- Sono infuriati, gli abitanti di Debrecen. L’azienda cinese Catl, che produce batterie di nuova generazione, ha inaugurato il suo primo stabilimento tedesco e si prepara a colonizzare anche il territorio ungherese.
- Gli incontri con la cittadinanza si stanno rivelando a dir poco accesi: la popolazione locale punta il dito contro governo e azienda, al coro di «alljon meg! adesso basta!». L’esecutivo Orbán non si è limitato a dire sì a Pechino, ha anche stanziato fondi pubblici a beneficio dell’impianto.
- Mentre Bruxelles dipinge la Cina come antagonista, il fatto che Orbán continui a fare affari con Pechino può essere inteso come una riconferma della “eccezionalità” ungherese. Ma sarebbe un errore leggere l’accordo tra Ungheria e Cina senza considerare anche il ruolo della Germania.
«A chi appartiene il potere? Al popolo! Chi siamo? Il popolo! Potere a noi!». Sono infuriati, gli abitanti di Debrecen, che è la seconda città più popolosa d’Ungheria dopo Budapest. L’azienda cinese Catl, che produce batterie di nuova generazione, ha inaugurato ieri il suo primo stabilimento tedesco, ad Arnstadt, e si prepara a colonizzare anche il territorio ungherese. Ma gli incontri con la cittadinanza si stanno rivelando più coloriti e sfibranti delle peggiori assemblee condominiali: vecchiette che inveiscono, signori corpulenti che puntano il dito contro gli esponenti del governo e dell’azienda, cori di «alljon meg! adesso basta!». Forse stavolta Viktor Orbán ha sbagliato i calcoli, o più semplicemente sa che il potere per ora è nelle sue mani, e al «popolo» di Debrecen resta ben poco in pugno. Fatto sta che sono gli abitanti, il più rumoroso impedimento alla strategia cinese dell’autocrate.
«Investimento prioritario»
Prima di ferragosto, la Catl ha annunciato che avrebbe investito oltre sette miliardi di euro in un impianto nell’est dell’Ungheria, il secondo in Europa, dopo quello tedesco . Bisogna fare attenzione a come è stato motivato questo investimento: «Debrecen è situata proprio nel cuore dell’Europa, ed è estremamente vicina alle manifatture automobilistiche che sono nostre clienti, ad esempio Mercedes-Benz, BMW, Stellantis e Volkswagen. Lo stabilimento di Debrecen ci servirà a rispondere meglio alla domanda di batterie del mercato europeo». Il governo ungherese ha spalancato le porte all’azienda cinese, e anzi ha fatto di più: ci ha messo i soldi dei contribuenti ungheresi. L’esecutivo di Orbán ha subito classificato il nuovo impianto, e le infrastrutture necessarie, come «investimento prioritario per l’economia nazionale». Da questa etichetta derivano conseguenze molto concrete, per esempio i quasi 90 miliardi di fiorini ungheresi che lo stato investirà per espandere le infrastrutture elettriche del parco industriale di Debrecen. Senz’altro, il caso Catl aiuta a leggere in controluce la strategia di apertura a est che il premier ungherese porta avanti da ben più di un decennio. E non a caso il ministro degli Esteri Péter Szijjártó – lo stesso che è stato insignito della medaglia dell’amicizia dal suo omologo russo – ha esibito con orgoglio che «saremo il terzo paese al mondo dopo Cina e Germania con un impianto di produzione Catl», aggiungendo pure che l’Ungheria avrebbe notificato all’Ue gli aiuti di stato per il progetto.
Il triangolo delle auto
Mentre Bruxelles dipinge la Cina come antagonista alla stregua della Russia, il fatto che Orbán continui a fare affari con Pechino può essere inteso come una riconferma della “eccezionalità” ungherese. Ma sarebbe un errore leggere l’accordo tra Ungheria e Cina senza considerare anche il ruolo della Germania. Le batterie prodotte a Debrecen – così come ad Arnstadt – serviranno anzitutto alle case automobilistiche tedesche; ed è proprio garantendo a queste ultime i suoi favori, che Orbán viceversa ha potuto godere a lungo della protezione della Germania. A ottobre scorso, a Berlino, il premier ungherese non è stato accolto solo dall’attuale cancelliere, ma pure da Angela Merkel e dagli imprenditori. Il caso degli impianti Catl rivela anzitutto l’intesa dell’Ungheria con Cina e Germania, e poi anche le ambiguità di quest’ultima: in realtà il disaccoppiamento economico da Pechino è tutt’altro che andante. Olaf Scholz lo ha dimostrato col suo recente viaggio cinese, portando i capitani d’industria ma non il presidente francese; che infatti ora pianifica il contro-viaggio assieme a Ursula von der Leyen.
La rivolta popolare
Mentre i capi di governo (e d’impresa) fanno la geopolitica, la popolazione di Debrecen fa la rivolta. La scorsa settimana, in città, si è tenuta un’audizione pubblica sulle licenze ambientali per la fabbrica. Tutti gli studi d’impatto presentati erano favorevoli. Ma Róbert Rácz, il politico di Fidesz che governa la contea di Hajdú-Bihar, si è ritrovato gli abitanti contro; in teoria, la sala ne ospitava 160, però nella pratica c’era gente ammassata ovunque. Tra le ragioni della protesta, il fatto che il governo abbia siglato l’accordo prima di consultare gli abitanti, l’idea di una fabbrica idrovora in un’area che già soffre la scarsità di acqua potabile, i rischi ambientali e la costruzione di città-dormitorio per ospitare lavoratori migranti visto che la forza lavoro locale non sarà sufficiente. In prima fila a cavalcare l’insoddisfazione popolare c’è Mi Hazank, il partito neonazista che alle elezioni di aprile ha fatto il suo ingresso nel parlamento ungherese e che cresce nei sondaggi.
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