Da ultimo la terribile alluvione in Spagna, dove almeno 220 persone sono morte per la Dana che ha colpito la zona di Valencia. Lì in migliaia, nell’ultima settimana, hanno manifestato contro il presidente del governo regionale, Carlos Mazón, per i ritardi prima e dopo il maltempo. Dieci giorni prima l’acqua aveva colpito l’Emilia-Romagna, con l’esondazione di fiumi e torrenti e centinaia di case allagate. A settembre era invece toccato all’Europa centrale, dove le piogge dovute alla tempesta Boris hanno causato 22 morti.

Negli ultimi anni l’Europa ha conosciuto siccità e inondazioni, incendi e ondate di calore senza precedenti, in linea con il previsto aumento degli eventi meteorologici estremi in conseguenza del cambiamento climatico. Un’emergenza a cui tenta di porre rimedio anche la politica di coesione, attenta alla riduzione delle disparità socioeconomiche tra le regioni dell’Ue, che fornisce sostegno finanziario e orienta lo sviluppo in direzione sostenibile.

Del resto l’impatto del climate change, della perdita di biodiversità e dell’inquinamento ambientale è distribuito in modo non uniforme tra i paesi membri e quindi ha il potenziale per ampliare le disuguaglianze. Secondo le previsioni, nei prossimi anni le aree più colpite dal cambiamento climatico saranno nel Mediterraneo e nell’Europa orientale, soprattutto in Bulgaria e Romania. Regioni che già ora sono più povere della media comunitaria.

Progetti per il clima

Riconoscendo l’urgenza della materia, l’Unione europea sta investendo un terzo del bilancio della politica di coesione in progetti per ridurre le emissioni nocive e aiutare i paesi, le imprese e le persone ad adattarsi alla nuova realtà. Se nell’ambito del ciclo di programmazione 2014-2020 oltre 100 miliardi di euro sono stati destinati ai temi ambientali, nel periodo di programmazione 2021-2027 le risorse per il clima salgono a 118 miliardi.

Il 30 per cento del Fondo europeo di sviluppo regionale e il 37 per cento del Fondo di coesione sosterranno gli obiettivi legati alla salvaguardia dell’ambiente. Le tre priorità di investimento sono l’efficienza energetica degli edifici pubblici, lo sviluppo di reti di trasporto pulite e la prevenzione (o gestione) di inondazioni e frane. Oltre 8 miliardi saranno dedicati al primo obiettivo e 6 miliardi al terzo. Una novità è invece l’introduzione del Just Transition Fund, che sosterrà la riconversione dei sistemi economici più colpiti dalla transizione verde.

Proprio Polonia, Spagna e Italia – i paesi più colpiti dalle calamità negli ultimi mesi – sono i primi tre beneficiari, con fondi per il clima pari a 22,8, 8,9 e 8,8 miliardi di euro. In Polonia, ad esempio, i programmi di finanziamento che trarranno i maggiori benefici sono “Infrastrutture, clima e ambiente”, “Smart economy” e “Polonia orientale”. Quest’ultimo sosterrà le regioni di Lublino, Precarpazia e Podlachia, che sono anche tra le meno sviluppate dell’Ue.

I fondi dell’Italia

In Italia i fondi pubblici per iniziative dedicate al cambiamento climatico, nel ciclo di programmazione 2014-2020, ammontano a 15 miliardi di euro, di cui 11 miliardi provenienti direttamente da risorse di coesione. In tutto i progetti finanziati sono stati 9.673. La maggior concentrazione di investimenti si trova nelle grandi regioni del Mezzogiorno: Sicilia, Campania, Puglia e Calabria hanno ottenuto il 78 per cento dei finanziamenti complessivi, pari a 12 miliardi di euro.

Come mostrano i dati di OpenCoesione, i progetti in materia spaziano da azioni per la gestione dei rifiuti e delle acque reflue a interventi per prevenire i rischi ambientali e contro l’erosione dei litorali. Ci sono poi fondi per la bonifica dei siti inquinati e la riqualificazione urbana – problema che riguarda grandi aree dismesse, soprattutto al Sud – oltre a misure per il contrasto al dissesto idrogeologico, con la riduzione del rischio di desertificazione e di incendi boschivi.

Rischi per il futuro

Per massimizzare l’efficacia di queste politiche e indicare la via da seguire in futuro, la Commissione europea si è avvalsa del lavoro di un gruppo di esperti di alto livello composto da politici e membri del mondo accademico. Il loro report, presentato a febbraio, sottolinea la capacità della politica di coesione di reagire agli shock esterni, ma identifica anche qualche area critica. Tra i punti deboli c’è la mancanza di competitività, soprattutto in Italia, Francia e Grecia, e il rischio di polarizzazione, con il dinamismo concentrato nelle capitali e nelle grandi città.

Un altro pericolo è legato alla crescita del malcontento verso il progetto europeo, con l’ascesa dei partiti populisti. Ciò è in parte dovuto ai temi ambientali: «C’è un problema di concentramento dei costi della transizione, dato che le regioni più vulnerabili all’adattamento sono già più povere e meno dinamiche. Per questo transizione green e coesione vanno messe in sinergia: senza coesione aumenta il malcontento, che favorisce i negazionisti del clima», ha detto a Domani Andrés Rodríguez-Pose, che ha guidato il gruppo di esperti.

Cosa va cambiato

Il rapporto propone alcuni pareri su come migliorare questi aspetti, anche in riferimento ai cambiamenti climatici. La politica di coesione dovrebbe rifiutare gli approcci “one size fits all” e basarsi di più su luoghi e persone, tramite «l’impegno alla costruzione di istituzioni migliori e il miglioramento della governance». Va messo in pratica il principio del partenariato per raggiungere gli obiettivi e il rafforzamento della governance multilivello, con la partecipazione di tutte le parti coinvolte.

Inoltre la politica di coesione dovrebbe unire la sua dimensione territoriale a una maggiore attenzione ai risultati: ciò include lo snellimento delle pratiche amministrative, la riduzione dei documenti cartacei e approcci amministrativi più efficienti. «L’adozione di un approccio basato sulle prestazioni – si legge nel report – consentirà alle politiche di coesione di dimostrare il loro valore con una chiara attuazione di traguardi legati a strategie nazionali e regionali, come i piani nazionali per l’energia e il clima».


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