- Nel 1989, da giornalista a Berlino, aveva contribuito con la sua martellata a scalfire il muro che divideva l’Europa. Trent’anni dopo, da presidente dell’Europarlamento, ha abbattuto altri muri.
- C’è lui dietro la coalizione Ursula e la trasformazione dei Cinque stelle in componente europeista di sistema. Da primo presidente dell’èra pandemica, Sassoli ha svolto un ruolo cruciale per l’approvazione del piano Next generation Eu e per garantire che i lavori potessero proseguire anche a distanza.
- Sassoli è stato il presidente dei diritti e dello stato di diritto. In un mondo di urlatori ha fatto della sobria fermezza la sua cifra.
Nel 1989, da giornalista, David Sassoli si trovava a Berlino e aveva contribuito con la sua martellata a scalfire il muro che divideva l’Europa. Trent’anni dopo, da presidente dell’Europarlamento, ha contribuito ad abbattere altri muri.
C’è lui infatti dietro la “coalizione Ursula” – quella capace di tenere insieme gli eurodeputati Pd, FI e M5s che hanno contribuito a eleggere la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – che ha di fatto sancito la trasformazione del Movimento 5 stelle in componente europeista di sistema.
Da presidente del Parlamento europeo, eletto nel 2019 quindi il primo dell’èra pandemica, Sassoli ha svolto un ruolo cruciale per l’avvio e la definizione di Next generation Eu, e ha lavorato per consentire all’aula di non interrompere mai i lavori nonostante l’aumento dei contagi.
Nel suo ufficio a Bruxelles conservava, appeso alla parete, l’attestato che Giorgio La Pira, esponente del cristianesimo sociale e sindaco di Firenze nell’anno in cui Sassoli vi era nato (1956), faceva avere a tutti i neonati.
Il cattolicesimo e l’anima progressista, la stessa che ha orientato l’ultima fase della presidenza verso la costruzione di un fronte europeo «alla tedesca», erano il bagaglio ideale che Sassoli portava in ogni negoziato.
In un mondo di urlatori, la sua cifra è stata la sobria fermezza. «Persona integra», «inappuntabile»: gli attestati di cordoglio e stima arrivano in modo trasversale. Non vuol dire che Sassoli piacesse a tutti.
Non piaceva, ad esempio, a Vladimir Putin, che lo ha inserito tra le «persone non gradite» e gli ha impedito l’ingresso in Russia con apposita sanzione. La sua “colpa” era quella di essersi battuto per la libertà di espressione. Così come si è battuto per la meglio gioventù in certa di giustizia: per Patrick Zaki, che infatti lo ha ricordato con un post, per Giulio Regeni. Per lo stato di diritto, e per i diritti dei rifugiati, a proposito di muri da abbattere.
La coalizione e il debito
Eurodeputato dal 2009, il 3 luglio di dieci anni dopo Sassoli è stato eletto presidente, «con il sostegno dei gruppi europeisti» come sintetizzava lui stesso. All’epoca lo spartiacque era tra europeismo e sovranismo, e l’esponente del Pd ha lavorato perché la coalizione europeista si ampliasse il più possibile. Non a caso in quel luglio 2019 a votare la fiducia per Ursula von der Leyen ci sono anche 14 eurodeputati grillini.
In Europa, con Sassoli presidente, il M5s si trasforma da forza euroscettica antisistema a componente europeista che da allora vota sempre più spesso in sintonia con gli “alleati” del Pd. In Italia poco dopo si passa dal governo Conte I al Conte II.
A luglio del 2020 viene approvato il piano Next generation Eu, un’altra svolta che si compie sotto la presidenza di Sassoli. L’Europarlamento svolge un ruolo centrale nel salvaguardare i contributi alla ricerca e il meccanismo che condiziona l’erogazione dei fondi allo stato di diritto.
È lo stesso Sassoli a contribuire in maniera diretta, grazie ai suoi rapporti diretti con capi di stato e di governo come Pedro Sánchez, Emmanuel Macron e Angela Merkel, a far passare l’idea di un meccanismo di indebitamento comune. La sua credibilità è anche una garanzia per il governo Conte II.
Nell’ultima fase, quando il Recovery si fa realtà, la Lega è al governo e la parola «europeismo» è in bocca anche alla destra, il progetto di Sassoli evolve: l’obiettivo non è più, né solo, tenere insieme gli europeisti, ma lavorare a un campo progressista sul modello della nuova coalizione tedesca formata da socialisti, verdi e liberali. Il presidente, che ha la transizione ecologica tra le sue priorità, dialoga coi Verdi. L’affinità dei Cinque stelle col centrosinistra arriva fino alla soglia di un loro possibile ingresso nel gruppo socialdemocratico.
La pandemia e i diritti
Sassoli è stato il primo presidente di un Europarlamento a dover affrontare la pandemia. Ha preso posizioni che adesso sono ampiamente condivise, ma che un paio di anni fa erano state criticate.
Ad esempio sulla cancellazione del debito: «Nella riforma del patto di stabilità dovremo concentrarci sull’evoluzione a medio termine di deficit e spesa pubblica in condizioni di crisi e non solo ossessivamente sul debito», diceva a novembre 2020. Un tema che oggi è al centro del dibattito.
Per non fermare le attività degli eletti in un momento cruciale, il presidente crea anche le condizioni per una «democrazia virtuale» con il voto a distanza. Quando le presenze si riducono, per Sassoli è l’occasione giusta per ridurre altre distanze: nella primavera 2020 le sedi dell’Europarlamento di Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo si trasformano in centri per il triage, mense per pasti da donare, mentre una flotta di autisti è a disposizione per trasportare personale e materiale sanitario. Un’intera ala del Kohl Building viene adibita a rifugio per donne vulnerabili.
Sotto la presidenza Sassoli ha preso il via la Conferenza sul futuro dell’Europa, alla quale teneva. «David voleva riavvicinare l’Ue ai cittadini e rafforzare l’Unione politica: la Conferenza sul futuro dell’Europa serviva proprio a questo, a dare agli europei un posto al tavolo delle decisioni», dice Guy Verhofstadt che rappresenta il parlamento Ue nel board della conferenza.
Sassoli è stato il presidente dei diritti: di quelli sociali, civili, degli esclusi d’Europa compresi i migranti. E il presidente dello stato di diritto: c’era lui quando l’aula si è battuta per il meccanismo di condizionalità, fino a decidere di portare la Commissione in tribunale per inazione. La battaglia gli è costata antipatie tra gli autocrati europei e non, e la sanzione di Mosca. Ma gli è valsa la stima collettiva.
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