Raffaele Fitto lascia trasparire solo serenità, con la reazione che da sempre gli si confà: massimo aplomb democristiano e minima esposizione pubblica. Ma nel frattempo sulla sua figura si concentra a Bruxelles lo scontro politico tra una destra che vuol mettersi sempre più comoda e un campo progressista che reagisce per non finire nell’angolo. Lo scontro si traduce in queste ore in una intensa attività negoziale, come i socialisti rivendicano apertamente.

Non sono i soli a dare l’allerta sul commissario meloniano. «Condivido le grandi preoccupazioni su Fitto», dice a Domani il capogruppo dei Verdi europei Bas Eickhout. «Aspettiamo la proposta di von der Leyen e poi prepareremo l’audizione di Fitto molto accuratamente, non sarà certo una passeggiata per lui». Il tema di fondo è la tenuta del patto tra von der Leyen (e la sua famiglia popolare europea) e le forze progressiste che ne hanno sostenuto la rielezione, e se è vero che non sarà il design dei portafogli della Commissione a esaurire questo tema, certamente questa è una cartina tornasole.

Vicepresidenza esecutiva e portafoglio invidiabile per un meloniano? È il casus belli sul quale si scatena la contesa. Dunque la premier nostrana deve correre a blindare la sua posizione (e quella di Fitto) esibendo l’interlocuzione con Mario Draghi e puntellando il rapporto con il leader dei Popolari europei Manfred Weber. Intanto il paese da lei governato si trasforma nella nuova linea rossa d’Europa; di recente è pure arrivata una nuova lettera della commissaria Ue Věra Jourová, della quale Domani ha preso visione e in cui si stigmatizza l’attacco alla libertà dei media in corso in Italia.

Il fronte anti Fitto

Già attorno alle europee, i socialisti e i liberali, che fino a quel momento avevano sostenuto von der Leyen, e i verdi, che ambivano a farlo, hanno identificato in Fratelli d’Italia la soglia che il Ppe non avrebbe dovuto valicare troppo sfacciatamente. Lo schema si ripete ora, mentre si va verso l’ufficializzazione della futura Commissione, che avrebbe dovuto avvenire questo mercoledì ma è rinviata a martedì, ufficialmente per ragioni di procedura. Nella sostanza le famiglie politiche negoziano intensamente. I socialisti hanno minacciato di non dare la loro fiducia alla squadra di von der Leyen, e per entrare nel vivo del negoziato hanno sollevato quattro punti; la scelta della presidente di mettere un meloniano «nel cuore della Commissione» è uno di questi, ed è anche quello sul quale emerge un allineamento con liberali e verdi.

La macroniana Valérie Hayer era stata la prima a dirsi «preoccupata» per il ruolo che Fitto avrebbe potuto assumere (anche perché avrebbe potuto togliere margini di manovra al francese Thierry Breton), e proprio questo mercoledì a Ostenda il gruppo da lei guidato, Renew, ha presentato una dichiarazione. «Con essa – argomenta Hayer – esigiamo dai venturi commissari una dimostrazione di europeismo: questo non è un lavoro per populisti e nazionalisti!».

Quanto ai Verdi, è proprio in alternativa ai Conservatori che hanno offerto il loro supporto a von der Leyen, e non stupisce troppo, quindi, che dal versante italiano Angelo Bonelli abbia annunciato un voto contrario su Fitto; a livello europeo il nodo politico è l’assegnazione di una vicepresidenza a un meloniano, il che sposterebbe l’asse più a destra. L’avamposto dello scontro (e del negoziato) è il gruppo socialista perché nell’arco progressista è il più cospicuo ed è pure quello che potrebbe subire il più grande smacco.

Il cancelliere Scholz ha rinunciato a un commissario affine alla coalizione semaforo acconsentendo al bis della cristianodemocratica von der Leyen, e la Spagna di Sánchez rischia di rappresentare – con la vicepremier, e futura commissaria, Teresa Ribera – l’ultimo bastione socialista di una squadra assai sbilanciata a destra.

I negoziati in corso

Ecco perché la capogruppo e il presidente del partito socialista europeo hanno preteso martedì «un riequilibrio», mettendo avanti quattro punti per il negoziato, tuttora in corso. Come ha risposto von der Leyen, punto per punto? Da fonte Ue si apprende che: fermo restando che la vicepresidenza esecutiva per Fitto è al momento una indiscrezione e non un dato, l’Europarlamento stesso ha eletto vicepresidenti conservatori (e meloniani), dunque il cordone sarebbe limitato a sovranisti e patrioti, e si replicherebbe così all’accusa.

Nel frattempo c’è il leader del Ppe Weber a spalleggiare Fitto, il pontiere tra Meloni e i Popolari e quindi oggetto di grandi dichiarazioni di «amicizia» da parte di Weber in queste ore. Quanto agli altri punti sollevati dai socialisti, sempre la fonte Ue ricorda che è stato il governo del Lussemburgo a non nominare lo spitzenkandidat socialista Nicolas Schmit, e che lo squilibrio di genere (inizialmente solo quattro governi avevano indicato donne) è stato già parzialmente riequilibrato dalla presidente (quei governi sono diventati nove). Insomma von der Leyen vuol far credere di non piegarsi alle minacce.

Ma qualche passettino – quantomeno simbolico – per accontentare i socialisti dovrà farlo, dato che sia i leader che gli eurodeputati l’hanno sostenuta questa estate, prima in Consiglio e poi per la sua rielezione in aula. «Stiamo negoziando in una logica di pacchetto, non abbiamo una lista di cosa sia prioritario per noi, tutto sta insieme», ha detto questo mercoledì la capogruppo Iratxe García Pérez. Bisogna vedere che pacchetto (o pacco) presenterà infine martedì von der Leyen.

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