarsi sul campo quel premio Nobel per la pace che l’Unione europea ha ottenuto nel 2012.
- L’Ue ha l’occasione unica di recuperare influenza e sottrarla a Putin, dimostrargli in modo pacifico che la sua guerra è già persa: l’Ucraina, ma anche la Moldavia e la Georgia che l’hanno chiesto, saranno nella sfera d’influenza europea in modo irreversibile.
Domani ha firmato su change.org la petizione, lanciata da The Good Lobby, per il riconoscimento dell’Ucraina come stato candidato all’adesione all’Unione europea. Firma anche tu: clicca qui
C’è una sola cosa che l’Italia di Mario Draghi può fare per salvare l’Ucraina e il suo presidente Volodymyr Zelensky, che oggi parla davanti al parlamento: guidare una forte azione diplomatica per avviare il processo di ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea. Zelensky lo ha chiesto all’indomani dell’invasione, la Commissione europea e il parlamento si sono detti favorevoli a parlarne, il Consiglio europeo dei capi di stato e di governo a Versailles il 10 e l’11 marzo si è limitato a una risposta burocratica che prende tempo. Francia e Germania non hanno interesse a spostare l’asse dell’Unione verso est, e hanno scelto una via di risposta solo nazionale e militare alla crisi.
L’Italia, che sul piano militare ed economico è in seconda fila, può tornare protagonista su quello politico e mettere a frutto il capitale di reputazione di Draghi, l’uomo che ha salvato l’euro potrebbe ora dare una nuova missione all’Unione.
Di obiezioni ce ne sono molte, riassumibili così: l’Ucraina non è pronta. Vero, ma non si può confrontare un processo di adesione dell’Ucraina oggi con quello dell’Estonia o dell’Ungheria nel 2004 o della Romania nel 2007. Siamo in guerra, Putin ha già minacciato di usare l’arma atomica, anche se tutti sappiamo che sarebbe una scelta distruttiva. Anche l’Unione europea ha la sua arma atomica: l’allargamento ei suoi confini. L’Ue è una potenza civile, non militare, però comunque efficace: come ha ben scritto Jan Zielonka su Domani, l’Ue cambia il mondo con le sue istituzioni, non con i carri armati.
Il premio Nobel per la pace
È il momento di meritarsi sul campo quel premio Nobel per la pace che l’Unione europea ha ottenuto nel 2012 «per aver contribuito per oltre sei decenni all’avanzamento della pace e della riconciliazione e dei diritti umani in Europa».
Quando, se non con una guerra nel suo spazio geografico, è necessario usare la forza e il prestigio che quel premio certifica e la responsabilità che comporta?
Dopo l’annessione della Crimea nel 2014, l’Ucraina ha firmato un “accordo di associazione” con l’Ue che ha inserito Kiev nell’orbita istituzionale di Bruxelles.
Tra 2016 e 2020, l’interscambio tra Ue e Ucraina è aumentato del 32 per cento, nel 2022 era previsto l’accesso di Kiev alla rete elettrica europea. Per salvare gli ucraini da Vladimir Putin, bisogna connetterli all’Ue.
Putin aveva fatto resistenza all’accordo di associazione, osteggiato dal presidente filorusso Yanukovich nel 2013 (rovesciato dalla rivoluzione filoeuropea di Maidan). Ma ora non ha mai citato il patto nelle sue richieste durante la fase bellica. Perché la retorica della propaganda russa che i legami con l’Ue andavano a beneficio solo di Bruxelles e a danno degli ucraini si è sgretolata sotto il peso dei fatti.
Oggi serve di più, serve uno scatto verso l’adesione: il primo passo è concedere all’Ucraina lo status di paese candidato, alla pari degli altri in lista d’attesa.
Quella dell’Ucraina è una democrazia fragile, piagata dalla corruzione, da frange estremistiche, da oligarchi disprezzabili quanto quelli russi: tutto vero (anche se molte zone dell’Ue e dell’Italia hanno gli stessi problemi).
Ma siamo in guerra, e l’Ue deve usare le sue armi, che non sparano ma possono cambiare il destino del conflitto più dei missili Javelin.
Allarghiamo anche agli altri
Non si può far entrare l’Ucraina, neppure avviare il processo di adesione, senza aprire una crisi con gli altri che sono in lista d’attesa: il Montenegro dal 2012, la Serbia dal 2014, la Macedonia del Nord e l’Albania, la Bosnia ed Erzegovina dal 2016, il Kosovo, per non parlare della Turchia che ha avviato negoziati di adesione – per quanto oggi sembri bizzarro pensarlo – nel lontano 2005, quando Recep Tayyp Erdogan era un leader moderato e riformatore, filo occidentale.
Dopo l’allargamento del 2004-2007, quello culminato con l’ingresso di Romania e Polonia, l’Ue ha perso la sua spinta propulsiva, ha quasi espulso dall’euro la Grecia nel 2009, ha visto staccarsi la Gran Bretagna dal 2016.
L’Ue prospera se si allarga e mai come ora ce n’è stato bisogno: se per agganciare l’Ucraina e salvarla dalle bombe serve acelerare l’adesione degli altri, benissimo, facciamolo. Ci sono schiere di funzionari europei e nazionali che sapranno stabilire quali benefici dell’adesione concedere subito e quali in modo graduale (per i rumeni c’è stato un periodo di transizione nell’accesso al mercato del lavoro, per esempio).
L’Ue ha l’occasione unica di recuperare influenza e sottrarla a Putin, dimostrargli in modo pacifico che la sua guerra è già persa: l’Ucraina, ma anche la Moldavia e la Georgia che l’hanno chiesto, saranno nella sfera d’influenza europea in modo irreversibile, e se sottraiamo a Mosca i Balcani, per Putin sarà la peggiore delle sconfitte, militare e di propaganda. Sarebbe l’occasione anche per salvare la Turchia dal suo scivolamento verso l’islamismo autoritario e il populismo finanziario dell’ultimo Erdogan.
L’Ue cambia nelle crisi
Impossibile? Era impossibile anche che la Bce comprasse titoli di stati prossimi alla bancarotta, e invece l’ha fatto e ha salvato l’euro e l’economia mondiale. Era impossibile che ci fosse un debito comune per finanziare investimenti, e poi sono arrivati i 750 miliardi del Recovery fund, era impossibile arginare il potere delle piattaforme digitali, e la Commissione ha multato Google e Facebook per miliardi.
Nel mondo interconnesso da quella globalizzazione che Putin vuole provare ad abbattere un burocrate di Bruxelles ha più potere di ogni generale dell’armata rossa.
Questa è la risposta che l’Europa può dare, ma serve un grande paese che prenda l’iniziativa e sposti la crisi ucraina dal piano esclusivamente militare a quello politico.
Non ci sono alternative all’Italia e Mario Draghi è la persona più adatta a fare tutto il necessario per fermare Putin, whatever it takes. Questo può chiedere Zelensky al parlamento, e questo può offrirgli l’Italia. Vale molto più che qualche lanciamissili raccattato nei magazzini dell’esercito.
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