- Dal 2035 stop ad auto inquinanti a benzina, diesel e gpl. Non è l’unica scossa arrivata dall’Europarlamento. Il terremoto è anche politico: lo scontro sul clima andato in scena in aula ha riverberi politici forti in Europa e di riflesso anche in Italia. Divide nitidamente il fronte anti clima di destra e quello progressista pro green. «Non è vero che destra e sinistra non significano più nulla», commenta Enrico Letta da Roma.
- Pur di annacquare il pacchetto sul clima Fit for 55, i popolari hanno abbandonato ogni sorta di inibizione verso l’estrema destra. Hanno fatto alleanze tattiche coi conservatori di Meloni e votato assieme ai sovranisti di Id, compresa la Lega, secondo lo schema già inaugurato a gennaio con l’elezione di Roberta Metsola. «Il Ppe guidato da Weber si rifiuta di affrontare la sfida climatica, si aggrappa al passato e si arrabatta con la destra estrema. Ma la cosa più spaventosa è che facendo così indebolisce la stessa Commissione a guida Ppe: Ursula von der Leyen, diversamente da Weber, ha puntato sul piano verde»: è l’analisi di Philippe Lamberts, che presiede il gruppo dei Verdi.
- Sul clima si delinea il fronte progressista, con socialdemocratici (Pd), verdi, sinistra, e su alcuni dossier i liberali. Il capogruppo Pd Brando Benifei mette in discussione la maggioranza Ursula: «La mia prospettiva non è quella di continuare a lavorare col Ppe. Abbiamo eletto una presidente, von der Leyen, ma sui provvedimenti si ragiona in autonomia».
Dal 2035 non potranno più essere vendute auto inquinanti a benzina, diesel e gpl. Ma questa non è l’unica scossa arrivata dall’Europarlamento. Il terremoto è anche politico: lo scontro sul clima andato in scena in aula ha riverberi politici forti in Europa e di riflesso anche in Italia. Divide nitidamente il fronte anti clima di destra e quello progressista pro transizione ecologica. «A chi dice che destra e sinistra non significano più nulla: noi a Strasburgo scegliamo il futuro verde, le destre italiane il nero fossile», sottolinea il segretario del Pd Enrico Letta.
Brando Benifei, capogruppo del Pd al Parlamento europeo, declina la cosa in chiave europea al punto da mettere in discussione la maggioranza Ursula: «La mia prospettiva non è quella di continuare a lavorare col Ppe. Abbiamo eletto una presidente, von der Leyen, ma sui provvedimenti si ragiona in autonomia».
Frattura politica
Quel che è successo a Strasburgo è che pur di annacquare il pacchetto di provvedimenti per il clima Fit for 55, la principale famiglia politica europea, e cioè il centrodestra dei popolari, ha abbandonato ogni sorta di inibizione verso l’estrema destra. Ha fatto alleanze tattiche coi conservatori di Giorgia Meloni e si è ritrovata a votare assieme ai sovranisti di Identità e democrazia, compresa la Lega quindi, proprio secondo lo schema già inaugurato a gennaio con l’elezione di Roberta Metsola presidente. «Il Ppe guidato da Manfred Weber si rifiuta di affrontare la sfida climatica, si aggrappa al passato e si arrabatta con la destra estrema. Ma la cosa più spaventosa è che facendo così indebolisce la stessa Commissione a guida Ppe: Ursula von der Leyen, diversamente da Weber, ha puntato sul piano verde». Questa è l’analisi di Philippe Lamberts, che presiede il gruppo dei Verdi.
La battaglia campale su Fit for 55 non definisce il campo solo a destra, ma anche dal lato opposto: i socialdemocratici, dunque il Pd, fanno asse comune con i verdi e la sinistra; su alcuni dossier, assieme anche ai liberali. Per Lamberts, questo fronte «è in realtà semplicemente tutto il blocco delle forze europeiste, tranne i popolari che hanno smarrito la retta via». Dall’attacco delle lobby e della destra al green deal europeo esce rinvigorito il fronte progressista, che resiste all’assalto anti clima e porta a casa provvedimenti importanti. La ricaduta di questa frattura politica si avverte anche a Roma. Seduto tra le file di Renew, l’eurodeputato Carlo Calenda si ritrova a votare emendamenti assieme a Raffaele Fitto (FdI) e al leghista Marco Zanni, e va alla schermaglia su twitter con Enrico Letta.
Il pacchetto verde
I provvedimenti portano nomi criptici – ets, cbam e dintorni – e la complessità degli argomenti pare fatta apposta per tenere alla larga il grande pubblico. In realtà poche cose come il pacchetto Fit for 55, che fa parte del Green deal europeo, sono determinanti per la lotta al cambiamento climatico. Così determinanti che gli eurodeputati sono stati «inondati da email delle lobby, con tanto di inviti a cena alla vigilia del voto», come denuncia Lamberts. Se già la proposta arrivata dalla Commissione era molto lontana dagli obiettivi auspicati dagli scienziati (Bruxelles vuole ridurre entro il 2030 le emissioni del 55 per cento, non del 65), la destra (e le lobby) ha tentato in aula di diluire ancor più i provvedimenti.
Dalla versione finale approvata in aula dipende la qualità del testo che l’Europarlamento sottoporrà al negoziato finale con Consiglio e Commissione (il “trilogo”). Ma il livello di scontro politico è tale che una parte del pacchetto è stata persino rinviata.
Il dossier salta-tutto
La sigla “Ets” (Emissions trading system) indica il mercato delle emissioni. Per costringere i grandi inquinatori a tenere sotto controllo le emissioni di gas serra, l’Ue fa comprar loro dei permessi, il cui numero a disposizione in teoria dovrebbe ridursi nel tempo, così da disincentivare anche i danni climatici. Gli introiti dei permessi dovrebbero a loro volta essere reinvestiti all’interno di piani green. Il campo ambientalista punta a fermare la pratica dei permessi gratuiti (free allowances), rilasciati dall’Ue ad alcuni settori industriali. I popolari ambivano invece a prolungarla nel tempo, e si sono coalizzati facendo passare un emendamento in questa direzione. A quel punto, il testo finale in votazione è diventato indigeribile per il fronte progressista, con il risultato che l’intero dossier è stato rispedito in commissione ambiente (Envi).
Finisce rinviata la partita emissioni quindi, e di conseguenza pure quelle riguardanti il fondo sociale per il clima e il Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam). Noto anche come “carbon tax” europea, è in sostanza una tassa sulle emissioni imposta sulle importazioni alla frontiera europea, ed è uno degli strumenti coi quali Bruxelles ha previsto di finanziare l’indebitamento comune. Anche su questo dossier lo scontro politico è acceso.
Nuove maggioranze
Tra le conquiste green di questo martedì, lo stop totale entro il 2035 alla vendita di auto o furgoni con motore a combustione interna. «Sul dossier auto, oltre a verdi e sinistra hanno votato con noi anche i liberali. In futuro, più riusciamo a fare questo tipo di alleanze, che spostano a sinistra l’equilibrio del Parlamento europeo, meglio è», dice Brando Benifei.
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