Il Congresso spagnolo ha approvato l’uso di catalano, basco e galiziano come lingue co-ufficiali. Perché accada altrettanto anche in Ue, invece, la discussione resta aperta. Ma la questione non è (solo) linguistica...
Le parole sono importanti. Se la lingua è il catalano, poi, succede che le parole possano persino influire su diversi scenari di governo. In Spagna, e quindi in Europa, la competizione tra destra e sinistra – tra i popolari di Alberto Núñez Feijóo e i socialisti di Pedro Sánchez – è appesa anche alle palabras. Oggi il parlamento spagnolo ha adottato ufficialmente il catalano, il basco e il galiziano come lingue co-ufficiali, cioè come lingue ufficiali oltre allo spagnolo. E sempre oggi, il Consiglio Ue si è riunito per discutere se fare altrettanto per le lingue ufficiali dell’Unione europea; decidendo di… continuare a discuterne. Cosa ha a che fare tutto questo con il futuro politico di Spagna?
I nazionalisti e il governo di Spagna
In Spagna il re ha affidato l’incarico di tentare di formare un governo a Feijóo perché il Partido popular è il partito che ha ottenuto più seggi. Ma in realtà dietro l’angolo c’è un governo Sánchez bis. I socialisti, alleati con la sinistra di Sumar, hanno margini di manovra che i popolari e la destra estrema di Vox non hanno, quando si tratta di stabilire un’interlocuzione coi vari partitini nazionalisti.
Cos’ha in mano Sánchez? La maggioranza che gli ha già consentito di eleggere Francina Armengol a presidente d’aula: PNV (il Partito nazionalista basco), Bildu (indipendentisti baschi di sinistra), Junts per Catalunya (la formazione di Puigdemont), ERC (Sinistra repubblicana di Catalogna) e BNG (il Blocco nazionalista galiziano).
La questione linguistica
Le trattative di Psoe e Sumar con Puigdemont sono partite già a luglio; e agli avveduti è stato chiaro dall’inizio che il vero nodo fosse l’amnistia, anche se è solo dopo l’incontro col re che Sánchez ha rivelato pubblicamente di aver considerato questa opzione («compatibilmente con ciò che la Costituzione consente»).
Fino al 17 agosto, la carta scoperta – che ha garantito l’ampio ventaglio di voti ad Armengol – è stata la promessa di considerare catalano, basco e galiziano tra le lingue ufficiali. Quel giorno stesso, Sánchez ne ha fatto richiesta anche all’Ue.
La promessa, per quanto simbolica, non manca di far discutere: è a dir poco improbabile che a livello europeo passi, visto che la proposta deve ottenere l’unanimità e un assist ai catalani – poiché da questo dipendono gli equilibri politici spagnoli – trova di certo oppositori. Ad ogni modo il Consiglio Ue riunitosi oggi ne ha discusso, per poi decidere di… continuare a discuterne: «Il Consiglio ha avuto uno scambio costruttivo e ha deciso di proseguire i lavori sulla richiesta della Spagna di modificare il regolamento. Il Consiglio Affari generali dell’Ue continuerà ad occuparsi della questione».
A livello nazionale la proposta è stata invece approvata, proprio oggi, con 179 voti a favore e 171 contrari. Il regolamento della Camera sarà emendato così da prevedere l’uso di catalano, basco e galiziano per tutte le attività dell’aula. Mettere in pratica questo cambiamento ha il costo previsto di un milione di euro.
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