Il padre della donna detenuta in Ungheria denuncia l’inazione del governo. I ministri Nordio e Tajani ripetono la linea di Meloni, che a sua volta evoca quella di Orbán. Tutto questo mentre l’autocrate alza la posta, e nonostante Bruxelles sia pronta ad aiutare l’Italia
«Le nostre richieste sono state negate, Ilaria resterà in carcere». Così il padre di Ilaria Salis ha commentato l’incontro col governo Meloni, smentendone la calma apparente: solo pochi minuti prima, Tajani aveva riferito di un colloquio «cordiale».
Il ministro degli Esteri e quello della Giustizia, Carlo Nordio, che questo lunedì hanno incontrato sia la famiglia sia i legali della donna detenuta in Ungheria, hanno reagito al j’accuse di Roberto Salis con una nota: si appellano ai «princìpi di sovranità giurisdizionale di uno stato» che «impediscono interferenze nella conduzione del processo e nello status libertatis dell’indagato».
È in sostanza la linea di Meloni dopo il suo ultimo incontro con Orbán: che si aspetti la fine del processo. Stando ai ministri, «la richiesta di sostituzione della misura cautelare presso l’ambasciata italiana non è possibile».
Ma il nodo è la volontà politica: questo lunedì dall’emiciclo di Strasburgo, durante un dibattito ad hoc sul caso Salis, la Commissione Ue ha ribadito che «la decisione quadro sull’ordine di vigilanza europeo consente a un sospettato di essere sorvegliato nel proprio paese di provenienza nell’attesa di un processo in uno stato diverso».
Bruxelles ha lanciato un assist all’Italia, offrendo anche la sponda per una mediazione con il governo ungherese, così da riportare la donna a casa sua, con i domiciliari. Le difficoltà che l’esecutivo registra – e che traspaiono anche dalle reazioni di Giorgia Meloni nel botta e risposta di ieri con Elly Schlein – vanno lette nel contesto più ampio dei rapporti tra la premier italiana e il suo omologo ungherese.
Anche su questo fronte, è arrivata una notizia importante. Il boicottaggio da parte di Viktor Orbán nei riguardi dell’ingresso della Svezia nella Nato – che questo lunedì è apparso palpabile nell’aula del parlamento ungherese – condiziona più di quanto si immagini le future relazioni del suo partito, Fidesz, con i Conservatori europei, che Meloni presiede. Come aveva riferito a Domani già mesi fa una fonte vicinissima alla premier, l’idea di aprire Ecr a Orbán si giustificherebbe con l’argomento di riportare il premier ungherese sulla “retta via” atlantica.
La tattica stride con la realtà: Orbán va contro su tutta la linea, e pure su Salis non sta certo aiutando la sodale.
Schlein a Strasburgo
Questo lunedì Elly Schlein si è presentata a Strasburgo prima del dibattito sulle condizioni delle carceri ungheresi e su Salis. Il Pd ha sollevato il caso a livello europeo, e la segretaria – con tanto di flash mob e cartelli – ha denunciato sia l’inazione del governo sia i rapporti stretti tra la premier e il despota ungherese. Meloni «può accogliere Orbán a braccia aperte nei Conservatori perché alle sue braccia non ci sono le catene viste ai polsi di Salis».
Dal Giappone la premier ha replicato: «Se Schlein è più brava, saprà cosa fare». Controrisposta della segretaria Pd: «Non so se siamo più bravi, ma da mesi chiediamo di intervenire, invece il governo ha parlato del caso solo dopo che il mondo ha visto guinzagli e catene. Ha taciuto per mesi per non urtare l’alleato Orbán». Come mai con un alleato c’è bisogno di tacere? Qui si trova l’anomalia.
Alla vigilia del Consiglio europeo e poco prima dell’incontro notturno in hotel tra Meloni e Orbán, l’orbaniano di governo, Zoltan Kovacs, ha pubblicato su Twitter una lista di accuse contro Salis, mostrando di fatto che l’esecutivo è dentro il caso giudiziario. Dopo il Consiglio europeo, Meloni ha potuto vantare da “mediatrice” lo sblocco dei fondi per Kiev, Orbán ha dichiarato che dopo le europee entrerà in Ecr, ma sul fronte Salis la premier ha ripiegato sulla versione orbaniana: niente alternative prima del processo.
Questo lunedì, prima che gli eurodeputati discutessero del tema, una eurodeputata orbaniana, Enikő Győri di Fidesz, non si è limitata a contestare il dibattito, ma ha definito Salis una criminale. I fedelissimi dell’autocrate stanno facendo di più che chiedere di attenersi al processo: stanno costruendo un copione di accuse.
Difficile non pensare che Orbán stia alzando la posta, e rendendo la mediazione ostica per Meloni. Ciò chiarisce anche le parole del padre di Salis: «Siamo stati lasciati soli, non vediamo nessuna azione migliorativa».
E dire che questo lunedì la commissaria Ue Mairead McGuinness ha mostrato l’intenzione di Bruxelles di facilitare una mediazione. Ha avvalorato, in punta di diritto europeo, lo scenario dei domiciliari in Italia, e nel rilevare le anomalie nelle condizioni di detenzione ha anche paventato una procedura di infrazione. Insomma, ci sarebbe anche una leva da Bruxelles, volendo usarla.
«Meloni è pronta ad accogliere l’ultradestra orbaniana ma non riesce a chiedere rispetto per una sua cittadina: una sottomissione imbarazzante», ha osservato in aula il capodelegazione Pd Brando Benifei all’Europarlamento, intervenendo a nome dei socialisti europei.
Meloniani e leghisti avrebbero evitato di discutere di carceri ungheresi e di Salis. Pietro Fiocchi, a nome dei Conservatori, ha dichiarato che «questo dibattito non avrebbe dovuto neppure aver luogo». Quanto alla Lega, per il suo gruppo, Identità e democrazia, ha lasciato parlare un lepeniano: non ha neppure chiesto per sé il tempo di parola.
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