Meloni vanta «capacità di dialogo» dopo che il despota ha tolto il veto. Ma il «dialogo» si basa sulla possibilità di entrare in Ecr
Partiamo dal finale: Viktor Orbán è ora talmente convinto di poter entrare nei Conservatori europei da esibirlo pubblicamente. «A questo punto dopo le europee, ma entreremo», dice. È un annuncio che non troverebbe fondamento se non ci fosse anche l’ok della presidente dei Conservatori, e cioè di Giorgia Meloni.
Quel che il premier ungherese va dicendo è in sostanza che lui non è tornato dal Consiglio europeo di questo giovedì a mani vuote. Vista altrimenti, ecco su che cosa si basa la «capacità di dialogo» esibita dalla premier italiana: sulla promessa di digerire il despota.
Finalmente il via
Il Consiglio ha approvato la revisione del quadro finanziario pluriennale coi cinquanta miliardi per Kiev. Se si confrontano le cifre con la bozza di metà dicembre, si vedrà che la scatola negoziale è identica. Dunque perché è servito un rinvio, con un vertice straordinario a un mese e mezzo di distanza? Perché il premier ungherese teneva in ostaggio il bilancio per massimizzare i vantaggi per sé, e bloccava i fondi per l’Ucraina per facilitare le cose a Vladimir Putin.
Qui scatta però il secondo quesito: come mai allora questo giovedì mattina nel giro di pochissimo è stato trovato un accordo? La versione di Meloni è che il merito è sostanzialmente suo. O per dirla con le sue parole: «Bisogna saper dialogare con tutti, questa è la modalità che funziona e vado fiera di averla rivendicata».
In sostanza Meloni utilizza la propria «capacità di dialogo» come leva politica: la sua destra estrema è quella che è già stata assimilata dai popolari europei, e da Ursula von der Leyen, ma ha pure alle spalle una marmaglia sovranista, dal premier ungherese agli ultraconservatori polacchi. In medio stat virtus: questo è l’alibi della premier sedicente moderata.
In realtà qui di moderato non c’è nulla, e no, il compromesso con Orbán non è stato chiuso nottetempo. L’incontro tra i due la notte prima del vertice, così come la quadriglia di negoziati tra leader questo giovedì mattina, sono serviti solo a sigillare un’intesa.
Il nodo di Ecr
La «capacità di dialogo» – come la chiama Meloni – funziona per un semplice motivo: Orbán vuole qualcosa che solo lei può dargli.
Non si tratta tanto dei fondi europei da sbloccare, visto che già a metà dicembre, in cambio del suo via libera (l’ “assenza concordata”) ai negoziati con Kiev, il premier ungherese ha ottenuto da von der Leyen il via libera a 10 miliardi.
Si tratta di qualcosa di persino più importante: la possibilità di tornare dove le decisioni vengono prese. Orbán, che era abituato a cooperare con Angela Merkel, ed è stato a lungo membro dei popolari finché nel 2021 non si è consumata la separazione, vuole una cosa più di tutte: far uscire il suo partito, Fidesz, dall’isolamento in Ue, e riavvicinarlo al centro del potere; inserirlo in un gruppo politico dove c’è chi governa (e Meloni è premier) e che dialoga con la Germania (sempre Meloni è in alleanza tattica col Ppe, dove siedono i cristianodemocratici).
Insomma – Orbán lo ha sempre fatto intendere – entrare nel gruppo dei sovranisti, Id, quello con la Lega, va inteso come ripiego di ultima istanza. «L’ambizione di Orbán – confermava questo giovedì pomeriggio Szabolcs Panyi, uno dei principali giornalisti d’inchiesta ungheresi – è entrare in Ecr. Girano rumors che Meloni abbia offerto il suo aiuto su questo dossier in cambio dello sblocco dei fondi per Kiev».
Meloni e Morawiecki
Anche Meloni ha di che guadagnarci: lasciare Fidesz ai nemici-amici leghisti significherebbe far crescere Id. Ma la premier ha da gestire anche i rapporti coi popolari, e poi – prima del voto di giugno – può risultare scomodo prendersi nel gruppo un filorusso.
Le connessioni tra FdI e Fidesz non si sono mai interrotte, e da quest’autunno i segnali di ravvicinamento si sono intensificati. A settembre la premier è andata in visita ufficiale a Budapest. Intanto gli alleati polacchi hanno fatto intendere al premier ungherese che dopo le loro elezioni di ottobre avrebbero considerato l’ipotesi.
Il veto su Kiev da sbloccare ha consentito a Ecr di accelerare il processo con un beneplacito generale. C’è molto di più dell’incontro di mercoledì notte in hotel tra Meloni e Orbán. Da settimane gli scambi erano intensi; anche l’uomo chiave europeo di Meloni, il ministro Raffaele Fitto, che le ha costruito l’alleanza con Manfred Weber, aveva incontrato nelle scorse settimane il governo ungherese. E quei passaggi italiani dei vertici Ue – von der Leyen a Forlì e Roma, Charles Michel al vertice Italia-Africa – contribuivano a far procedere i negoziati, finalizzati questa settimana con telefonate e incontri Meloni-Orbán.
A svelare le carte è stato l’ex premier polacco, Mateusz Morawiecki del Pis, che con FdI è azionista di maggioranza in Ecr. Alla vigilia del vertice, ha dichiarato il suo consenso a prendere Fidesz, anche se dopo il voto (ed è questa una condizione anche per Meloni).
Conclusioni negoziali
Poi arrivati a giovedì il gioco è stato ulteriormente scoperto: quell’incontro tra Morawiecki e Meloni, sempre nella hall dell’albergo, suggeriva a chiare lettere (non essendo più Morawiecki al tavolo del Consiglio) che fosse Ecr uno dei nodi negoziali.
Per quel che riguarda Orbán, che mercoledì sera oltre a Meloni pare abbia incontrato Macron, altra sua sponda pragmatica, la mattina del Consiglio si è chiuso in una stanza prima con Michel, von der Leyen, Meloni, Scholz e Macron, poi anche con Spagna, Olanda, Polonia. Da menzionare Donald Tusk che lamenta la «Orbán fatigue», lo “sfinimento da Orbán”.
Sui fondi si è arrivati infine a un accordo unanime. Il premier ungherese è andato a raccontare alla sua opinione pubblica di aver vinto su tutto. In realtà nelle conclusioni è solo contemplato un dibattito annuale sui fondi, con una possibile revisione biennale; ma non c’è una chance di infilare un veto all’anno.
L’unica vittoria che Orbán può davvero vantare – e infatti è corso a farlo – è lo spiraglio aperto in Ecr. E poi «aver dato ai russi qualche mese in più: il Cremlino non si aspetta certo da lui che blocchi tutto per sempre, ma che rallenti e intralci sì», come nota l’analista ungherese Daniel Hegedüs.
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